Reduce dal primo evento sold out a Londra e in attesa della festa nei palazzetti italiani, Gabry Ponte ci racconta i suoi primi venticinque anni di carriera. L’intervista.

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Non c’è ultratrentenne di oggi che alla parola ‘blue’ non associ, come colonna sonora, un brano preciso. E lo stesso fanno i giovanissimi della generazione Z, a dimostrazione che il linguaggio musicale può davvero non avere età. Parliamo, ovviamente, di Blue (da ba dee), hit firmata dagli Eiffel 65 che festeggia quest’anno i suoi primi 25 anni. E correva l’anno 1998 quando Gabry Ponte veniva letteralmente investito dal successo che lo ha reso, oltre due decadi dopo, il DJ-producer italiano numero uno al mondo per ascolti su Spotify e terzo artista italiano più ascoltato al mondo sulla piattaforma.

Una nomination ai Grammy, oltre 3 miliardi di stream globali, due dischi di Diamante e 39 certificazioni Platino dopo, Ponte è pronto a festeggiare un anniversario non qualunque. E per farlo, ha scelto i palazzetti (Milano e Torino già sold out) dove promette di portare uno show che nessun DJ italiano ha mai proposto prima.

Gabry Ponte
Foto da Ufficio Stampa

Intanto grazie di averci accolto qui, nei Kubo Studios, raccontaci dove siamo perché immagino che queste pareti ascoltino parecchia musica…

Questo che vedete è il mio studio, siamo a Milano nel quartier generale di Dance and Love, praticamente la mia famiglia perché siamo cresciuti insieme. Qui abbiamo studi di registrazione e uffici da cui gestiamo tutto: scriviamo musica e la produciamo ma facciamo anche tante altre cose. Nel mio team, infatti, lavorano tanti ragazzi ognuno con competenze specifiche. E ci occupiamo di tutto quello che gira intorno no alla musica, dalla gestione degli artisti al publishing fino al booking, quindi live, promozione e marketing. Diciamo teniamo tutto sotto controllo. È una grande macchina.

E a portarci qui è un anniversario importante. Festeggiare 25 anni di carriera non solo non succede tutti i giorni ma non è neppure così comune a maggior ragione nella musica. Tutta colpa del 1998 di una hit come Blue: qual è l’istantanea che ti viene in mente pensando al successo che ti ha investito allora?

Mi viene in mente che non avevo la più pallida idea, non avevo neanche la possibilità di sognare che questo potesse accadere. Quando ho iniziato, 25 anni fa, il Dj era una figura totalmente diversa da come è percepita oggi. Ora, per chi inizia a fare musica ed è appassionato di elettronica, c’è questo modello aspirazionale del DJ superstar che suona nei festival e riempie i palazzetti che allora non esisteva proprio. Siamo la prima generazione di dj produttori e, due decenni fa, era già tanto per noi avere la possibilità di creare musica perché fino ad allora era fatta dai gruppi che suonavano non dai dj. Quindi è stato un percorso, una scoperta continua e siamo arrivati poi piano piano a questo. Per questo l’idea di riempire un palazzetto con uno show tutto mio era una cosa che non avrei mai lontanamente pensato che potesse succedere.

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Da quel momento a oggi, con Easy on my heart e Tsunami, non sei più sceso dalla consolle. Ma da ragazzino che futuro vedevi per te?

Beh, io sicuramente avevo il sogno di continuare a fare questo perché era una passione e tutt’ora lo è, voglio dire non è proprio scesa neanche di tanto così. Quindi c’era sicuramente la voglia e la speranza di poterlo fare ma mi chiedevo se potesse essere un lavoro. Quando dissi a mio papà che facevo il dj, non dico l’abbia presa bene perché non è così, mi ha sempre lasciato fare tutto con la massima fiducia.

Però, nella sua testa, mi rendevo conto che, pensando a me che volevo fare il dj da grande, l’immagine che gli veniva in mente era di me magari me seduto in mezzo a una strada che suonava la chitarra col cappello davanti. Con tutto il rispetto, perché comunque quella del musicista è un’arte nobile fatta a qualsiasi livello. Però, ecco, non c’era né nella mia testa né in quella degli altri l’idea che questo potesse diventare una cosa così grossa.

Gabry Ponte
Foto di Alessandro Treves da Ufficio Stampa

Ma se non ci fosse stato il percorso longevo che hai avuto quale sarebbe stato il piano B?

Diciamo nella mia testa pensavo “voglio fare questo ma non sono sicuro di poterlo fare”. Quindi ho continuato a studiare e, finito il liceo, ho fatto l’università. Mi sono iscritto a fisica che mi piaceva molto ed era un’altra passione che avevo. Però quello era pur sempre un piano B. La verità è che aspettavo che arrivasse il momento in cui avrei potuto scegliere di dedicarmi al 100% alla musica senza troppi rimpianti.

Beh, direi che quel momento dura ancora oggi e gli anniversari importanti come questo comportano sempre dei bilanci: come è il tuo e che rapporto hai col tempo che passa?

Direi,buono anzi ottimo. Più passa il tempo e più l’esperienza ti aiuta ad andare avanti nel percorso. All’inizio, non sai e non conosci, quindi impari, sbagli e impari dagli sbagli però andando avanti hai sempre più elementi. E poi la cosa bellissima, per me, di questo lavoro e della musica elettronica è che si rinnova veramente sempre di continuo. Non ci annoiamo mai perché ci sono un sacco di contaminazioni nuove, tendenze nuove, suono che cambiano e quindi non smetti mai di imparare e di migliorare.

