‘Ferite’ è il nuovo album di Capo Plaza che in diciotto tracce confessa vittorie e sconfitte personali che sono anche lo specchio di una generazione. Le dichiarazioni.

Impegno, dedizione, autoconsapevolezza. È lastricata di queste parole la strada di Capo Plaza che, venerdì 3 maggio, ha pubblicato il suo terzo album di inediti dal titolo ‘Ferite’. Le stesse con cui ha imparato a convivere e che hanno contribuito a renderlo ciò che è oggi, artista multiplatino con milioni di stream e collaborazioni anche internazionali. Ma anche un ragazzo dalle idee chiare, che costruisce giorno dopo giorno una sicurezza chiamata a fare i conti con certe timidezze e paure di sempre.

Quali paure, per esempio?
All’inizio il disco doveva chiamarsi ‘Vittorie e sconfitte’, era il punto centrale e volevo parlare proprio della consapevolezza di quel che si è e di quello che si ha. Si tende sempre a far vedere solo le vittorie, nessuno fa mai vedere le sconfitte quando per la maggior parte dei miei idoli – non necessariamente artisti, ma sportivi e menti creative in generale – le migliori storie sono quelle delle loro sconfitte. Tutti abbiamo le nostre sconfitte, le nostre ferite, anche vincendo, perché è sempre una lotta.

Capo Plaza
Cover da Ufficio Stampa

Io ho vinto nella vita e nel mio lavoro, ma ho riportato tante ferite anche personali, quindi in ogni pezzo c’è sempre quella consapevolezza. E tra le paure, diciamo, c’è quella legata al successo che non è facile da gestire e ci sono tanti tabù… abbiamo i soldi, è vero, siamo ricchi ma i soldi non ti comprano le cose che ti fanno vivere meglio. I sentimenti e lo stare bene non li compri, coi soldi non risolvi la solitudine. Anche Elon Musk penso abbia i suoi problemi e li risolva tra lui con uno psicologo o con persone vicine a lui.

Qual è la ferita più profonda che ti porti addosso?
Una in particolare non c’è. Quando parlo di ferite faccio riferimento a tutto un processo di vita che mi ha reso la persona che sono oggi, sia quando ho alzato la coppa sia quando non mi vedeva nessuno. Ci sono state tante batoste nell’amicizia, per esempio, e questo disco mi ha aiutato a superare un periodo di solitudine, a riappacificarmi con me stesso con gli altri avendo una maggiore consapevolezza. Sento che sono cresciuto e ho stimoli diversi, anche musicalmente, e percepisco in maniera diversa anche le ferite per cui non punto più il dito. O meglio, prima cerco di puntare il dito su di me per poi cercare di capire gli altri e se l’altro non mi vuole capire il problema è dell’altro. È un disco in primis d’aiuto a Capo Plaza e a Luca, che sono la stessa cosa.

In che cosa ti ha aiutato?
Mi ha aiutato a uscire da un periodo complicato, che viene dall’aver raggiunto il successo a 19 anni ed essere stato privato della vita che magari un mio coetaneo ventenne può avere. Parlo della spontaneità dell’essere umano di andare a prendere un gelato in Duomo il sabato o di andare al cinema e buttare i popcorn con i tuoi amici per divertirti. Di mio sono molto insicuro e timido, quindi tendo a chiudermi e non mi godrei la spensieratezza della situazione perché devo vivere sempre con accortezza.

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Crescere, per esempio, mi spaventa molto: mi fermerei a 26 anni e, anzi, una delle mie più grandi paure è la morte: quando penso al mio funerale, prima di dormire, mi blocco e non dormo più. Però anche lì, tornando al discorso di prima, bisogna avere una consapevolezza: tutto nasce, cresce e muore. Noi dobbiamo essere solo bravi a lasciare una traccia del percorso che abbiamo fatto, per lasciare qualcosa quando non ci saremo più.

