Arriverà su Disney+ il documentario di Peter Jackson ‘The Beatles: Get Back’. Ecco cosa ha raccontato il regista sul progetto.

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Dimenticate terre sconfinate e materiale fantasy. La vera passione di Peter Jackson – almeno negli ultimi anni – sembra essere quella per i documentari, come dimostra They Shall Not Grow Old – Per sempre giovani del 2018. L’amore per il reale si fonde però con quello per la musica in The Beatles: Get Back, la docuserie originale Disney+ disponibile il 25, 26 e 27 novembre.

Si tratta di tre episodi, realizzati interamente con filmati inediti restaurati su John, Paul, George e Ringo. E, in particolare, racconteranno la realizzazione dell’album Let It Be.

«Sicuramente sono un fan dei Beatles. – esordisce subito Peter Jackson nel corso della conferenza stampa internazionale – Ma in realtà non ho nessuna bella storia da raccontare, perché non ricordo nulla dei Beatles negli anni ’60. I miei genitori non hanno mai comprato un loro album. Li ho comprati da solo appena ho avuto qualche soldo e le loro compilation, il Red Album e il Blue Album, sono stati il mio primo acquisto di un LP. Credo di essere stato un fan dei Beatles da quel momento».

Ovviamente, l’assunto – necessario – di Peter Jackson è che, per realizzare un documentario sui Beatles, devi comunque essere un loro fan. Soprattutto perché parliamo «di 150 ore di audio». E talvolta – in questi quattro anni di lavoro – per Peter Jackson è stato un po’ come «origliare una conversazione di 52 anni fa». «Ma proprio perché sono fan, sono riuscito a capire le sfumature e la rilevanza di tante cose di cui parlavano».

E non è solo la storia dell’album Let It Be. È un insieme di storie che si intrecciano tra loro. «C’è il racconto di Michael Lindsay-Hogg che provava a fare il suo film. – precisa Jackson – Nel suo documentario Let It Be (del 1970, ndr) non poteva raccontarla lui perché era il regista invisibile. 50 anni dopo, però, Michael è diventato un personaggio del mio film».

Del resto, la docuserie di Jackson è proprio il risultato dello studio di quasi 60 ore di filmati inediti, girati in 21 giorni da Michael Lindsay-Hogg nel 1969. E di più di 150 ore di registrazioni audio mai ascoltate, la maggior parte delle quali sono rimaste conservate in un caveau per oltre mezzo secolo. Jackson è l’unica persona in 50 anni ad aver avuto accesso a questo tesoro dei Beatles, che oggi è stato magistralmente restaurato.

«Sono ancora sconvolto dell’esistenza di tutto questo materiale. – dice Jackson – E non è solo la storia dell’album Let It Be, perché in quel periodo i Beatles scrissero molte altre canzoni che non sono finite nell’album».

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Eppure, se Jackson dovesse muovere una critica ai Fab Four, direbbe che «dietro di loro c’era pochissima organizzazione». Perché – per Let It Be – chiarisce il regista, «hanno realizzato l’album senza il solito team di supporto che li accompagnava. E anche oggi, se guardo il documentario, non capisco chi dovesse organizzare tutto per loro. Forse Dennis O’Dell, il produttore, che però non lavorava per loro full-time. Ci vedo un po’ di disorganizzazione, quindi. Ma è il mio punto di vista».

Peter Jackson e i Beatles come non li avete mai visti

La vera forza del documentario sta tuttavia proprio nel candore di alcune scene. E Jackson sottolinea quanto sia tutto merito di Michael Lindsay-Hogg, che con i Beatles iniziò un vero e proprio braccio di ferro.

«Ma era determinato a filmarli quando non se ne accorgevano. Metteva la telecamera su un treppiede e solitamente c’è un cameraman dietro la telecamera. Ma lui diceva al cameraman di iniziare a registrare e poi allontanarsi, come se andasse a bere un caffè. E così si ritrovava con 10 minuti di girato molto naturale. Metteva anche lo scotch sopra la luce rossa che di solito indica che si sta registrando. Eppure mi sono accorto che, soprattutto John e George, sapevano benissimo che le loro conversazioni private erano costantemente registrate. E, per dispetto a Michael, alzavano il volume degli amplificatori e delle chitarre».

Il bello di essere nel 2021 è stato poter usufruire della tecnologia per diminuire i rumori degli strumenti e avere accesso a quelle conversazioni private. In un solo momento (in 150 ore di girato) – ricorda Jackson – «Paul McCartney si è girato e ha detto Ora basta filmare. Spensero la telecamera ma non la registrazione audio, quindi abbiamo ancora la conversazione che ne seguì».

Insomma, pensiamo di conoscere I Beatles. Ma, come sottolinea giustamente Jackson, «conosciamo solo le situazioni da performance».

«Anche ora, durante una conferenza stampa, cerchi di essere naturale. Di essere te stesso. Ma se sai di avere un pubblico, il tuo atteggiamento comunque non sarà naturale. E non esiste da nessuna parte un’immagine vera dei ragazzi, di come erano veramente». In fondo, ciò che Jackson ha scoperto, è che i Beatles erano «persone normali».

«Ovviamente erano diversi tra loro, come è normale che sia. Eppure li abbiamo sempre immaginati come un’unità, per colpa della commercializzazione dei Beatles negli anni ’60. Avevano delle etichette, ma nonostante questo erano un tutt’uno. Invece non lo sono. Sono semplicemente quattro ragazzi, quattro esseri umani distinti. Con le loro opinioni e il loro modo di reagire diversamente alle cose. In un certo senso, ora, li rispetto di più. Li vedo come persone e ne sono grato».

All’epoca, il documentario di Michael Lindsay-Hogg non fu preso bene dai quattro esseri umani. Secondo Peter Jackson, però, ora la loro immagine è storia. «Nessuno ha avuto da ridire. Anzi, uno dei migliori commenti è arrivato da Paul. Mi ha detto Guarda, è un ritratto molto accurato di come eravamo allora. Ha detto solo questo, ma me lo sono segnato. Ero felicissimo, perché ho provato in tutti i modi a non distorcere la realtà nel ridurre 150 ore di girato. Anche Ringo mi ha detto che è molto veritiero. Credo fosse importante per loro che non fosse un documentario ripulito. La Disney, in verità, voleva eliminare le parolacce. Ma Paul, Ringo e Olivia hanno detto che loro parlavano in quel modo e che volevano che il mondo li vedesse così. Ora possono permettersi di mostrarsi al mondo con un po’ più di verità. Credo siano nervosi, ma ci sta».