‘E n’ata manera’ é il nuovo album della cantante partenopea: un’artista di grande esperienza, che ha respirato e vissuto la Napoli più bella, quella che ha imparato a non arrendersi mai

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Monica Sarnelli è una cantante italiana nota soprattutto per la singolare capacità di eccellente interprete della canzone napoletana sebbene, in ambito nazionale la sua voce venga ricordata soprattutto per la sigla della ‘soap’ televisiva di Rai 3: ‘Un posto al sole’, canzone scritta da Antonio Annona e Bruno Lanza e incisa nel 1996. Dopo otto anni da ‘A testa in su’, undici da ‘Notte lenta’ e quasi venti da ‘Lazzare felici’, la bravissima Monica Sarnelli è tornata con un nuovo album, dal titolo ‘E n’ata manera’, prodotto e distribuito dalla Zeus, storica casa discografica fondata dalla famiglia Barrucci nei primi anni ‘60 del secolo scorso. Dieci tracce scritte da grandi autori – Vincenzo D’Agostino, Bruno Lanza, Gianni Fiorellino, Enzo Caradonna e Sally Monetti – dirette, arrangiate e realizzate dal cantautore/polistrumentista, Gianni Fiorellino, che nell’album suona anche piano, tastiere e chitarre. È un progetto che apre nuovi scenari nel percorso artistico di Monica e che, grazie anche alle scelte di Gianni Fiorellino, le hanno permesso di sperimentare una vocalità diversa rispetto a quanto fatto in precedenza. Proprio di recente, abbiamo fatto una chiacchierata insieme lei, che abbiamo subito trasformato nella seguente intervista.

Monica Sarnelli, perché hai sentito questesigenza di riproporti con un nuovo album dal titolo: ‘E n’ata manera’? E quali sono i motivi di questa tua intermittenza, negli anni?

“Intanto, ti ringrazio per l’attenzione a questo mio nuovo progetto discografico e alla mia attività artistica (viva sempre chi supporta la musica che si produce in Italia). In secondo luogo, rispondo alla tua domanda dicendoti che ho sentito, dopo diversi singoli realizzati dal 2017 in qua, di dover proporre qualcosa che mi rappresentasse per ciò che sono ora, dopo oltre quarant’anni di lavoro, con vari brani inediti. Per lungo tempo, mi sono impegnata soprattutto nella riproposta di brani del vastissimo repertorio partenopeo, attingendo tra la Napoli ‘classica’ e quella moderna. Oggi, invece, grazie a una linea musicale ben definita e con la direzione artistica tracciata del cantautore/polistrumentista, Gianni Fiorellino, che ha selezionato i brani, gli arrangiamenti e sostenuto la produzione, abbiamo generato questo album – “‘E n’ata manera”: in un’altra maniera – totalmente diverso da ciò che avevo fatto in precedenza. L’intermittenza, poi – considerando che questo album arriva dopo otto anni da A testa in su, undici da Notte lenta e venti da Lazzare felici – è giustificabile, in parte, dal periodo (2013/2018), in cui mi ero provvisoriamente scollegata dal mio storico produttore, Dario Andreano. Una collaborazione iniziata nel 1992 e ripresa durante la fase pandemica (2020/2022), che ha reso più complicata la vita e l’attività per tutti noi”.

Perché hai deciso di riproporre questo riadattamento di ‘T’amo e t’amerò’ del Maestro Peppino Gagliardi? Si tratta di un omaggio?

“Intanto, perché è una canzone che mi è sempre piaciuta. E poi, mi andava di rendere omaggio all’indimenticabile Peppino Gagliardi – cantante dalla voce unica ma anche bravissimo pianista e fisarmonicista – che, a mio parere, dopo il grande successo ottenuto negli anni ‘60 e ‘70, non ha avuto il giusto riconoscimento del suo grande valore artistico. Ha scritto e interpretato canzoni meravigliose come: Settembre’, Come le viole’, Che vuole questa musica stasera e, nel lontano 1963, incise T’amo e t’amerò’, prodotta proprio dalla Zeus Record, la mia attuale casa discografica di proprietà della famiglia Barrucci, che considera questa canzone la loro prima grande hit. Anche in termini economici, perché permise loro di avviare un’attività che, ancora oggi, dopo oltre sessant’anni, li vede attivi e propositivi. Purtroppo, ho il grande rammarico di non essere riuscita a far ascoltare la mia versione di T’amo e t’amerò a Peppino Gagliardi, scomparso ad agosto 2023”.

