Risponde al quesito l’ufficio legale di Oipa: la miglior decisione è inserire i quattrozampe in un accordo prematrimoniale. A decidere dell’affidamento il Giudice civile.

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Se i padroni divorziano, Micio e Fido che fine fanno? Ad oggi non è così strano che una coppia che si separa litighi per l’assegnazione dell’animale di famiglia, che diventa anche strumento di ricatto o ripicca. Ma come funziona in questi casi?

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A mettere i puntini sulle i ci pensa l’Oipa, l’Organizzazione internazionale protezione animali, che spiega come al suo ufficio legale arrivino spesso richieste d’informazioni sul tema. Discriminante per le decisioni finali il fatto che la coppia sia o meno sposata. Il discorso cambia se il destino del cane o del gatto viene inserito in un accordo prematrimoniale.

I padroni divorziano, e i pets?

Se i due proprietari sono sposati e divorziano, gli ex coniugi possono separarsi o meno consensualmente: se sono d’accordo, decideranno in autonomia con chi va l’animale domestico. Se non lo sono, l’animale è trattato alla stregua di un oggetto durante l’accordo di separazione e risulta nella spartizione dei beni tra gli ex coniugi.

È però confortante (e un vero e proprio caso di scuola) la decisione del giudice del Tribunale civile di Milano nel 2013, chiamato al controllo di un accordo di separazione. Il magistrato confermò la correttezza della decisione presa da una ex coppia sull’affido e sulla gestione dei gatti di casa: gli animali sono stati affidati alla madre di famiglia, prevedendo per quest’ultima l’obbligo di provvedere al mantenimento e  alla cura degli stessi con il concorso, da parte dell’ex marito, alle spese straordinarie come, per esempio, la visita dal veterinario o l’acquisto di medicinali. In questo modo si è riusciti a mantenere laconvivenza dei gatti con la figlia minore presente in casa, senza spezzare il legame sentimentale tra quest’ultima e i felini.

Quel che emerge dal provvedimento del giudice è che l’animale da compagnia non è una cosa, ma un essere senziente dotato di diritti, ed è giusto decidere la sua collocazione e il relativo mantenimento nell’ambito familiare. Altro caso: la decisione del Tribunale civile di Como, che nel 2016 ha precisato che l’accordo preso dai coniugi in separazione consensuale, anche sulla gestione dell’animale domestico, non è contrario all’ordine pubblico e può essere omologato dal giudice.

Se i padroni divorziano, ma non erano sposati?

Quando a separarsi è una coppia di fatto, tutta sta alla buona volontà dei due di trovare un accordo: se non si riesce, è opportuno affidarsi a un legale di fiducia per conciliare e di trovare una soluzione che tenga conto del benessere dell’animale, oltre che del sentimento della persona. Se nemmeno in questo modo si giunge a una conclusione, il consiglio è quello di rivolgersi al giudice civile affinché possa disporre l’affido (esclusivo o congiunto) dell’animale, a prescindere dalla relativa intestazione presso l’Anagrafe degli animali d’affezione che, ricordiamo, è obbligatoria per i cani (l’iscrizione all’Anagrafe dei gatti è invece obbligatoria solo in Lombardia e in Puglia, essendo materia della legislazione regionale).

Il consiglio dell’avvocato

«Per evitare eventuali problemi futuri, consigliamo a coniugi e conviventi di scrivere un accordo avente a oggetto la detenzione, la custodia e il mantenimento dell’animale domestico in caso di scioglimento della coppia accordandosi, per esempio, su affido, spese, vacanze, visite e così via», spiega l’avvocato Claudia Taccani, responsabile dell’Ufficio legale dell’Oipa. «Si tratta di un vero e proprio vincolo lecito tra le parti, che può essere sancito autonomamente con scrittura privata firmata da entrambe e che può essere fatta valere davanti al giudice nel caso si apra, nonostante gli accordi presi, un contenzioso».