128 pianisti, musicisti, musicologi, direttori d’orchestra, cantanti e attori, 19 orchestre, cori e gruppi da camera per un totale di oltre 500 protagonisti: sono questi i numeri che hanno trasformato il Liszt Festival di Albano in uno degli appuntamenti più seguiti della stagione invernale e che quest’anno, arrivato alla sua trentesima edizione, ha deciso di offrire agli appassionati due mesi di programmazione con grandi ospiti da Ucraina, Bulgaria e Italia con Orchestra Tzigana di Budapest,  Antal Szalai, il più grande violinista tzigano del mondo, l’Orchestra da Camera di Stato dell’Ucraina, Anna Bulkina, Roberto Cappello e molti altri.

Tutto con la direzione artistica di Maurizio D’Alessandro che per l’occasione abbiamo incontrato per parlare di uno dei festival italiani di musica colta più longevi e autorevoli.

Il Liszt Festival quest’anno compie 30 anni…ma come è nato?

E’ stato ideato da me per recuperare una memoria storica, ovvero la presenza di Liszt ad Albano già nel 1839 per continuare ancora in varie occasioni dal 1864 in poi fino al famoso canonicato di Albano del 1879.

Che cosa è cambiato da 30 anni fa a oggi?

Molte cose a cominciare dalla ricezione della musica di Liszt, ovvero dall’acquisizione via via da parte del pubblico di quella consapevolezza che la sua musica non è stata solo e soltanto puro virtuosismo, ma anche molto altro. Questo è stato lo stereotipo per molto tempo. E’ cambiato quindi l’atteggiamento di partecipazione ai concerti: ovvero vivere l’evento musicale non più fine a se stesso ma in sincretismo con un arco culturale più ampio dove musica, arte, letteratura, apprezzamento estetico e quant’altro siano comprensibilmente vissuti nelle loro interrelazioni.

Qual è stato e qual è oggi il rapporto tra Liszt, la sua musica e Albano, piccolo gioiello del Lazio?

Ma intanto non è corretto restringere geograficamente. Molte sono le persone che vengono ai concerti anche da fuori regione. Le sfaccettature di quello che lei giustamente definisce gioiello sono molte. Una fra tante è che la sistematica proposizione di repertori lisztiani, invero mai esclusivi,  ha aperto a generi e forme musicali sconosciute per molte persone. Ribadire l’esecuzione e l’interpretazione rende viva l’opera d’arte musicale  innescando quanto meno anche  quella curiosità, a volte stupore che è dinamismo per la conoscenza in senso lato

Organizzare un festival di musica colta sembra una sfida soprattutto rispetto alla poca attenzione che i media danno alla classica: voi che riscontri avete sul territorio? Come risponde il pubblico?

E’ vero, soprattutto in Italia. Altrove la musica classica non soffre di questa disattenzione, espressione, a mio parere, del decadimento  culturale trasversale iniziato con quel potente veicolo che è stato ed è la televisione, che da tempo imperversa sul nostro Paese sebbene qualche segnale, qua e la, si vede. I riscontri per quanto riguarda il nostro festival sono tutti positivi, sebbene il lavoro sia tanto per mantenere alto il livello di qualità. La regolarità della manifestazione ha abituato il pubblico che è progressivamente e notevolmente aumentato. Abbiamo notato anche un incremento di pubblico giovane.

Tra pubblico e privato, che cosa sta succedendo ai festival di portata internazionale in Italia? Le istituzioni vi appoggiano?

La farraginosità e la burocrazia dei sistemi di valutazione in Italia sono ben noti e non incoraggiano. Il tessuto associazionistico, che al pari delle piccole e medie imprese sul versante  produttivo è una evidente realtà, e che costituisce un motore pulsante a livello quasi capillare sul territorio nazionale, è in forte sofferenza in Italia. I contributi sono esigui, integrati da piccole sponsorizzazioni. Al solito è sempre grazie alla buona volontà e alla passione che le cose rimangono in vita. Nei paesi scandinavi quando la società risente di criticità d’ordine economico si investe su ricerca e cultura. Così accade in molti paesi europei importanti … che dire?!