C’avete presente quando qualcuno, per rassicurarvi, vi dice con tono pacato “Stai tranquillo”? E magari qualcuno risponde ironico: “Tranquillo ha fatto una brutta fine!”.
Dietro a questa battuta — che a Roma è ormai diventata un modo di dire — si nasconde una storia vera, drammatica e paradossale, accaduta negli anni Sessanta. Un fatto di cronaca nera che, col tempo, è diventato leggenda popolare: “il delitto del bitter”.
Chi era davvero Tranquillo
Tranquillo Allevi non è un personaggio inventato. Era un commerciante di formaggi, un uomo onesto e riservato, con un nome che evocava calma e serenità. Eppure, la sua vita — e soprattutto la sua morte — furono tutt’altro che tranquille.
Nato e vissuto tra le province di Novara e Imperia, Tranquillo era sposato con Renata Lualdi, donna dal carattere vivace, madre dei suoi due figli, ma legata sentimentalmente anche a un altro uomo: Renzo Ferrari.
La relazione extraconiugale era nota a molti nel paese, tanto che le voci finirono per raggiungere anche Tranquillo, che col tempo sorprese i due amanti più di una volta.
Nonostante tutto, da bravo marito e padre, cercò di salvare il matrimonio, trasferendosi con la famiglia ad Arma di Taggia, in Liguria. Ma neanche il cambio di città bastò: Renata continuò a tradirlo, e la situazione divenne sempre più tesa.
La proposta indecente e la vendetta
Renzo Ferrari, non riuscendo a dimenticare la sua amante, arrivò a proporre a Tranquillo un vero e proprio “accordo”: gli offrì quattro milioni di lire in cambio della moglie Renata.
Tranquillo rifiutò indignato, ma quel rifiuto segnò la sua condanna.
È il 25 agosto 1962. A casa Allevi arriva un pacco postale apparentemente inviato da un’importante azienda, contenente una bottiglietta di bitter e una lettera che invitava Tranquillo ad assaggiare la bevanda per valutare una possibile collaborazione commerciale.
Felice di quell’occasione, Tranquillo invita due amici commercianti per brindare insieme. Ma appena bevono, si accorgono del sapore strano e amarissimo. È già troppo tardi.
I tre vengono colpiti da forti dolori allo stomaco e corrono in ospedale. I due amici, sottoposti a lavanda gastrica, si salvano. Tranquillo no: muore avvelenato da stricnina.
Il delitto del bitter
Le indagini non lasciano spazio a dubbi. Tutto porta a Renzo Ferrari: la lettera scritta dal suo posto di lavoro, l’etichetta ritagliata da una rivista medica trovata a casa sua, e la sostanza usata per i bovini.
Viene condannato a 24 anni di carcere. Uscirà nel 1986, grazie alla grazia concessa dal presidente Francesco Cossiga a centinaia di detenuti. Morirà due anni dopo, nel 1988.
Dal dramma alla leggenda
Col passare del tempo, la storia di Tranquillo Allevi si è trasformata in un modo di dire popolare, in particolare a Roma.
Dire “Stai tranquillo” o “Tranquillo ha fatto una brutta fine” è diventato un modo ironico per dire “non fidarti troppo”, o semplicemente per scherzare sull’assurdità della vita.
Una battuta che strappa un sorriso, ma che affonda le radici in un fatto tragico, un piccolo frammento di cronaca che ha attraversato i decenni fino a diventare cultura orale.
Una morale amara (come il bitter)
Ora che conoscete la storia, forse la prossima volta che vi diranno “Stai tranquillo”, vi verrà spontaneo rispondere con un sorriso:
“Tranquillo? Sì, ma non quello del bitter!”


