Il 24 gennaio 2020, al Teatro Vascello, la finale e le premiazioni del Roma Fringe Festival 2020. In scena: Antigone, del Collettivo Imperfetto di Roma, La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza, di Les Moustaches di Bergamo, S’Accabadora, di Anfiteatro Sud di Cagliari

In giuria: Manuela Kustermann, Raffaella Azim, Ferruccio Marotti, Italo Moscati, Valentino Orfeo, Pierpaolo Sepe, Ulderico Pesce, Pasquale Pesce

24 gennaio 2020, ore 19.00 – Teatro Vascello, Via Giacinto Carini, 78.
Biglietto per i 3 spettacoli 10 euro

Dopo la fitta programmazione che dal 6 al 17 gennaio ha visto 24 debutti alternarsi sui palchi del Roma Fringe Festival 2020 alla Pelanda, il festival italiano del teatro indipendente, il primo Fringe della penisola, si concluderà il 24 gennaio presso il Teatro Vascello con una serata staffetta che vedrà in scena i 3 spettacoli finalisti, per decretare il vincitore dell’ottava edizione.

A decidere chi saranno i vincitori del Roma Fringe Festival 2020 sarà una giuria composta da Manuela Kustermann (presidente di Giuria) Ulderico Pesce, Valentino Orfeo, Ferruccio Marotti, Pasquale Pesce, Pierpaolo Sepe, Italo Moscati, Raffaella Azim, insieme a un parterre stampa che assegnerà il premio della critica. Tra i premi 2020, inoltre, si aggiunge una novità: l’introduzione del Premio Alessandro Fersen per la ricerca e innovazione che verrà direttamente dalla Fondazione Alessandro Fersen.

Gli spettacoli finalisti del Roma Fringe Festival 2020 che si contenderanno i premi sono: Antigone, del Collettivo Imperfetto di Roma, regia e drammaturgia di Alessandro Anil con Sofia Taglioni, Giovanni Serratore, Francesco Lamantia, Piero Cardano, Angelica Prezioso; La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza, di Les Moustaches di Bergamo, drammaturgia di Alberto Fumagalli, regia di Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli, con Giacomo Bottoni, Francesco Giordano, Antonio Orlando; S’Accabadora, di Anfiteatro Sud di Cagliari, regia e drammaturgia di Susanna Mameli con Elisa Pistis e Marta Proietti Orzella, musiche di Paolo Fresu, produzione videomapping e realtà aumentata di Michele Pusceddu e Francesca Diana.

Oltre agli spettacoli, il Roma Fringe Festival 2020 conferma la sua visione di osservatorio organizzando una sessione di dibattito Fringe Talk due giornate di studio il festival dedica alla riflessione sulle politiche di sviluppo del teatro indipendente, a testimonianza dell’attenzione che il Fringe rivolge, fin dai suo inizi, al Teatro Indipendente e al suo sostegno. Come lo scorso anno a coordinare i lavori, che si terranno nei giorni 21 e 22 gennaio dalle ore 10,00 alle ore 13,00, sarà Ferruccio Marotti, Professore Emerito di Discipline dello Spettacolo dell’Università di Roma “La Sapienza”. Ad ospitare le giornate di studio sarà l’Università di Roma Tre, Dipartimento di Architettura, Sala Musmeci, Padiglione 8, all’interno del complesso del Mattatoio, a Testaccio. Interverranno: Fabio Galadini, Direttore Artistico Roma Fringe Festival; Luca Ruzza, Docente di Performance Design, Facoltà di Architettura Università di Roma “La Sapienza”; Marco Ciuti, Direttore organizzativo e amministrativo del Teatro Vascello di Roma, Centro di Produzione Teatrale; Roberta Scaglione, Socio fondatore e co-direttore Pav snc; Giulio Baffi, Presidente dell’Accademia di Belle arti di Napoli, Presidente dell’Associazione nazionale dei Critici di Teatro / Anct, critico teatrale della redazione de la Repubblica/Napoli; Davide Ambrogi, Presidente Fringe Italia e fondatore Roma Fringe Festival.

Spettacoli finalisti.

Antigone, Collettivo Imperfetto proveniente da Roma, regia e drammaturgia Alessandro Anil con Sofia Taglioni, Giovanni Serratore, Francesco Lamantia, Piero Cardano, Angelica Prezioso.  Il punto di partenza di questo lavoro è stato nell’indagare il contatto fra una tragedia scritta agli albori della civiltà occidentale e il nostro presente, non solo a livello tematico, ma anche formale. In altri termini, questo ha voluto dire indagare la tipologia di teatro che è stata la tragedia ai tempi della Grecia e fare in modo che questo nucleo si possa aprire nel qui e ora. Da ciò è nata l’inevitabile esigenza di creare una micro-comunità, attraverso l’incontro fra attore e spettatore, all’interno di ciò che oggi può svolgere il ruolo più vicino a un rito sociale; e in un secondo momento calare progressivamente la tragedia all’interno di questa particolare cornice situazionale. Per questo motivo lo spettacolo ha assunto il carattere di un convivio, un incontro fra una conferenza e l’ultima cena, dove il pubblico inizia a far parte dello spettacolo, gli attori raccontano se stessi, le proprie storie, scherzano, offrono da bere e da mangiare, s’interrogano sui vari temi, improvvisano sul testo in base alla conversazione occasionale e lentamente si iniziano a definirsi i personaggi secondo i loro modi e le differenti posizioni sugli argomenti. È in questa situazione apparentemente festante che si sviluppa la tragedia. Lo spettacolo ha iniziato a svolgersi in un contesto puramente performativo, aperto a continui cambiamenti in base alle persone, alle loro vite in quel determinato momento e alle situazioni di volta in volta create. Il carattere imprevedibile che nasce dalla richiesta fatta agli attori di ancorare ogni parte del testo, ogni situazione, al presente del qui e ora, ricreando così l’unica possibile via di microcomunità, è stata la ricerca estetica del progetto. A questo siamo stati sempre fedeli. Una fedeltà che nasce dal progetto stesso. Hegel dice dell’Antigone “La manifestazione più pura di un’individualità che abbiamo in occidente.”

