“Che te rode?” è un’espressione molto comune e molto usata a Roma e affonda le sue radici nella storia della città, più precisamente in quella di Trastevere.

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“Che te rode?” è un’espressione molto comune e molto usata a Roma e affonda le sue radici nella storia della città, più precisamente in quella di Trastevere.

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“Che te rode?”, il sul significato

In modo molto intuitivo, specialmente per chi abita a Roma, si può tradurre “che te rode?” con una semplice sensazione di fastidio. In particolare stiamo parlando del prurito in una specifica parte del corpo.

Quando si pone la domanda “che te rode?” a qualcun altro, ad ogni modo, si fa riferimento ad un comportamento preciso. Molto spesso la persona a cui si è rivolta la domanda appare infastidita e taciturna, indice del fatto che non sia propriamente serena.

L’etimologia

“Che te rode, ‘a piazzetta o er vicolo der Moro?” è la versione più estesa di questo modo di dire. Una versione che ci aiuta per indagare le origini del detto, coinvolgendo il vicolo del Moro.

È infatti proprio in questo vicolo, nel cuore di uno dei rioni più antichi di Roma, fra piazza Sant’Apollonia e piazza Trilussa, che si trova la celebre strada che ha ispirato questo modo di dire.

Si tratta di una piccola e caratteristica viuzza costellata di edifici storici. Il suo nome sembra derivi da un antico Caffè situato in un angolo della strada, denominato proprio il “Caffè del Moro”.

Protagonista di una vicenda riguardante questa via fu Romeo Ottaviani: nel 1910 l’uomo, conosciuto col soprannome di “er Tinèa” ed entrato nell’immaginario popolare come uno dei più coraggiosi e potenti “bulli” della città, venne assassinato proprio in vicolo del Moro mentre passeggiava con la moglie.

Americo Giuliani ambientò nel 1911 la sua opera “Er fattaccio”, proprio della piccola strada trasteverina. Oggi la strada è molto conosciuta a Roma, ma il detto “che te rode?” fa riferimento proprio alla sua scarsissima notorietà passata. Più di un secolo fa vicolo del moro era una stradina buia, poco trafficata, secondaria e, forse, anche molto pericolosa. Da qui l’identificazione con il “prurito” a cui fa riferimento il modo di dire.