Per il suo (attesissimo) ritorno, Ermal Meta ha scelto di portare in radio ‘Male più non fare’ con Jake La Furia, brano che anticipa il prossimo progetto. L’intervista.

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Quello di Ermal Meta era uno dei ritorni più attesi della stagione e il brano scelto per l’occasione non ha deluso le aspettative. Dallo scorso 1° dicembre è, infatti, in radio e digitale Male più non fare, singolo in collaborazione con Jake La Furia, riuscitissima traccia apripista di un progetto discografico in arrivo nel 2024. Nel singolo due mondi che sulla carta sembrano agli antipodi riescono a suonare perfettamente sulle medesime corde, nel segno di una libertà di espressione che è anche la sostanza del testo. Il duetto che forse non ti aspetti si rivela, così, più che piacevole all’ascolto, con le voci dei due artisti che si ‘parlano’ e si incastrano con grande naturalezza.

Ma come è nato il brano? E quali sono i progetti in cantiere? Ce lo racconta lo stesso Ermal Meta.

Ermal Meta Jake La Furia
Cover da Ufficio Stampa

Hai scelto l’ultimo mese dell’anno per tornare con un nuovo brano ma, facendo un passo inedito, che periodo creativo stai vivendo? E come arriviamo a Male più non fare?
Ho iniziato all’inizio di quest’anno a scrivere, anzi avevo già iniziato prima, per dire la verità. Ho scritto tanto e, in riferimento a questa canzone, quando mi sono trovato in studio a lavorarci, penso che sia stata lei stessa a chiedermi un altro punto di vista. Non soltanto differente dal mio, ma anche abbastanza distante. Avevo conosciuto Jake mesi fa durante una trasmissione televisiva, c’è stata subito simpatia fra di noi e ho pensato potesse essere la persona giusta. L’ho chiamato, ci siamo visti in studio e, come pensavo, il suo punto di vista ha spostato gli equilibri all’interno di questa canzone. Devo dire che è stato immediatamente efficace, oltre che efficiente, perché ha scritto veramente in pochissimo tempo. Sono felice di aver avuto ragione in questo senso. Come dicevo, ci siamo trovati molto bene umanamente e musicalmente, cosa che non è scontata. Ci siamo trovati molto bene.

Allargando lo sguardo, questo brano è il primo tassello di un nuovo progetto. Come hai lavorato in questi mesi?
Per rispondere anche alla tua domanda precedente, la fase creativa si è conclusa perché il disco è praticamente finito nella scrittura ed è stato un processo abbastanza variegato. Ho scritto ogni canzone in un modo e con un approccio diverso. La bellezza della musica è che è facile giocarci, puoi giocare tanto e a me è sempre piaciuto farlo. Per ogni canzone sono partito da qualcosa di diverso che, nel caso di Male più non fare è stato un giro di basso con strumenti analogici. Da lì si è aperto un percorso creativo. In altri casi sono partito da un arpeggiatore, da una chitarra acustica o dal piano. L’approccio è sempre molto vario ma anche istantaneo e ho cercato di fotografare immediatamente i diversi momenti. Sarà un album con tante fotografie: le istantanee hanno il grande pregio che, anche quando non sono perfette, sono perfette per quel momento.

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Ti sei concesso tempo e libertà, dunque.
Questo tipo di approccio mi ha dato tanto nel corso di quest’anno perché mi sono concentrato, di volta in volta, su cose sempre nuove ed è stato molto bello lavorare così. Personalmente non ho mai fatto writing session per i miei dischi, ho partecipato a tante quando facevo l’autore. Questo disco è stato fatto in Puglia, mi sono trasferito lì, in uno studio in casa, in maniera se vogliamo banale ma è anche la più comoda. Senza orari, né schemi: ho scritto in maniera molto libera. Se mi veniva in mente di scendere in studio alle otto di sera, lo facevo, e magari ci stavo fino alle 5 di mattina. Godere di questa libertà durante la fase creativa è importantissimo, secondo me, perché regala un approccio molto libero e istantaneo sotto tutti i punti di vista: arrangiamenti, orari e, perché no, la strumentazione da utilizzare.