Hai fatto riferimento ai tuoi coetanei: che generazione vedi attorno a te? Ti piace?
No, non mi piace. E non piace soprattutto la piega che stanno prendendo le nuove generazioni in Italia con troppa violenza. Vorrei che i giovani si mettessero sotto come è giusto che sia per far ricredere anche i più grandi: noi giovani siamo una risorsa, quindi perché buttare via il tempo? Spero che tra vent’anni ci sarà ancora qualche dottore e che non tutti vorranno fare tutti i tiktoker o i trapper…. Cioè, spero che ci sia lucidità in queste nuove generazioni, cosa che a volte stento a vedere.

Per questo, quando la vedo, mi fa piacere e spero che l’Italia si svecchi come già è successo in paesi come l’Inghilterra, la Francia e la Spagna che sono molto più multiculturali. Se non si è multiculturali, si rimane indietro quindi spero che la mia generazione e quelle dopo di me possano fare qualcosa di buono per questo paese. D’altra parte, mi dispiace quando vedo che si ci si concentra solo sugli aspetti negativi di questa gioventù ma vi assicuro che c’ anche del buono e io penso di esserne la prova. Insieme a tanti altri ragazzi che inseguono il proprio sogno – di diventare dottori o architetti – ognuno ha propria strada. Non facciamo solo cose brutte! Ecco, Serve un vero e proprio switch culturale per essere anche noi al passo coi tempi e al passo con le altre nazioni.

Pensi che manchino modelli o punti di riferimento?
Non penso che manchino modelli piuttosto bisognerebbe dare più peso a quello che facciamo. Per esempio, quando vado in Francia vedo il rapper o l’influencer che parla di politica e viene capito. Cioè ogni tipo di persona e ogni sfumatura della nazione – chi ama la cultura pop, chi ama il metal, chi è vegano – riesce a esprimere la propria opinione rispettando l’opinione altrui. In Italia, invece, ai rapper mettiamo il naso da pagliaccio e si mette in giro una notizia solo per farla girare. E questo è brutto dato che le nuove generazioni si rivedono molto in noi e siamo noi i loro punti di riferimento.

Quindi dico, dateci spazio perché possiamo mandare anche un messaggio positivo e all’estero già lo fanno. Conosco tanti amici che vanno in televisione, collaborano con le squadre di calcio, aprono etichette e danno opportunità. Non siamo solo criminalità: certo anche questa fa parte dell’hip hop, ma c’è anche la parte buona come in ogni cosa. L’hip hop è bello perché vario ci sono tante sfumature. Spero che col tempo l’Italia abbia la chiave per aprire questo libro e capire piano piano questa cultura. In fondo, oggi vediamo i rapper al Festival di Sanremo e in classifica c’è tantissimo rap, quindi qualche passo in avanti lo abbiamo fatto. Anche Vasco Rossi trent’anni fa non era capito, ora è una leggenda.

Alla luce di tutto questo, c’è un consiglio che vorresti dare ai giovanissimi, nella musica ma anche in generale?
Guarda, mi sento col piede in due generazioni e mi ritengo una persona molto empatica anche rispetto a quello che succede nel mondo. Io direi che quello che conta è rimanere umili e essere svegli per capire cosa succede attorno, tutto qua. Ed è quello che, secondo me, rende un rapper professionale: deve stare al passo coi tempi, dal modo di vestirsi a quello di parlare. E deve cambiare come cambia il sistema. In questo mondo, che si tratti di rap o pop, ormai non è più solo musica e ci sono vari tipi di carriera, dipende tutto della persona che sei e dal cervello che hai.

Spesso, come me, ce la fanno ragazzi dai quartieri popolari e ma ho anche amici che non riescono a emergere e questa cosa li tormenta. Come consiglio aggiungo: occorrono dedizione, non avere un piano b e non farsi distrarre da altro. Poi, ecco, serve consapevolezza per cui se a trent’anni non ce l’hai ancora fatta forse quella non è la tua strada. Ho preso il diploma e, se non mi fosse andata bene nel rap, ero pronto a tutto, la musica sarebbe rimasta un hobby. Per questo ripeto, serve anche molta consapevolezza.

