Con lo spettacolo ‘Mobbing Dick’, questa splendida attrice, autrice e regista ha vinto recentemente il bando nazionale ‘Shakespeare nel Parco’, il premio Fersen alla regia e, l’estate scorsa, il Festival internazionale ‘Ginestre Teatri Riflessi’, attribuitole “per l’accurato lavoro di drammaturga e di attrice, ma soprattutto per premiare l’artista”

Caroline Pagani è un’artista che, nel valorizzare l’arte e la bellezza, promuove l’impegno sociale e culturale, attraverso il sorriso e una riflessione ‘dolceamara’ sulla vita e l’amore in tutte le sue forme. E’ una professionista che, negli anni, ha saputo proseguire il suo percorso nonostante tutte le difficoltà che la vita può riservare, trovando costantemente la forza e la professionalità per far rifiorire il bello, l’impegno e il fuoco dell’arte. Passa da Shakespeare a Dante alle emergenze sociali contemporanee con humour, grazia, profondità e originalità. Ed è proprio con Mobbing Dick, da lei scritto, diretto e interpretato, che sarà in scena al ‘Cilento Festival Pollica’ il 28 ottobre, il 22 dicembre a Castione Andevenno, all’Auditorium Trabucchi per la rassegna ‘Talee d’Amore’. E con ‘Luxuriàs’, spettacolo sulla figura e il mito di Francesca da Rimini – ambientato nell’Inferno dantesco, nella bolgia dei lussuriosi – di cui è autrice, regista e interprete, il 18 e 19 novembre al Teatro Kopò di Roma.

Caroline Pagani, di che cosa tratta ‘Mobbing Dick’, innanzitutto?

“Mobbing Dick è uno spettacolo brillante, ‘shakespeariano’ ma anche contemporaneo, civile e politico. Spero possa essere utile per le generazioni future, a non reiterare dinamiche di potere e di manipolazione. E’ uno spettacolo che getta luce su una situazione ampiamente nota, ma ancora non completamente espressa. Rende visibile, seppur in maniera ironica e comica, per quanto possibile, la violenza di un sistema patriarcale e la sua onnipresenza nel mondo dello spettacolo dal vivo. I meccanismi e le dinamiche, sono simili ovunque: sono sistemiche, insite al sistema patriarcale. La storia della ‘donna-musa’ e del ‘maschio-genio’ o geniale è sempre viva e praticata. Le donne non sono viste come autrici, ma come fonti di ispirazione da essere usate o sfruttate. Certo, la questione non riguarda esclusivamente le artiste o le donne in generale, ma tutte le figure che partecipano alle arti sceniche: i ballerini, i performer, gli attori, mettono il proprio corpo al servizio dell’arte, molto spesso in accordo coi desideri di un’autorialità artistica esterna”.

Quale tipo di insidie ha incontrato?

“Spesso, per me come per molte altre donne, aver detto di “No” ha rappresentato una porta sbattuta in faccia, una strada interrotta, una terra bruciata, una mala parola. Se a ciascuno fosse dato spazio per merito e non per altre ragioni, se questo sistema non esistesse, avremmo tutta un’altra società. Viviamo ancora in una società patriarcale governata da uomini, basata sul fatto che la donna viene vista come oggetto sessuale prima che come persona portatrice di un valore, una vocazione, una capacità, un talento, un merito. E’ una società ancora basata sull’incapacità di gestire il potere senza abusarne. Il problema centrale è il sistema, che ha permesso l’abuso. È questo sistema che va sovvertito. E’ difficile comprendere quali siano le ragioni profonde per cui alcune donne accettano il compromesso. E giudicare le persone sposta l’attenzione dal vero problema: il sistema che ha permesso che questo accadesse, che viene replicato continuamente, in ogni parte del mondo”.

Che cosa direbbe a chi volesse affacciarsi al teatro?

