Nuova musica ma soprattutto un nuovo approccio e la voglia di raccontare anche le ombre: la nostra intervista a Wayne.

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Dopo Dirty Love, Wayne prosegue il suo percorso da solista con il singolo Veleno di Vipera, uscito il 16 giugno. Un brano che da subito sembra lasciarsi alle spalle i fasti della Dark Polo Gang, senza rinunciare a una buona dose di cassa dritta. È una nuova era per Wayne Santana (aka Umberto Violo) caratterizzata dalla volontà di raccontarsi a 360 gradi e in modo più intimo.

Wayne: la genesi di Veleno di Vipera

«Sono stato al Canova Camp. – ci dice subito Wayne – Canova organizza un po’ di sessioni all’americana con un miscuglio di persone. Ci siamo ritrovati in questa session e ho fatto ascoltare le mie cose. Già questo ci ha dato l’ispirazione su dove andare. Insieme a Vincenzino, uno dei produttori, siamo partiti con questa roba super bangerosa. Avevo questo claim sul veleno di vipera, che si usa anche come filler. Mi dava l’idea di qualcosa di sensuale, cattivo, estetico. Così è nato il brano».

Un brano di cui Wayne Santana si dice contento, perché prosegue soprattutto un lavoro sul sound fortemente ispirato al synth-pop e alla synthwave. «Sembra monotematica – commenta – ma ha tante sfumature e me ne sono accorto lavorandoci. Veleno di Vipera ha una sfumatura più dark rispetto a Dirty Love e ha una cassa dritta che racconta parte di me. Tra il mondo techno e il mondo trap, a livello di serate, peferisco la techno. La serata è più paritaria, non ci sono distinzioni. È tutto molto organico e mi ci trovo di più. Credo che questo brano racconti ciò che vivo nella note e nelle mie follie».

Nuova musica per un nuovo pubblico

Son due tasselli i primi singoli che iniziano a disegnare un percorso ben preciso. «Spero – ci dice Wayne – che tante cose fighe creino questo nuovo progetto e che si possa dire che ha del contenuto. So che molti li farò scontenti, molti però saranno contenti e vorrei concentrarmi su di loro. Purtroppo o per fortuna, ho fatto un percorso che mi ha ingabbiato in alcune dinamiche. Uscirne è difficile perché la gente non accetta che cambi idea. Tante persone non mi conoscono, ma ho deciso di non guardare chi mi dice che sto sbagliando. Ci sta anche che se fai nuove cose arriva un nuovo pubblico».

Del resto, facciamo notare a Wayne, il cambiamento fa anche parte di un percorso umano oltre che artistico. «Sì, soprattutto se non vuoi dire menzogne e rimanere legato a strutture che funzionano. – risponde – Io sono bipolare, non perché son matto ma perché mi piace esprimermi in vari modi. Credo che la musica abbia quell’esigenza. Non riesco a essere una cosa sola. Ho detto basta e poi ho capito che posso anche modificarmi ed evolvere. È un percorso che va fatto digerire. Se devo indossare solo un vestito piuttosto mollo, mi annoio. Mi devo divertire, a me piace la musica che faccio e punto ad essere felice quando sento le mie cose. Sto ritrovando quella felicità».

Wayne e il valore della libertà

Tutti questi presupposti sono stati in parte espressi da Wayne sul palco del Primo Maggio: l’artista, durante un intenso monologo, ha dichiarato che di fatto la libertà è di plastica. «Non volevo prendere una posizione politica e sociale, ma dire ai ragazzi che se vogliono cambiare vita possono farlo. – commenta – Perché rimanere legati a chi ti dice di non farlo? Non abbiamo nulla da perdere. Se parliamo di soldi e hype però vuol dire che sei già schiavo. Gli artisti devono essere liberi».

Liberi – precisa Wayne Santana – soprattutto di esprimersi. «Già non possiamo dire niente perché se no parte il dibattito. – precisa – Ormai è meglio stare zitti che dire qualcosa: è limitante. Siamo un po’ schiavi in questo senso. Sentiamo e vediamo le opinioni di tutti e questa cosa ci terrorizza. Ci sono persone che parlano e dopo dieci minuti devono chiedere scusa. Questa non è libertà. Certo, bisognerebbe dire cose intelligenti, però è vero che devi stare attento a quello che dici se no perdi ciò che hai costruito. Io preferisco perdere tutto e ricominciare».

Una libertà che si sta ora manifestando nella musica prodotta. «Per anni ho comunicato in modo interessante, ma non sono mai stato in grado di comunicare Umberto. – conclude Wayne – Non ho mai espresso le cose più intime. Non perché non potevo farlo, ma perché non ne sentivo l’esigenza. Ora vorrei recuperare. Del mio lato egocentrico e pazzo ho dato tanto, ho parlato meno delle cose che mi feriscono e delle mie debolezze. Pensavo fosse sbagliato farle vedere, ma ora ho capito che è un’arma a doppio taglio. La soddisfazione deve essere tua. Molti artisti trap ci sono riusciti, io parlo dei miei limiti».

Difficile anche però esprimere se stessi quando si è parte di un trio. «Ero dentro uno schema e non scrivevo quello che volevo. – precisa infatti Wayne – Ora non punto a persone troppo piccole che non capiscono. Se senti la mia roba, devi capire qual è il mio viaggio e avere la consapevolezza di ritrovarti in certe cose. Spero di arrivare a persone che mi capiscono veramente e non solo per il momento». Di sicuro, il percorso di Wayne proseguirà su questi binari con un obiettivo ben preciso in testa. «Vorrei – dice – portare questa roba live, ai Magazzini Generali. Voglio ripartire da una roba giusta, dal contatto con le persone. Vorrei farlo però con delle tracce fuori e che si creasse un po’ di magia».