Tu hai avuto un percorso artistico importante, in cui ha incrociato grossi nomi: puoi riassumere ai nostri lettori la tua storia?

“Riassumere più di quarant’anni di vita professionale (ho iniziato ragazzina, nel 1981) non è semplice: posso dire che tutto è partito grazie a un concorso per voci nuove in Puglia, a Castellana Grotte, dove vinsi il Premio della critica e ottenni il mio primo contratto con la Emi (multinazionale che in quegli anni aveva in scuderia artisti come Battiato e, Mina…). Il contratto con la EMI mi permise di essere invitata nel backstage dello storico concerto di Pino Daniele del 19 settembre 1981: quello dei duecentomila presenti in piazza del Plebiscito a Napoli. E proprio quella serata, magica e speciale, mi indicò la strada da percorrere: la mia vita sarebbe stata la musica. E la mia città, grazie ad artisti come Pino Daniele, sarebbe stata la mia musa ispiratrice. Quella serata così ‘illuminante’, dopo tante altre importanti collaborazioni con Little Tony, Wess, Gianni Bella, Dario Baldan Bembo, la collego alla collaborazione – per me fondamentale – avviata poi nel 2004 con Gigi De Rienzo: uno degli storici, dei fedelissimi, tra i musicisti di Pino Daniele, con il quale ho realizzato più di ottanta canzoni tra album e raccolte. La produzione artistica e gli arrangiamenti di Gigi, con la collaborazione di Ernesto Vitolo e Agostino Marangolo (in pratica la band di ‘Nero a metà’…), mi hanno dato il ‘suono’, nei dischi e nei concerti, che sognavo da sempre: il suono del ‘Neapolitan Power’! Poi, va detto, tanti altri momenti importanti: vocalist di Peppino Di Capri nel periodo 1986/1994; la sigla di ‘Un posto al sole’ su Rai3, dal 1996 a oggi; duetto con Nino D’Angelo alla ‘Piedigrotta 2008’ e allo stadio di Napoli nel 2017; le collaborazioni, nei miei dischi, di: James Senese, Enzo Gragnaniello, Peppino Di Capri, Franco Del Prete, Marco Zurzolo, Solis String Quartet, Daniele Sepe, Marcello Colasurdo, Sha One, Speaker Cenzou); vocalist nei primi album di Gigi D’Alessio; vocalist per Gino Paoli, Fred Bongusto, Edoardo ed Eugenio Bennato. Tutti artisti che hanno contribuito al mio bagaglio e al mio percorso artistico e professionale. Credo proprio che, per raccontare tutto questo ‘mondo’ occorra un libro, che prima o poi scriverò…”.

La tradizione neo-melodica napoletana ha la necessità di mescolarsi con sonorità particolari, come nel caso di Pino Daniele, che inventò il ‘blues mediterraneo’, oppure deve semplicemente rielaborare se stessa e ripresentarsi in una ‘chiave’ più moderna e rigenerata?

“Più che ragionare sui generi musicali, dove possono nascere equivoci o incomprensioni, io preferisco focalizzare l’attenzione sulla capacità che ha Napoli di assorbire – da sempre – culture varie, mescolandole alla propria, arricchendola. Pino Daniele, specie ai più esterofili’, ha mostrato la capacità della nostra musica di poter essere autoctona e, al contempo, contaminata e internazionale. Dopo di lui (che però, va precisato, partiva dalle intuizioni di Mario Musella, James Senese e Franco Del Prete, con gli Showmen prima e poi con Napoli Centrale) con il filone musicale denominato Neapolitan Power’, animato da Tony Esposito, Alan Sorrenti, Teresa De Sio e altri, nulla sarà più codificabile e immutabile. Napoli, artisticamente, si rinnova ogni giorno con una quantità enorme di cantanti, strumentisti, produttori, band, autori, compositori che molto spesso, anche se etichettati quali rappresentanti di generi diversi (folk, pop, rock, rap, urban, jazz), collaborano tra loro, contribuendo a questa evoluzione costante e intrigante. Napoli è una ‘piazza’ importante grazie all’impegno dei suoi tantissimi artisti”.