E quelli che fanno il mio stesso lavoro sanno esattamente di cosa parlo. Mi confronto costantemente con altri colleghi e amici, tutti concordano sulla stessa cosa: non sempre andare in studio alle 10 di mattina, perché devi andarci, ti porta necessariamente a un risultato. Poi, magari succede, ma dipende da quello che vuoi ottenere. Può sembrare un approccio in apparenza frammentario ma in realtà non lo è, perché per quel che ho potuto vedere è come seminare e poi tornare sulla semina dopo un po’. Nel frattempo, si lasciano sedimentare le canzoni e le idee.

Ermal Meta Jake La Furia
Foto da Ufficio Stampa

E, poi, certo, la parola ‘tempo’ è un po’ la chiave, sì. Quando fai delle writing session il più delle volte questo tipo di libertà non ce l’hai perché sei se c’hai il diktat del tempo che devi rispettare. Il tempo diventa, poi, qualcosa di prezioso da coltivare. A pensarci, poi, tutti gli altri dischi li ho fatti sempre prima di andare a Sanremo e anche ‘Trubù urbana’ lo avevo finito in dicembre. Quindi nel 2015, 2016 e 2017 mi sono trovato a dover sempre chiudere gli album entro fine anno. Per fortuna avevo tante canzoni, quindi il lavoro di scrittura era già stato fatto e semplicemente ho registrato le cose che andavano registrate di nuovo e ho curato la produzione. In questo caso, ho avuto più tempo. Il prossimo disco è l’unico disco che ho terminato prima.

Ma hai scelto dicembre per il primo singolo…
Vero, il link c’è perché è uscito a dicembre (sorride, ndr).

In Male più non fare emerge l’invito alla libertà di esprimersi e ancora prima a quella di pensare. Per citare un passaggio del ritornello, dici: Pensa pure come sai fare, serve un gran coraggio / Insieme a un testo micidiale per farsi rispettare. Quanto coraggio serve oggi per pensare in maniera libera e non condizionata?
Beh, tanto. Dipende anche dall’ambito all’interno del quale ti muovi, perché tutti noi siamo soggetti all’ambito nel quale ci muoviamo. Riuscire a essere libero e non condizionato dall’ambiente in cui vivi, soprattutto da quello in cui lavori, richiede un gran bell’esercizio con te stesso. Il coraggio non è soltanto il coraggio di sapersi prendere delle cose, ma anche di saper rinunciare a delle cose. A volte, infatti, devi lasci andare delle cose per fare spazio ad altre. Questa è, sicuramente, una visione più a lungo termine e progettuale, ma è qualcosa che richiede comunque una dose di coraggio.

Sai, poi, il coraggio è una cosa che affronti tutti i giorni, ti serve sempre. Fuori e dentro perché magari accadono cose per le quali non credevi di dover essere coraggioso. Quindi, il coraggio non è soltanto quello che fai, ma è il modo in cui tu sei, il modo in cui sei fatto; è la tua pasta. A volte è solo più facile seguire lasciarsi trasportare dalla marea ma se ci pensi bene, se ne sei consapevole, serve coraggio anche in questo. Perché verrai portato in un luogo diverso rispetto a dove volevi essere. E anche la consapevolezza richiede coraggio.

Sono fresche le prime classifiche di ascolto streaming annuali, a partire da Spotify e Apple Music, che confermano per l’Italia il monopolio maschile della Top 10. Per quanto questo sia un momento che sta premiando le donne nel pop. Come te lo spieghi?
Non te lo saprei dire, perché poi alla fine queste classifiche sono fatte in base agli ascolti che gli utenti mettono in pratica. Non ti saprei dire per quale motivo la classifica è dominata dagli uomini perché penso chi va ad ascoltare le canzoni lo fa in maniera libera. Nessuno impone di ascoltare un artista piuttosto che un altro. Penso che ci dovrebbe essere una sorta di divisione per genere delle classifiche, secondo me, perché il mondo del pop è diverso dal mondo del rap. Il pop ha ascolti diversi e una cultura di approccio diversa.

