Resistente, duraturo e sorprendentemente attuale: cosa nasconde davvero il cemento usato duemila anni fa dai Romani? Una risposta che potrebbe cambiare il futuro dell’edilizia

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In un’epoca come la nostra, in cui l’edilizia è tra i maggiori responsabili dell’inquinamento globale, un salto indietro nel tempo potrebbe aprire una via inaspettata verso la sostenibilità. A offrire questa possibilità è il cemento dell’Antica Roma: una miscela di semplicità e ingegno che, dopo duemila anni, continua a stupire per durata, resistenza e – forse – impatto ambientale ridotto. Ma è davvero possibile che un’idea tanto antica possa servire al nostro futuro?

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La meraviglia delle costruzioni romane

Chiunque abbia varcato le porte del Pantheon a Roma si è trovato di fronte a un miracolo di ingegneria: una cupola in cemento non armato che sfida i secoli senza cedere. Non è un caso isolato. Gli antichi romani hanno costruito acquedotti, moli e strade che hanno resistito a guerre, terremoti, agenti atmosferici e all’usura del tempo. E lo hanno fatto con una malta diversa da quella moderna, apparentemente più semplice, ma straordinariamente efficace.

Un cemento diverso, ma è davvero più sostenibile?

La formula alla base del cemento romano è nota: calce viva, acqua e pozzolana, una cenere vulcanica finissima che si trovava facilmente nell’area di Pozzuoli, vicino Napoli. A differenza del cemento moderno, che viene cotto a oltre 1.400 gradi Celsius, la calce romana richiedeva solo 900°C per essere attivata, con un dispendio energetico molto minore. Questo ha portato molti ricercatori a chiedersi: e se il cemento romano fosse non solo più duraturo, ma anche meno impattante a livello ambientale?

L’illusione dell’alternativa ecologica

Uno studio recente condotto da Daniela Martinez, ingegnera ambientale della Universidad del Norte, ha provato a rispondere a questa domanda. I risultati, però, sono stati più complessi del previsto. Riprodurre il cemento romano con le tecnologie attuali non sempre riduce le emissioni di CO₂. Anzi, in alcuni casi, il risultato è paragonabile o persino peggiore rispetto alla produzione del cemento tradizionale.

Il vantaggio vero, però, sta in un altro tipo di inquinamento: quello legato a ossidi di azoto e di zolfo. Il metodo romano ne produce significativamente meno, con riduzioni potenziali fino al 98% a seconda della fonte energetica utilizzata.

La chiave è la durata, non la formula

Se il processo di produzione non è nettamente più ecologico, la vera forza del cemento romano è nella sua longevità. Una struttura che dura secoli, anziché decenni, non ha bisogno di continue manutenzioni, ricostruzioni o smaltimenti. Ed è proprio qui che potrebbe risiedere la lezione più importante: progettare edifici per resistere nel tempo, non per essere sostituiti a breve termine.

Va detto però che il paragone tra passato e presente non è immediato: oggi le infrastrutture devono resistere a carichi, stress e condizioni ben più complesse di quelle del mondo antico. E i romani non utilizzavano l’acciaio, che nel calcestruzzo moderno è spesso causa di corrosione e degrado.

Una filosofia da riscoprire

Più che copiare la ricetta, forse dovremmo imparare la mentalità. I romani costruivano per l’eternità, mentre oggi si costruisce troppo spesso per il breve termine. La sfida ambientale del nostro secolo non si vince solo con materiali innovativi, ma con un cambio di paradigma: edificare meno, costruire meglio, e puntare su materiali che durino nel tempo, davvero.

Foto: Shutterstock