La tua musica, a partire proprio  da Blue, ha di gran lunga superato la dimensione ‘generazionale’ ed è a tutti gli effetti ‘intergenerazionale’. Siamo a quota almeno un paio generazioni che ti ascoltano e per le quali sei un punto di riferimento. Questo ti fa sentire una certa responsabilità, anche nei confronti di chi spera di fare un percorso come il tuo?

No, in realtà non parlerei di responsabilità anzi l’affetto dei fan mi piace un sacco e mi dà una spinta incredibile. È una cosa che non ha eguali. Quando ho iniziato a mettere i dischi avevo la stessa età di quelli che stavano di fronte a me in pista. Adesso vedo ancora quei miei coetanei che continuano a venire ai concerti ma portano i figli che sono cresciuti ascoltando la mia musica. Alcuni di loro si sono appassionati e, quindi, c’è questa bella atmosfera di condivisione. E non importa l’età ma è proprio come a un concerto per cui vedi tante persone di età diverse unite dalla musica e dal divertimento.

In questi 25 anni hai praticamente visto cambiare il mondo della discografia e le tecnologie che un dj/producer ha a propria disposizione. Oggi sembra tutto molto più facile, a portata di mano: come è cambiato fattivamente questo lavoro anche nell’approccio?

Sicuramente per chi non conosce questo mondo può darsi che sembri tutto facile. Succede in tutte le cose: per me che non so dipingere, se vedo un quadro di Van Gogh o Picasso posso pensare che sia facile, ma in realtà è il livello di conoscenza che ti porta fuori strada. Non è assolutamente più semplice, anzi. Quando ho iniziato a produrre musica, lo facevo in degli studi giganteschi perché non era tutto concentrato in un computer. Dovevo imparare un sacco di cose, a usare le tastiere, i campionatori, i sintetizzatori, i compressori e c’ho speso tanti anni.

Oggi, in realtà, imparo ogni giorno. Mi metto su YouTube e mi guardo tutorial per imparare a usare nuovi plug-in e a usare nuove tecniche di missaggio e mastering. Quindi c’è sempre tanto da imparare. Gli strumenti sono sicuramente molti di più e, se uno è curioso e ha voglia di imparare, c’è da perdersi. Ma rimane sempre il fatto che alla fine, sia nello stare con una chitarra in mano sia nello stare davanti a un computer, quello che fa la differenza è la creatività, l’approccio. Oggi vediamo l’intelligenza artificiale che è un’opportunità ma non sostituirà mai chi fa musica. Potrà aiutarci in alcune cose, come ci ha aiutato l’arrivo dei programmi per fare musica, ma poi alla fine è sempre la persona che li usa a fare la differenza. Il fattore umano.

Ti sei da poco esibito a Londra: in che modo l’estero vede la musica italiana per la tua fetta di mercato?

Sai, oggi, c’è comunque una condivisione così capillare della musica, attraverso i social e internet, che non è più come una volta. Un paio di settimane fa ho fatto il mio primo show a Londra e abbiamo fatto sold out coinvolgendo la fanbase che ascolta la mia musica su Spotify e su YouTube. Le piattaforme sono un grosso potere e, con la tecnologia che abbiamo a disposizione, la percezione è un po’ la stessa per un fan, che sia dall’Inghilterra, dall’America, dal Giappone o dal Brasile. Perché chi ama quello che fai ha tutto a disposizione e può ascoltare tutto, non è più come una volta che la cultura musicale arrivava a quello che potevi possedere fisicamente, un CD o un vinile, o era legata al solo passaparola. Adesso hai veramente a disposizione un sacco di strumenti per informarti e seguire un artista.

Sicuramente, in certi dove magari ho una fanbase più piccola rispetto ad altri come l’Italia, la Germania e la Francia, mi trovo a suonare di fronte a persone che non mi conoscono perché magari vanno a live portati da amici che li trascinano. Ma questo, per me, è bello perché è un continuo fare acquisizione di nuovi fans. Inoltre, confrontarsi con persone che non conoscono quello che fai è bello perché è stimolante, è una sfida. Ti chiedi “ma ce la farò?”. Quando parte Blue p facile, tutti urlano, ma quando parte il disco nuovo che stai testando, riesci a capire se viene recepito bene o male da chi ti sta di fronte.

E a proposito di concerti, hai quadruplicato la festa nei palazzetti italiani: come li stai preparando?

Sì, sono quattro appuntamenti di cui due già sold out quindi rimangono Bologna il 6 aprile e Roma il 15 giugno che abbiamo annunciato da poco. Ci stiamo lavorando ma la realtà è che non so ancora esattamente che cosa succederà essendo la prima volta che facciamo una produzione di questo tipo, non c’è neanche una case history perché non nessun altro DJ italiano ha fatto questo tentativo prima. Farò del mio meglio perché sia qualcosa di bello e spero di divertirmi e di far divertire le persone che verranno.

Dopo il sold out a Milano, anche la data di Torino registra il tutto esaurito e si aggiunge a grande richiesta un nuovo imperdibile appuntamento: sabato 6 aprile all’Unipol Arena di Bologna!

Queste le date nei palasport in calendario nel 2024:  

  • 27 gennaio – Milano, Mediolanum Forum SOLD OUT
  • 02 marzo – Torino, PalaAlpitour SOLD OUT
  • 06 aprile Bologna, Unipol Arena NUOVA DATA
  • 15 giugno Roma, Rock in Roma (Ippodromo delle Capannelle)

I biglietti sono disponibili su Ticketone, Ticketmaster e VivaTicket. Per info: www.livenation.it.  

Foto da Ufficio Stampa