Creare successi: il mito della viralità da Spotify a Justin Bieber

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Creare successi: il mito della viralità da Spotify a Justin Bieber Esiste un mito della viralità e cosa si nasconde […]
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Creare successi: il mito della viralità da Spotify a Justin Bieber

Esiste un mito della viralità e cosa si nasconde dietro il successo di una canzone? Nel libro Creare successi. La scienza della popolarità nell’era delle distrazioni – debutto rivelazione di Derek Thompson già tradotto in 12 lingue ed edito in Italia da ROI Edizioni – l’autore prova a rispondere a questa domanda, attraverso un viaggio nella cultura pop per scoprire il segreto di alcuni dei successi commerciali del nostro tempo.

“Ogni anno centinaia di canzoni non diventano successi – scrive Derek Thompson – e ciò ha molto poco a che fare con il fatto che non siano ‘abbastanza orecchiabili'”.

A sostegno di questa tesi sostenuta nel libro, Thompson porta anche numerosi esempi, dal potere di Spotify all’influenza di personaggi come Justin Bieber. Si deve, ad esempio, ad una playlist di Spotify di Sean Parker, cofondatore di Napster, il merito del lancio di Royals di Lorde, il successo a sorpresa del 2013.

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Due anni prima, una cantautrice canadese, Carly Rae Jepsen, pubblicò invece una canzone allegra, Call Me Maybe, che esordì al numero 97 nella classifica dei cento dischi più venduti in Canada della rivista musicale Billboard. Alla fine dell’anno non era ancora arrivata tra i primi venti in classifica. Un altro cantante pop canadese, Justin Bieber, aveva però sentito la canzone alla radio e l’aveva elogiata su Twitter. All’inizio del 2012, Bieber girò un video YouTube insieme alla pop star Selena Gomez e ad alcuni amici con i baffi finti che ballavano al ritmo della canzone. Quel video ha avuto più di settanta milioni di visualizzazioni e ha contribuito a lanciare Call Me Maybe (che a sua volta ha ormai più di ottocento milioni di visualizzazioni su YouTube), facendola diventare uno dei maggiori successi pop del decennio.

Derek Thompson va però anche indietro nel tempo, risalendo ai primordi del business della musica americana: all’epoca, per fare di una canzone un successo, una melodia memorabile era secondaria rispetto a una campagna marketing ingegnosa. Verso la fine del XIX secolo a New York, nei pressi della parte di Union Square soprannominata ‘Tin Pan Alley’, scrittori ed editori svilupparono un elaborato sistema per pubblicizzare la nuova musica. Decisero di distribuire spartiti di canzoni a musicisti locali che avrebbero suonato ogni brano in diversi quartieri della città, e riferito quali canzoni andavano meglio. I musicisti ambulanti di Tin Pan Alley cedettero il passo alla radio che ora sta a sua volta cedendo il passo a nuove forme di distribuzione.

Di base, per Thompson, la viralità di un successo non può basarsi esclusivamente sul passaparola o sui social media, ma serve anche una massiccia ‘trasmissione di contenuti’ del vecchio tipo, cioè di uno o più influencer o grandi organizzazioni che hanno già un pubblico di milioni di persone, o una ‘trasmissione occulta’ ad un pubblico altrettanto vasto di cui gli esperti di marketing non sono al corrente, come ad esempio la comunità dei fan.

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