Michael Franti, Soulrocker e la filosofia del positivo: 'Abbiamo bisogno di umanità'

Si intitola Soulrocker il nuovo album di Michael Franti & Spearhead. Il nono, per l’esattezza, e il primo pubblicato sotto l’egida della Fantasy Records.

Distribuito il 3 giugno e prodotto con Stephen ‘Di Genius’ McGregor e Dwayne ‘Supa Dups’ Chin Quee, Soulrocker porta con sé tutta la filosofia ‘ottimista’ del frontman Michael Franti, già del resto evidente nel singolo Crazy For You e nei precedenti lavori dell’artista. Stavolta, però, le tematiche socio-politiche si fondono con una ‘spruzzata’ di musica elettronica, con cui Franti si è divertito a sperimentare.

Qualche settimana fa abbiamo incontrato Michael nella sede milanese della Universal, pochi giorni prima del suo unico concerto italiano (a Bologna), e abbiamo parlato a lungo di musica, cambiamenti globali e politica.

“Il nostro primo album era un disco d’artigianato. – ci spiega Michael – Quando ho iniziato a fare musica usavo pochi strumenti e sapevo il fatto mio. In questo lavoro volevamo combinare diversi elementi, molte canzoni sono venute fuori elettroniche. Non è stato niente di programmato, semplicemente nel corso degli anni abbiamo sviluppato la nostra sonorità, soprattutto negli ultimi due album era possibile già intravedere questo sound. Ho poi lavorato con due grandi produttori, che frequentano molto il mondo della dancehall e del reggae e che hanno dunque voluto movimentare tutti i brani. Abbiamo fatto ciò che ritenevamo giusto”.

Attenzione però a definire Soulrocker un album di protesta: per Michael, piuttosto, è un disco che ben si adatta a tempi politici difficili e che “incoraggia la gente ad essere coinvolta”. 

“Credo che la protesta sia utile solo quando crea progresso – specifica il cantautore – e più la gente è coinvolta, più ci sarà progresso. In America ora la gente è frustrata, arrabbiata, triste. Abbiamo bisogno di umanità e credo che la musica in questo giochi un grande ruolo. Penso che ora più che mai la gente senta il bisogno di ascoltare musica che racconti ciò che sta accadendo. Dobbiamo avere gli occhi ben aperti, ma nello stesso tempo non spaventarci al punto da desiderare di non essere coinvolti. La musica è un ponte, aiuta a trovare un equilibrio”.

Nonostante Michael dica quindi chiaramente che non sappia più “cosa significhi la protesta” e si chieda se valga la pena fare dei dischi che partano da quel presupposto, rivendica anche una certa posizione nel mercato discografico americano, dichiarando che l’unico motivo per cui ha sempre fatto musica è “perché la gente merita di essere felice, in salute e con le stesse opportunità. Vorrei che ci fosse più musica in giro che desse questo messaggio. Ma anche più film, più fotografie, più insegnanti, più tutto”.

Gli chiediamo dunque se sia veramente convinto, in fin dei conti, che la musica possa cambiare il mondo.

“Secondo me è importante capire i grandi cambiamenti. Non credo che diventeremo mai tutti hippie (ride, ndr). Il tipo di cambiamenti che mi auguro sono in linea, ad esempio, con le parole del Dalai Lama. Abbiamo bisogno di gente con più compassione nel mondo. Non semplicemente gente che empatizzi col prossimo, perché non abbiamo bisogno di persone gentili. Abbiamo bisogno di gente che faccia qualcosa, che riduca le sofferenze degli altri. La musica secondo me ha questa funzione, l’ha avuta con me e con tanta gente con cui sono cresciuto. Qualche nome? Bob Marley, Johnny Cash, Santana, Bob Dylan, Stevie Wonder… penso però che ogni singola persona abbia un ruolo in questo senso e possa aiutare. Se non può farlo la musica, cosa può?”.