Nel cuore della Roma barocca, Giulia Tofana offrì alle donne una “soluzione” per liberarsi dai matrimoni infelici. E finì bruciata come strega.
Quando, nella Roma barocca, il potere papale si estendeva con tutte le sue ombre e le stanze silenziose dei conventi sembravano celare molto più di quello che era possibile vedere a occhio nudo, c’era una donna il cui nome veniva pronunciato sottovoce, sottendendo paura e reverenza nei suoi confronti: Giulia Tofana. Non era una nobile, né tantomeno una santa, ma la sua leggenda ha attraversato per secoli la storia della città eterna. In un’epoca profondamente patriarcale, nella quale il destino delle donne era deciso da padri e mariti, questa donna offrì una via d’uscita estrema per i matrimoni infelici: l’Acqua Tofana. Era molto di più di un’arma: per molte donne era l’unica scelta possibile. Un’invenzione rivoluzionaria che la condusse al rogo. Non ci resta che scoprire la sua storia, ancora avvolta nel mistero, ma sicuramente tra le più inquietanti e ricche di fascino della Roma del Seicento.
L’invenzione dell’Acqua Tofana: tra veleno e libertà
La biografia di Giulia Tofana è avvolta dal mistero. Nata probabilmente a Palermo sul finire del sedicesimo secolo, era forse figlia o nipote di Thofania d’Adamo, giustiziata per aver avvelenato il marito. Da lei, Giulia aveva ereditato un sapere oscuro e letale e, quindi, intorno al 1640, riuscì a perfezionare una formula che avrebbe cambiato la sua vita e quella di molte donne a lei contemporanee: l’Acqua Tofana, una “soluzione” per i matrimoni infelici.
Si trattava ovviamente di un veleno: una miscela trasparente, inodore e insapore – a base di arsenico, piombo e forse belladonna – che somministrava a piccole dosi, durante i pasti, uccidendo lentamente il coniuge e senza lasciare tracce evidenti.
Giunta a Roma con la figlia (o sorella) Girolama e un frate-amante complice, Giulia cominciò a frequentare le dame dell’alta società nel cuore di Trastevere. Vendeva a loro la sua pozione, sotto forma di cosmetico o elisir da toeletta, in boccette ornate da immagini religiose.
La clientela veniva scelta con cura certosina: solo donne, solo disposte a pagare una grande somma per il prezzo della libertà. Le richieste crebbero sempre di più e Giulia diventò ricca, protetta e rispettata.
La fine di Giulia Tofana: l’ultima “strega” bruciata a Roma
Dopo vent’anni di silenzioso successo, l’impero messo giù da Giulia crollò vertiginosamente sotto il peso dell’Inquisizione. Si rifugiò in una chiesa dove venne arrestata, torturata e costretta ad ammettere di aver venduto veleno sufficiente a uccidere seicento uomini solo a Roma, nel periodo tra il 1633 e il 1651.
Venne così condannata e giustiziata a Campo de’ Fiori nel 1659, insieme alla figlia, ai suoi aiutanti e a numerose donne accusate di uxoricidio. Solo alcune, più fortunate (o più ricche), si salvarono dichiarando che quelle in loro possesso erano solo boccette di colliri o prodotti cosmetici.
La figura di Giulia Tofana resta oggi controversa: per la storia ufficiale, fu un’avvelenatrice seriale. Per altri, una “strega” al servizio delle donne, un simbolo di ribellione femminile in un’epoca in cui non esisteva altra via d’uscita.
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