L’Italia è prona, secondo te, nei confronti delle tendenze provenienti dai mercati stranieri? Dovrebbe tutelare o curare maggiormente la produzione musicale italiana? Ci sarà una via di mezzo tra apocalittici e integrati? Cosa ne pensi?

“Da qualche tempo, ritengo sia cambiato tutto. Con il web e tutto il resto, non vedo più un vero sistema che possa davvero tutelare, favorire e indirizzare il mercato della musica. Non vedo più il lavoro che, anni fa, facevano le case di produzione, i manager o le case discografiche. Oggi abbiamo i talent, che sappiamo non essere sempre dei testimoni sinceri di ciò che ‘bolle’ nel nostro Paese, ma che ogni tanto ci permette di scoprire qualche novità; poi abbiamo le radio, che solo con grandi investimenti rendono visibile un nuovo artista e una nuova canzone; in più, la nostra televisione è ancora generalista, con palinsesti indirizzati a un pubblico ormai avanti con gli anni. Di contro, la stragrande maggioranza delle persone segue dai social e dalle piattaforme digitali, oppure dalla programmazione di locali, rassegne, ciò che quotidianamente si produce. Così, se qualcuno ha cose interessanti da proporre, avrà la possibilità di farsi notare e di poter dire la sua”.

Leggendo le tue note biografiche, abbiamo incontrato nomi che risultavano perduti nella nostra memoria, come quelli delle case discografiche ‘Durium’ e la ‘Zeus’: c’era in Italia la possibilità di sviluppare meglio un’industria discografica tutta nostra? E perché non è successo?

“Questa è una domanda alla quale è davvero complicato rispondere. Una realtà come la Zeus Record resiste poiché la famiglia Barrucci – che iniziò più di sessant’anni fa a produrre musica – oltre a dimostrare grandi qualità imprenditoriali, ha avuto continuità nei vari passaggi generazionali (oggi, infatti ci sono i figli, i nipoti e i pronipoti che collaborano all’attività). Poi, facendo una riflessione a più ampio raggio, c’è da domandarsi se si potesse fare meglio in Italia in tutti gli ambiti industriali. A questa domanda dovrebbero rispondere politici e uomini di potere”.

Il sud è soprattutto passione e cuore? E se sì, perché? Da cosa dipende?

“Sì, è vero: siamo molto passionali e mettiamo sempre il cuore nelle cose che facciamo. Credo che dipenda da ciò che ci arriva dal passato: sono insegnamenti che assorbiamo, senza accorgercene, nei nostri nuclei familiari. Se è vero che tante cose cambiano velocemente omologandosi, spero che questa propensione alla passione e al cuore del nostro sud non cambi”.

A Napoli circola tutto ‘sto ‘ammore’, ma poi non riusciamo a inserire una materia civica come l’Educazione sentimentale nelle scuole: cosa ne pensi? Non lo trovi contraddittorio?

“L’amore deve circolare: a Napoli come in qualunque città o posto del mondo. Per quanto mi riguarda, l’iniziativa è lodevole e andrebbe supportata in tutti i modi possibili. Si parla di un corso da inserire nelle scuole superiori, ma io partirei da molto prima, dai primi anni di età, da quando comincia a formarsi il carattere di ognuno di noi. Sappiamo che le famiglie di oggi, nella loro capacità educativa sono in grande difficoltà. E la scuola dovrebbe dare un grande aiuto anche su queste tematiche. Se questa materia non verrà inserita sarà certamente una opportunità persa, per l’Italia intera”.

Cos’hai in programma per quest’estate? Un tour promozionale del nuovo album? O solo qualche serata e basta?

“Per l’estate, come da sempre per quanto riguarda la mia attività artistica, farò concerti nelle piazze, nei locali, nei teatri, nelle arene e in tanti posti, in particolare tra Campania, Lazio, Puglia, Basilicata in cui vorranno il mio ‘viaggio musicale’ dedicato, in particolare, alla mia città. Il titolo del concerto, che prevede anche i brani del nuovo album, sarà: Napoli Sound”.

Intervista di Vittorio Lussana.