Tra le fondamenta della Basilica di San Pietro riaffiora un fragile murale millenario: un segreto teologico che sfida la storia del cristianesimo.
I segreti del Vaticano da sempre stuzzicano la fantasia di studiosi e curiosi, ma forse vi sembrerà strano venire a sapere che tra le fondamenta della Basilica di San Pietro si cela una storia rimasta in silenzio per quasi duemila anni, un vero e proprio segreto. Nelle profondità della necropoli vaticana, tra nicchie funerarie e reperti pagani, riaffiora infatti una testimonianza che non è un affresco monumentale, ma un murale fragile, inciso sullo stucco, che sembra custodire un messaggio teologico sorprendentemente precoce (e potrebbe riscrivere la storia del cristianesimo).
Il murale “segreto” perduto tra le fondamenta della Basilica di San Pietro
Andiamo con ordine e partiamo dal principio. Il murale in questione risale al periodo compreso tra la fine del III e gli inizi del IV secolo. Tracciato su una nicchia funeraria a circa ventidue metri dal luogo tradizionalmente attribuito alla sepoltura di San Pietro, raffigurava le teste di Cristo e dell’apostolo Pietro, accompagnate da quattro parole greche: catabasis, anabasis, anastasis, dexiost(a)sis — discesa agli inferi, ascensione, resurrezione e “siede alla destra del Padre”.
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Secondo l’archeologa Margherita Guarducci, che studiò il graffito e ne pubblicò l’analisi nel 1953, la scena definiva un Vangelo visivo, una professione di fede antecedente addirittura alla formulazione ufficiale del Credo niceno. Un documento vivo capace di raccontare come i cristiani delle origini interpretassero la figura del Cristo molto prima che la teologia diventasse istituzionale.
La parte più enigmatica della composizione sta in una figura formata da due uccelli con un unico corpo posta sopra la testa di Cristo. A suo giudizio si trattava di una fenice, simbolo di rinascita e immortalità nella cultura antica, reinterpretato qui come metafora della Resurrezione: un Cristo-Fenice, figura potente del Risorto destinato alla vita eterna.
Se l’ipotesi fosse accolta pienamente, avremmo di fronte uno dei primi tentativi figurativi di rappresentare il mistero cristiano non come narrazione lineare, ma come ciclo rigenerativo. Per anni, però, gli studi della Guarducci rimasero in ombra. Solo recentemente, grazie al volume di Tiziana Lupi La tomba di san Pietro. La storia dimenticata di Margherita Guarducci e al riconoscimento tardivo del suo ruolo, l’archeologa è tornata al centro del dibattito storico-culturale che potrebbe riscrivere la storia del cristianesimo delle origini.
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