“Direi che bisogna avere una motivazione molto forte, che dev’essere una ragione di vita; direi che bisogna studiare, molto e sempre: la preparazione di un attore perché possa ritenersi tale avviene in non meno di 10 anni; direi che è un mondo pieno di insidie e di compromessi; direi di imparare bene qualche lingua straniera tanto da poterci recitare e di andare via dall’Italia: qui il sistema teatrale è sempre più asfittico, senza ricambio di sangue, basato sullo ‘scambismo’, quasi sull’incesto, dove la meritocrazia è quasi azzerata, spesso infestato da dinamiche tossiche, da giochi di potere e dalla politica.  Quella del teatro è un’arte che va curata, approfondita e perfezionata costantemente: bisogna trovare la ragione profonda per cui si vuole fare questo mestiere. Questo è un lavoro che non dà alcuna sicurezza: ti mette perennemente in discussione e in crisi. Il teatro è un luogo di sfide costanti, di abissi, di disciplina, di rigore, ma può essere anche un mondo magico, dove il tempo si ferma e in cui ogni mondo, ogni anima, ogni emozione sono possibili”.

A che cosa sta lavorando in questo periodo?

“Mi sto dedicando anima e corpo a due progetti musicali, a un ‘progetto-video’, un disco e uno spettacolo musicale. Nel primo sono coinvolti anche cantanti famosi. In parte, perché ho sempre desiderato farlo: sono innamorata delle canzoni di mio fratello Herbert Pagani da una vita; in parte, perché trovo che la maggior parte di quello che è stato fatto in passato su, da e intorno alle sue canzoni non rispecchi la forma, l’anima, lo spirito, il cuore dell’arte di Herbert. E’ anche un modo per me, come artista e come essere umano, di connettermi con le mie radici, di lavorare sul mio albero genealogico, di dialogare coi miei avi, con gli antenati. Per realizzare questi progetti ho lanciato un crowfunding: prima della pandemia due teatri nazionali erano disposti a produrre lo spettacolo, dopo non più… Ma io non demordo e non mi arrendo. Mi sto dedicando anche alla parte più difficile e, purtroppo, meno creativa e artistica di questi progetti: la ricerca di partner co-produttivi, di sponsor, della casa discografica giusta, di tutto ciò di cui non mi vorrei occupare…”.

E l’album?

“Prima uscirà un singolo, con un videoclip sul mondo del teatro visto da varie prospettive, anche del backstage. Sarà girato a Venezia, in un bellissimo teatro. Poi uscirà l’album, con molte canzoni, una più bella dell’altra e testi, in prosa e poesia, in più lingue, con la collaborazione di ospiti e artisti meravigliosi come Danilo Rea, Fabio Concato, Shel Shapiro, Moni Ovadia, Alessandro Nidi, Davide Livermore, Francesca Della Monica, Alberto Fortis, e altri. Sono stati rifatti tutti gli arrangiamenti: è un lavoro delicato, complesso, lungo e difficile, soprattutto quando protagoniste della canzone sono, prima di tutto, la parola, il testo, poi l’interpretazione, che non devono essere soverchiate da una strumentazione troppo fitta, perché quelle canzoni non ne hanno bisogno. Le parole scelte sono già suono esse stesse, ma nemmeno troppo ‘scarna’, perché comunque anche le musiche delle canzoni di Herbert sono molto, molto belle. Le musiche, eseguite da musicisti eccelsi, sono arrangiate dal Maestro Alessandro Nidi, da Vittorio Giannelli, e da Giuseppe Vadalà. Credo sia un disco elegante, classicheggiante, ma anche moderno, teatrale, ricco e vario: credo possa essere apprezzato sia da chi lo ha veramente conosciuto, sia dai giovani che non hanno potuto ascoltarlo e apprezzarlo”.

Ci parla dello spettacolo musicale?