Capo Plaza
Foto da Ufficio Stampa

Prima hai citato gli sportivi come fonte di ispirazione, quanto è importante lo sport e quale peso ha nella tua vita?
Forse lo sport è più importante della musica nella mia vita! Cioè, seguo più lo sport che la musica: se esce il disco di Young TAG e c’è la finale di Champions, non mi perdo quest’ultima. Amo tutti gli sport, sono una parte importante del mio percorso visto che sono un grande fan; per dire, mi seguo pure il pattinaggio sul ghiaccio. Credo che lo sport sarebbe stata una grandissima alternativa alla musica. Per questo dicevo che mi piace conoscere le storie degli sportivi. E poi eventi come le Olimpiadi e il Super Bowl sono esperienze che vorrei vivere una volta nella vita perché sono eventi che uniscono le nazioni e fanno sento parte di qualcosa. Poi lo sport per me arte ed un connubio identico con la musica.

Sei il primo artista italiano a sbarcare su Fortnite: come è stato?
È bello essere insieme a gente come Eminem e Billie Eilish.. fa un certo effetto! Era uno dei miei sogni anche perché sono cresciuto giocando ai videogiochi e ancora oggi quando ho tempo mi ci dedico, la notte. E sono ancora più orgoglioso di debuttare su Fortnite che unisce da tempo musica e gaming per dare un’impronta importante. Spero sia un primo passo anche per un futuro e per altri artisti. È il discorso iniziale, di diventare più multiculturali. Sono, quindi, molto felice della cura con cui è stato seguito il progetto – hanno realizzato tutti i dettagli: tatuaggi, orologi, collane –, è stato molto molto bello. Felice che Fortnite abbia creduto in me.

Tornando a ‘Ferite’, hai raccolto ben 17 tracce: un atto di coraggio?
Ho sempre cercato di essere un artista di un certo calibro e penso che, quando esce qualcosa dio un artista di livello, il disco te l’ascolti per bene. Penso che dopo tre anni era anche giusto dare così tanto. Considera anche che ho dovuto scartare oltre 150 pezzi ma di questi 18 non potevo fare a meno. Azzardo non azzardo me ne frega poco…  Spero solamente che arrivi quello che voglio comunicare.

In tracklist ci sono due feat. al femminile, con ANNA e con Annalisa, e un featuring con Mahmood. Mondi molto diversi tra loro.
Penso che sia giusto ci siano donne nel disco perché negli ultimi anni la figura della donna è cresciuta tanto e io ho grande rispetto per le donne. Sono cresciuto in una famiglia quasi di sole donne e la donna è sempre stata la parte centrale, nella mia vita come nei pezzi. Per me è un po’ come il cervello del mondo. Per quanto riguarda le collaborazioni con Annalisa e Mahmood, sono nate in maniera semplice. Volevo fare questi pezzi da tanto, anche per aprirmi un po’ di più e c’è rispetto reciproco sia con Mahmood sia con Annalisa. Alessandro, poi, mi ha voluto anche nel suo disco e ci siamo trovati bene. Con Annalisa, invece, volevo collaborare da tempo ma non c’era mai stata l’opportunità. Finalmente ce l’abbiamo fatto. Personalmente, poi, sono stato molto propenso ad aprirmi anche ad altri generi; l’ho fatto e lo farò anche in futuro

Cosa ti aspetti da questo disco?
Non ho particolari pressioni o ansie, semplicemente ora che esce mi sento più leggero. Non leggo i commenti e mi sono fatto un giubbotto antiproiettile su cui puoi scaricarmi addotto di tutto. So di avere tanta gente che mi capisce, mi supporta e mi ama così come gente che mi critica. Anche qui, sono consapevole di me stesso e della persona che mi fa essere artista, tutto qua.

Foto da Ufficio Stampa