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Jack Garratt arriva in Italia con Phase: 'La musica non è competizione'.

In Italia il nome Jack Garratt ancora non risuona sulla bocca di tutti e in tutte le radio, ma siamo sicuri che dal 19 febbraio, giorno di uscita dell’album Phase, qualcosa cambierà.

Il giovane artista inglese (appena 24 anni) è infatti pronto a portare nell’etere nostrano le sue capacità da polistrumentista, che in patria gli sono valse un Best Critics’ Choice Award (premio conquistato negli anni precedenti da cantanti come Adele ed Ellie Goulding) e la vittoria ai BBC Music Sounds 2016.

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Le premesse sono dunque importanti e difatti, quando incontriamo Jack a Milano, l’artista non nasconde di sentire addosso il peso delle aspettative che si porta dietro, ma – con una scrollata di spalle e con molta filosofia – ammette anche che “gestire il tutto” fa parte del proprio ‘lavoro’. Insomma, è l’altro lato della medaglia, che arriva contemporaneamente e inesorabilmente insieme ai primi successi e ai primi riconoscimenti. Meglio parlare di musica, quindi, quella che a prescindere dal contorno resta la principale protagonista di ogni scalata alla fama che si rispetti.

“Il succo del suono che sto provando a creare è la conversazione. – ci spiega – Voglio portare la gente a parlare della mia musica, a chiedersi quali influenze riescano a cogliere in essa. Perché, lo so che è strano, ma le mie influenze diventano rilevanti nel momento in cui chi ascolta le percepisce, perché il pubblico potrebbe anche captare influenze diverse dalle mie. Può darsi che le loro influenze siano a loro volta state influenzate dalle mie influenze. La musica funziona così, è ciclica. Ad esempio, io adoro Stevie Wonder e Justin Timberlake, ma c’è chi sostiene che io somigli molto a Ed Sheeran. Personalmente non vedo quella connessione, ma so che lui è stato influenzato da artisti come Wonder e Timberlake. Per cui, ci sta che la gente colga delle somiglianze tra le mie melodie e le sue”.

Jack Garratt, polistrumentismo e produzione: 'Ecco come creo il mio genere'

Il vero segreto di Jack non sono tuttavia le sue influenze, ma la capacità di mescolarle riuscendo a venirne fuori con un suono assolutamente nuovo e inedito, portato avanti e solidificato dal suo ruolo di one-man band, ormai decisamente raro: “Mi assegnano molte etichette e ‘polistrumentista’ è una di queste. – ci spiega Jack – A volte è un termine che mi dà l’idea di svalutarmi, come se fosse un trucco a basso costo che al pubblico però potrebbe piacere. Invece è una caratteristica che mi porto dietro da quando sono bambino, addirittura da prima che scoprissi cosa fosse la musica. Volevo suonare più strumenti possibili e tutti nello stesso momento. Per cui un giorno suonavo il piano, il giorno dopo mi mettevo alla batteria o prendevo la chitarra. Crescendo ho imparato a fare tutto nello stesso momento, per creare precisamente il suono che avevo in testa”. Il primo banco di prova – non lo indovinereste mai – è stato lo Junior Eurovision a 14 anni: “È stata la prima volta che mi sono esibito non per attirare l’attenzione, ma per fare un passo avanti nel mondo della musica, aprire la porta insomma. – commenta – La porta mi è stata sbattuta in faccia (ride, ndr). Non è andata bene, ma ho imparato tantissimo. Tanta gente mi ha chiesto poi se non avessi sbagliato a presentarmi, perché all’epoca nel Regno Unito non c’era una grande considerazione dell’Eurovision. Io rispondo sempre che poteva rivelarsi un errore, ma non lo è stato, visto che ora sono qui. Di sicuro ho capito da quell’esperienza che l’industria della musica ha un lato molto oscuro e manipolativo, cosa a cui non sono affatto interessato”. E infatti – al grido di “La musica non è competizione” – Jack ci confessa quasi en passant di aver rifiutato partecipazioni ad importanti talent, concentrandosi piuttosto sulla ricerca delle sonorità e sulla sperimentazione, forte di un terreno particolarmente fertile in Inghilterra, dove gli innesti musicali nel tentativo di creare nuovi semi vengono incoraggiati. Tanto che al poliedrico musicista non dispiace affatto sforare talvolta nella branca della produzione musicale.

"Se penso a come sia cambiata la tecnologia dagli anni ’70 agli anni ’80, mi sembra molto simile a ciò che sta accadendo oggi. – commenta a proposito della situazione odierna della musica – Negli anni ’80 improvvisamente sono arrivati i soldi e la tecnologia, si è velocizzata la produzione dei dischi. Adesso siamo capaci di registrare un album di altissima qualità in una settimana, usando un semplice laptop, e puoi rilasciarlo in un giorno. È tutto vero ed è il motivo per cui alcuni artisti non annunciano neanche un album e poi se ne escono con un prodotto che vende tantissimo. Il problema di questo mercato tocca soprattutto i testi e il suono, perché il pubblico di oggi tende a non spendere per la musica e quindi la qualità crolla. Posso registrare un album con il mio smartphone, ma la qualità sarà chiaramente scarsa. Vedo però un’attenzione maggiore degli artisti nei confronti del cantautorato e il pubblico ha risposto con entusiasmo, è come se dicesse ‘Grazie! Finalmente!’”.