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Amara, da Sanremo all'album Pace: 'Se un uomo è in guerra con se stesso, è in guerra con il mondo intero'

Abbiamo avuto modo di vederla sul palco dell'Ariston in compagnia di Paolo Vallesi per presentare il brano Pace, a cui Carlo Conti ha voluto comunque riservare uno spazio all'interno della kermesse, ma Amara – in un certo senso – al Festival è anche salita sul podio, dato che ha firmato il brano Che sia benedetta di Fiorella Mannoia. Dopo Sanremo, tuttavia, per la giovane cantautrice è stato tempo di mostrare la propria artisticità, contenuta in tutte le sue mille sfumature nell'album Pace (prodotto da Carlo Avarello per Isola degli Artisti – distr. Believe Digital), un disco intimo contenente 9 brani, che sottolineano non solo le incredibili capacità descrittive di Amara, ma anche tutta la passione dell'artista per la vita. Abbiamo raggiunto telefonicamente la cantautrice, che ci ha parlato più a fondo di questo progetto discografico

Ciao Amara, come stai? Sei fresca di Festival, quindi inizierei col chiederti come è andata e come hai vissuto la parentesi che Carlo Conti vi ha concesso…
Per me è stato un Sanremo meraviglioso e totalmente nuovo. L’ho vissuto come autrice, ma ho avuto anche l’onore di essere presente, è stato bellissimo.

Ecco, avevo tenuto una domanda per ultima, ma ne approfitto e te lo chiedo subito: come si vive questa doppia anima di autrice e cantautrice? Tra l’altro come autrice negli ultimi tempi stai ottenendo tantissimi riconoscimenti, tra cui il secondo posto al festival di Fiorella Mannoia con Che sia benedetta.
I riconoscimenti mi rendono felicissima, soprattutto perché io non sento questa duplicità di cui stai parlando: sono ciò che sono, scrivo quello che vivo. Io scrivo per me, poi mi rendo conto che le canzoni hanno una vita propria e le faccio cantare ad altri, come è accaduto con Fiorella Mannoia. Per me con Che sia benedetta è stato come essere al Festival, ho vissuto le stesse cose che viveva Fiorella, non mi sentivo spettatrice. Le canzoni sono come figli e non c’è cosa più bella di vedere che chi le indossa le ama quanto le hai amate tu.

Il tuo album, Pace, ti vede invece sia in veste di autrice che di interprete. Ho letto tante cose interessanti su questo lavoro, prima tra tutte che per te questi brani sono “legati al volere dell’esistenza”. Mi spieghi meglio questo concetto?
Io ho un forte rispetto per questo dono grandissimo che è la vita. Da quando sono arrivata a questa consapevolezza, vivo ogni giorno con la bellezza negli occhi. Anzi, non disconosco la bellezza di ciò che vedo, mi sento di scriverla. Sono grata alla vita, come dichiaro apertamente nel brano Grazie.

Grazie può essere considerato quindi un inno alla vita?
Siamo il risultato di tante piccole cose che ci accadono. Se riuscissimo realmente a cogliere il buono di ogni cosa, capiremmo che ogni esperienza nell’esperienza – perché essere in vita è la grande esperienza – ti completa.

Altra cosa che mi ha incuriosito è che per te questo album ha un lato ‘letterario’ molto profondo. Come sviluppi la parte più autorale, quindi?
A differenza del primo album che è stato realizzato in 5 anni e quindi aggiungeva di volta in volta piccoli frammenti del momento, Pace è stato costruito nel presente, adesso, in un anno e mezzo. È quindi pervaso da una coerenza di fondo, perché io davvero scrivo ciò che vivo. L’uso della parola per me sta diventando una componente sempre più importante, perché credo che la lingua italiana sia bellissima, soprattutto se sviluppi la capacità di smontarla e ricostruirla. Per me è anche un gioco riuscire a spiegare delle sensazioni con concetti che sono semplici e complessi nello stesso tempo. È un metodo molto letterario, alla fine, no? (ride, ndr)

Sai che a mio parere al giorno d’oggi sostenere che la vita sia un grande dono è quasi un atto di ribellione? A livello umano e artistico, come sei arrivata a questa consapevolezza?
Non è stato difficile, anche se è vero che adesso dire che 'la vita è perfetta' non è scontato. Secondo me ci si ferma troppo a riflettere sull’andamento sociale e sulla distruzione dell’umanità, ma il centro di tutto è l’uomo. In Pace c’è questo concetto: se un uomo è in guerra con se stesso, è in guerra con il mondo intero. La malattia dell’uomo, questa volontà di auto-distruggersi, dipende forse dal fatto che ci siamo dimenticati di essere qualcosa di grande, di essere vita. Ciò che ci circonda è vita, va oltre la macchina umana, è un movimento vitale che si muove e che ci fa capire che la vita è perfetta ed è preziosa. Noi siamo parte di tutto ciò, siamo vita in vita. Non capisco perché l’abbiamo scordato. Se dovessi immaginarmi inesistente, se dovessi percepire impulsi di rabbia, direi basta. Mi sono disintossicata da questa malattia.