Quando parlo di cultura, intendo il modo in cui si presenta, anche da un punto di vista visivo, un artista pop che è diverso da un artista urban. Questo si rispecchia anche nella fruizione da parte degli utenti. È chiaro, poi, che quando accorpi queste classifiche, va da sé che nelle prime dieci posizioni ci siano artisti di quella natura, perché il pop ha un linguaggio diverso. Questo è il periodo storico dell’urban in tutte le sue accezioni, è più programmato, più ascoltato, eccetera. Quindi, è naturale che in questo periodo avvenga così, come in passato, c’è stato il periodo del cantautorato e la musica squisitamente pop negli anni Duemila.

Del resto, è vero anche il mondo urban ha poche esponenti donne.
Non è un ambiente che conosco molto bene, quindi non so se abbia molte o poche donne. In generale, però, mi viene da pensare che se facciamo delle classifiche pop, quest’anno sono dominate da Annalisa, Elodie e anche Madame. Perché il pop ha un linguaggio proprio diverso e credo che abbia anche più esponenti, rispetto al mondo urban. Mi viene da pensare questo, però non è detto che questa mia analisi sia giusta.

Un’altra osservazione che mi viene da sottoporti è che nelle classifiche di cui sopra mancano anche artisti provenienti dai talent per lo meno di questi ultimi anni. Credi il format del talent musicale stia patendo un po’ di stanchezza?
Io penso che i talent abbiano dato ai giovani artisti uno spazio che, a un certo punto è venuto meno. E parlo dello scouting, nel senso più canonico del termine. Tanti locali hanno chiuso e non si può più suonare dal vivo. Io l’ho vissuta questa transizione: quando suonavo in giro con le mie prime band c’erano molti più locali medi e medio piccoli. Questi sono scomparsi quasi del tutto e sono rimasti solo gli spazi quelli giganteschi o quelli piccolissimi. Ma quelli giganteschi ci arrivi dopo un po’, non li fai subito. Quindi, i talent hanno messo a disposizione la loro struttura e sono una piattaforma per far conoscere nuovi talenti. E ce ne sono stati tanti.

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Adesso che i talent siano un po’ stanchi… il format è sempre quello, non è che è cambiato, nonostante piccoli aggiustamenti. Se andiamo a guardare X Factor o Amici dieci anni fa, il format è quello: ci sono dei giovani talenti che si esibiscono e ci sono i giudici. È sempre stato così. Forse adesso il pubblico percepisce in maniera un po’ differente il modo in cui li guarda. Magari perché ce ne sono stati tanti in questi anni e le persone hanno voglia di scoprire qualcosa di diverso o scoprirlo in un modo diverso. Però, credo che i talent abbiano avuto un ruolo importante nel far conoscere dei giovani talenti che altrimenti non so se avremmo conosciuto.

Ermal Meta Jake La Furia
Foto da Ufficio Stampa

E ti dico anche un’altra cosa, che i talent sono stati importanti anche per gli autori. Con i talent è aumentato il numero di cantanti e non tutti scrivevano, quindi avevano bisogno di canzoni. Non a caso quel periodo è coinciso con quello in cui gli editori hanno cominciato a firmare tanti autori. E io ero fra questi. Con i talent anche gli autori hanno avuto la possibilità di farsi conoscere, anzi io e quelli della mia generazione abbiamo iniziato tutti da lì. Abbiamo iniziato a scrivere canzoni per i ragazzi che erano ad Amici o ad X Factor. Ho scritto tanto per Marco Mengoni, per Annalisa e per Emma, per esempio. All’inizio erano figli del talent, poi hanno preso la propria strada e sono diventati artisti di livello altissimo.

Dopo Male più non fare, e il raduno con i fan, che cosa ti aspetta ora?
Ci sarà un album, che non so esattamente quando uscirà, ma arriverà. E poi ci sarà un tour, che non vedo l’ora di fare, perché la musica dal vivo è sempre una grande esperienza, sia dal palco sia di fronte al palco. Nel mio caso, dal palco, e ne sono molto felice. Non vedo l’ora.

Foto da Ufficio Stampa