“E’ uno spettacolo onirico, evocativo, poetico e, credo, emozionante, in cui la parte visuale è drammaturgia così come il testo – da me scritto – e come le canzoni. Una forte carica emotiva investe la ‘ri-creazione’ di ambienti, scena e atmosfera. Il modello di Escher, come anche quello di Piranesi, serviva a Pagani per esprimere deformazioni, la vertigine e la complessità dei luoghi. La componente visiva dei suoi spettacoli e concerti era molto forte: lui stesso disegnava e dipingeva le scene. Prima che come cantante e cantautore, Herbert Pagani artista nasce come disegnatore, illustratore e pittore. L’inclinazione per il mondo del fantastico, che si accompagnava a quella per ambientazioni medievali, era stata nutrita dai dipinti di William Blake e di Füssli. Herbert Pagani, in qualità di autore, contribuì al primo disco ‘impegnato’ di Giorgio Gaber – ‘L’asse d’equilibrio’, con i testi di ‘Una canzone come nasce’; ‘Canta’; ‘L’asse d’equilibrio’; ‘La vita dell’uomo’. Molti brani, che egli cantava in prima persona, si scontrarono con gli ostacoli della censura, che vi ravvisò elementi stridenti con l’egemonia ‘benpensante’ di allora. Di qui, la decisione di Pagani di proseguire la sua attività nella meno provinciale Francia, dove entrò nell’Olimpo della musica: ‘Albergo a ore’, per esempio, venne trasmessa in televisione con scritte in sovraimpressione ad ammonire che la declamazione pubblica di quell’argomento, col suicidio finale dei due amanti, rappresentava un fatto di cui Pagani doveva assumersi la responsabilità. Altro tema per lui ancestrale era quello della pace, che andava ben oltre una generica poetica pacifista e antimilitarista. Abbandonerà, infatti, l’attività di cantautore per dedicarsi alla prosa e all’arte visiva, col riciclo, già ravvisabile nello spettacolo ‘teatrale-multimediale’ che venne rappresentato anche al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Fu proprio Herbert Pagani a raccogliere l’ultima intervista rilasciata da Luigi Tenco, in cui egli aveva manifestato forti insofferenze verso un certo modo di fare canzoni. Le sue poesie in musica, inoltre, sono popolate da amori intensi, contrastati, da passioni grandi, assolute, da sentimenti veri, puri, cristallini, totalizzanti. La verità è che non si fanno più canzoni così, nessuno le scrive più. Di qui, la necessità di riscoprire, far rivivere al meglio, far conoscere, conservare e tutelare questo scrigno di tesori e di bellezze senza tempo”.

Impegni futuri?

“Il debutto dello ‘spettacolo-concerto’ al Teatro comunale di Ferrara nel 2024, fortemente voluto da Vittorio Sgarbi; la sua prosecuzione in un bel teatro di Roma; poi al nord, sicuramente anche a Milano, non so ancora bene in quale teatro, ma Milano è la città che Herbert Pagani aveva scelto come sua patria del cuore, che lo ha insignito di un ‘Ambrogino d’oro’, insieme a Parigi; poi dopo, la versione francese dello spettacolo in Francia e, spero, anche a Parigi; l’apertura della nuova stagione del Teatro Kopò, a Roma, con Luxuriàs: spettacolo dantesco su Francesca da Rimini; e poi, finalmente, potrò permettermi il lusso di non dovermi più occupare simultaneamente di tutti gli aspetti di uno spettacolo, dal concepimento alla nascita e alla crescita, ma di fare, almeno per un po’, solo l’attrice in Vivien: un testo di Donatella Busini, in cui interpreto il ruolo di Vivien Leigh, per la regia di Mauro Toscanelli, l’anno prossimo, al Teatro Lo Spazio, nella nostra bella Roma. Dedicherò tutto il tempo possibile al canto, alla scrittura di testi non solo teatrali e, se troverò altro tempo, al recupero di un antico amore, che non delude, rasserena, dà piacere e gioia: la pittura”.

Intervista di Vittorio Lussana