A proposito di vita e malattia, com’è nato il brano La terra è il pane? Se ho capito bene, è nato dopo un viaggio in Africa…
Sì, questa canzone è nata dopo un viaggio meraviglioso in Etiopia. In Africa si torna un po’ allo stato primordiale, è una terra che ti riporta a un contatto con te stessa, ritrovi una forma animale in te, perché l’Africa te lo impone. L’Africa è natura, fango, sudore, colore. È meravigliosa. Preciso che sono partita con un’Associazione, il Progetto Etiopia Onlus-Lanciano, quindi per me è stato molto significativo andare lì e capire come operano, visto che tendiamo a pensare che dietro ogni cosa ci sia del marcio. Iniziare a curarsi vuol dire invece proprio andare a vedere e a ricercare la verità. Io ho capito, grazie a questo viaggio, che ci sono persone che fanno del bene. Stare con questi ragazzi mi ha fatto sentire povera. Noi diciamo che loro sono ‘poveri’, ma hanno una ricchezza che dobbiamo solo invidiare. Mi hanno insegnato il senso umano e la dignità, per cui ho voluto scrivere questa canzone, in cui dichiaro che nessuno è schiavo, nessuno è padrone. Siamo tutti figli della stessa terra.

Parli anche del concetto di perdono…
Sì, non serve portare rancore tutta la vita. Siamo dei frutti bellissimi, che vivono e godono dei benefici del pianeta. Come al solito, ce ne dimentichiamo.

C’è anche un omaggio a Ivano Fossati in questo album, con il brano C’è tempo. Sostieni che Fossati ti abbia insegnato a non avere paura del tempo che passa, un altro concetto molto interessante…
Il tempo è diventato un grande mostro. Abbiamo tantissima paura che passi, ma involontariamente andiamo più avanti del tempo stesso. Anche questo è un controsenso, ma del resto l’uomo è il controsenso di ogni cosa (ride, ndr). Il tempo passa e quella canzone di Fossati mi ha insegnato che le cose arrivano comunque, se sai sognarle e se sai aspettarle. Come ci insegna la natura, un albero per fare i frutti aspetta la stagione giusta, quindi la nostra natura è quella di dover aspettare. E, dato che la natura è la mia insegnante, penso che il tempo vada attraversato. Non ho paura di invecchiare, di crescere e capire il perché sono qua. Voglio apprezzare la trasformazione, il processo che mi porterà a conoscermi e penso che sarà bellissimo. La canzone di Fossati mi ha fatto bene in un periodo complicato della mia vita, mi ha dato tanta forza e mi ha fatto capire anche che scrivere canzoni è una grande responsabilità, perché potrebbero cambiare la vita delle persone che la ascoltano.

In questo brano c’è anche la partecipazione di Simona Molinari…
Simona ha dato un tocco di eleganza e magia al brano. È un’artista che stimo tantissimo, è una cara amica e una sorella in musica. Ha dato un tocco di eccellenza alla canzone.

Visto che parliamo di collaborazioni, parliamo anche di Paolo Vallesi, con cui tra l’altro ti sei esibita sul palco dell’Ariston.
Ci siamo incontrati per caso durante un evento di beneficenza. Io sono convinta che qualunque persona io incontri, racchiuda un messaggio per me dentro sé. Con Paolo l’incontro è stato visivo ma anche emotivo, ci stimiamo come persone e come artisti. Per quanto mi riguarda, canzoni come La forza della vita mi hanno lasciato messaggi profondi all’epoca in cui uscirono. Anche io canto la vita, per cui l’incontro con Paolo è stato quasi magico. È come se pensassimo le stesse cose e vivessimo la vita alla stessa maniera. Abbiamo deciso quindi di intraprendere questo percorso insieme, che ha compreso Sanremo e tutto ciò che è venuto dopo. L’intenzione è quella di portare in giro un messaggio, per cui ci saranno anche altri eventi che ci vedranno insieme. Sono convinta che ci divertiremo e che faremo grandi cose.

Vedo che le canzoni portano tutte la tua firma e quella di Salvatore Mineo, tranne Filastrocca d’Amore, che chiude l’album. Come mai?
Salvatore è il mio compagno di viaggio. In piccolo o in grande ci sarà sempre.

Questa canzone però è venuta da sola…
Sai che io non so cosa mi succeda a volte quando scrivo? Entro in una dimensione diversa e il pensiero fluisce. Una sera mi sono accorta che avevo iniziato a scrivere e mi divertivo tantissimo a ritrovare in me l’energia tipica dei bambini. Leggevo questa canzone come se fosse una filastrocca e per questo porta questo titolo. Sapevo che metterla nel disco sarebbe stata un po’ una follia, me lo diceva anche la produzione. Io però ero decisa, perché la reputo una sorta di ‘manuale d’amore’. Prima parlavo della natura come ‘insegnante’, ma anche i bambini possono essere dei grandi maestri: hanno una spontaneità e una purezza che possono insegnarti tanto, mentre noi siamo convinti di dare lezioni a loro. In questo brano, diciamo che ho usato la frequenza dei bambini.