La difficilissima storia della vita di Ciccio Speranza di Les Moustaches di Bergamo, drammaturgia di Alberto Fumagalli, regia di Ludovica D’Auria e Alberto Fumagalli con  Giacomo Bottoni, Francesco Giordano, Antonio Orlando, costumi di Giulio Morini. Ciccio Speranza è un ragazzo grasso, ma leggero, con un’anima talmente delicata, che potrebbe sembrare quella di una graziosa principessa nordeuropea. Ciccio Speranza finge una villosa eterosessualità con la propria famiglia, ma è un omosessuale fiero e incallito. Ciccio Speranza vive in una vecchia catapecchia di provincia, dove la televisione non sempre funziona e i telefoni cellulari vengono schiacciati come scarafaggi. Ciccio Speranza si sente soffocare, come una fragile libellula rosa in una teca di plexiglas opaco. Ciccio Speranza ha un sogno troppo grande per poter rimanere in un cassetto di legno marcio: vuole danzare. In una sperduta provincia di un’Italia sperduta, la sperduta famiglia Speranza vive da generazioni le stesse lunghissime giornate. Sebastiano è il padre di Ciccio, violento e grave come un tamburo di pelle di capra in un concerto di ottavini. Dennis è il fratello di Ciccio, con un’apertura mentale di uno che va a Bangkok e spacca tutto perché non sanno fare pasta, patate e cozze. Solo, in fondo, nella sua fragilità, Ciccio vuole scappare da quel luogo che mai ha sentito come casa. Attraverso il suo gutturale linguaggio, il suo corpo grassissimo e i suoi sogni impacciati, il nostro protagonista, in un tutù rosa non smetterà mai di danzare, raccontandoci la sua vita così come la desidera. Ciccio appartiene ad un mondo lontano, senza alcuna possibilità di esaudire i propri sogni. Il suo destino è segnato, il suo carattere è condizionato, i suoi sogni sono soffocati da un ambiente che gli sta stretto come un cappottino antigelo sta stretto ad un bulldog inglese. Dunque, perché rattrappire i propri istinti? Solo perché la cicogna ci ha fatto cadere lontano dalla terra promessa? Perché sentirsi schiacciati da una famiglia che non vuole conoscere un mondo che sta oltre il proprio campo di fagioli?

S’Accabadora di Anfiteatro Sud, proveniente da Cagliari, liberamente ispirato a “Le Serve” di J. Genet, regia e drammaturgia di Susanna Mameli con Elisa Pistis e Marta Proietti Orzella, musiche di Paolo Fresu, soggetto e regia video di Susanna Mameli, produzione videomapping e realtà aumentata di Michele Pusceddu e Francesca Diana. Siamo nella tana de s’accabadora. La sua serva, mentre sistema e rassetta la stanza, racconta i fatti della padrona. Attraverso il filtro dei pettegolezzi e dell’amore-odio della serva verso la sua padrona, ecco levarsi l’immagine castigata di Antonia, ora come levadora, ora come incantadora e infine accabadora. Levatrice, donna delle medicine, donna che pone fine alle sofferenze dei moribondi, ma anche figura crepuscolare solitaria, sfuggente e schiva. Si sa che da fanciulla fu abbandonata sull’altare sotto lo sguardo armato dei fedeli. Si dice di come i fiori le si appassirono in volto, si racconta di come nessuno osò fermarla e della mano pietosa che fece cigolare la porta della chiesa, consegnandola alla luce divorante del mezzogiorno. Il cielo bisogna guadagnarselo, e Antonia si fa serva e missionaria degli uomini in terra, affaticandosi a fare quello che nessuno vuole o ha il coraggio e la forza di fare: aiutarea nascere e morire. La “serva” e la “padrona” si ca vano i peccati dall’anima con crudele affetto, uno ad uno, fino a che la serva rivela il gioco orrendo e chiede la Pietà che Antonia ha sempre reso altrove. Ma per Antonia, questa volta, è diverso. Note – Accabàdora, dalla lingua sarda accabare = finire, terminare, dare fine.

I 3 spettacoli in gara sono stati selezionati da una giuria di qualità su 24 debutti provenienti da Italia, Inghilterra, Svizzera, Messico. Si è trattato di prime nazionali assolute, inizialmente scelte dalla commissione artistica guidata da Fabio Galadini: “pezzi unici”, tra commedia di tradizione italiana, comicità, noir, drammi, teatro civile e commedie, per raccontare un paese e una società dalle tante e complesse sfaccettature, offrendone uno spaccato non solo teatrale ma anche sociale, politico e storico. Con particolare riferimento al tema dell’inclusione e della diversità.

“Indipendente è una parola chiave anche per questa edizione” spiega il direttore artistico Fabio Galadini “perché da questo concetto abbiamo creato, grazie all’adesione di 12 teatri in tutta Italia, a partire dal prestigioso Teatro Vascello di Roma, un circuito che abbiamo chiamato Zona Indipendente. Una rete di 12 teatri che ospiteranno, nella stagione 2020/2021, lo spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019. Questo, insieme alla possibilità di partecipare a uno dei fringe europei, è un premio, che al di là di riconoscimenti o titoli rappresenta in concreto una seria opportunità per l’artista o la compagnia vincitrice di far conoscere il proprio lavoro”.

Il Roma Fringe Festival è promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e Azienda Speciale Palaexpo