Andrea Fontana e le Storie che incantano: gli esempi di Ghali e Chiara Ferragni

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Si intitola Storie che incantano. Il lato narrativo del brand il nuovo libro di Andrea Fontana (edito da ROI Edizioni), […]
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Si intitola Storie che incantano. Il lato narrativo del brand il nuovo libro di Andrea Fontana (edito da ROI Edizioni), docente universitario dell’Università di Pavia nonché autore rivelazione di Storytelling d’impresa e #IOCREDOALLESIRENE. Come vivere (e bene!) in un mare di fake news.
Dalle video-novel di Youtube alle Instagram Stories, dalle narrazioni di marca al brand journalism. Viviamo in un momento storico che molti definiscono “era narrativa”, in cui siamo bombardati da un flusso incessante di contenuti e informazioni che ci arrivano sotto forma di narrazione. Tuttavia, proprio per questa ragione, per distinguersi dagli altri non basta più saper raccontare. Diventa rilevante saper raccontare Storie che incantano. Abbiamo fatto qualche domanda ad Andrea, che nel libro ha analizzato i “casi” di Ghali, della Tesla e di Chiara Ferragni, come esempi di “storie” raccontate bene.

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Ciao Andrea, ti definiscono il “pioniere dello storytelling in Italia”. Potresti spiegarmi in poche parole cosa significa esattamente questa definizione e qual è il tuo campo?
Più di venti anni fa – eravamo a metà degli anni Novanta – ho iniziato a occuparmi di scienze della narrazione. Era un mondo di teorie e pratiche assolutamente sconosciuto in Italia. E con impegno ne ho fatto una professione. Dico impegno perché all’inizio è stata dura, nessuno aveva fiducia in quello che stavo facendo, nessuno credeva che occuparsi di narrazione di marca e prodotto aveva senso. “Ma cosa fai?”; “Perché perdi il tuo tempo in queste cose?”; “Sono stupidaggini e mode del momento”, quante volte ho sentito frasi simili. Ma avevo avuto un’intuizione, e in qualche modo sapevo che il racconto di vita sarebbe diventato una piattaforma di espressione individuale e sociale. E così è stato. L’avvento dei social media infatti ha messo in discussione molte cose, sopratutto ha evidenziato come “la narrazione di sé” stava diventando un paradigma di comunicazione complessivo. Raccontare e raccontarsi diventata una nuova forma di comunicazione personale e aziendale. Da lì in poi ho iniziato a insegnare nel 2006 Storytelling e narrazione d’impresa all’Università di Pavia, primo Ateneo ad avere questo corso, (oggi abbiamo anche un Master di 1 livello in Scienze della Narrazione che si chiama MUST – Martketing Utilieties & Storytelling Techniques) poi ho creato un Osservatorio sullo Storytelling presso la stessa Università e nel 2010 un mio gruppo di consulenza “Storyfactory” che aiuta le organizzazioni a raccontarsi meglio, nel marketing, nella comunicazione, nelle risorse umane e nel design degli spazi. Quindi il mio lavoro consiste nell’aiutare aziende, istituzioni e persone a capire quali narrazioni fare di sé, verso quali pubblici e con quali strumenti, piattaforme o device. Un’attività meravigliosa: ogni giorno fai scoperte sul tuo destino o quello degli altri.

Il tuo libro precedente era incentrato sulle fake news. Ora ti concentri sulle storie che incantano. Anche questo tipo di storia ogni tanto può essere un po’ fake e come distingui le due cose?
Chiariamo un punto: tutto le storie sono fake. Nel senso che tutte le storie sono “inventate”. Perché noi pensiamo così: mettiamo insieme fatti con rappresentazioni, realtà accadute con i significati soggettivi di quelle realtà. Se ti chiedo cosa hai fatto ieri a pranzo, la tua memoria ricostruisce gli eventi e tu nel raccontarmi “inventi” il tuo ieri: dici alcune cose, ne ometti altre, te ne dimentichi altre ancora… Siamo animali narrativi che vivono nei racconti culturali perché la vera questione è il significato di vita che viene portato da un racconto, non tanto la veridicità dei fatti. E questo oggi lo vediamo tutti i giorni: non sono più i fatti a spostare le opinioni, ma le narrazioni mirate che raccontano i fatti in un certo modo piuttosto che in un altro. D’altronde un fatto, preso nudo e crudo, non significa nulla. Cade una mela… e allora? Se non c’è Newton che ci costruisce sopra la teoria della gravità la mela caduta non significa nulla. E anche questa è una bella storia. In ogni caso se vuoi distinguere una “storia fake” da una “storia vera” devi concentrarti sulle conseguenze che una storia porta con sé. Più le conseguenze sono di lungo periodo più quella storia forse era veritiera.

Qual è la più grande sfida secondo te che si incontra quando si vuole imbastire e raccontare una storia?
Sono due: testa e cuore. Testa perché devi avere le competenze, devi studiare, aggiornarti, prepararti. Non ci si improvvisa in questo mestiere e non si racconta a caso. Cuore perché devi avere passione e credere sempre che quello che stai facendo cambierà il mondo. Se non hai questa “fede”, la tua storia non avrà nessun incanto.

Quanto è importante la trasformazione nelle storie che si raccontano, e secondo te perché?
Viviamo in un momento storico in cui la possibilità di diventare “migliori”, di cambiare pelle, di trasformarci in qualcosa d’altro che sia all’altezza delle nostre aspettative fa parte integrante delle nostre esistenze. Per questo i racconti di trasformazione ci affascinano, perché ci ricordano sempre che possiamo farcela, possiamo migliorarci e possiamo riscattarci dalle nostre debolezze, dalle nostre paure e dalle nostre povertà interiori o esteriori.

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Storie che incantano. Il lato narrativo del brand
"Tutte le storie sono fake"
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L'importanza della trasformazione