Dall’importanza della trasparenza all’innovazione tecnologica: Laura Marchesi ci racconta la realtà di DICE in Italia.

Il mondo del ticketing dei concerti sta attirando l’attenzione e scatenando dibattiti: dal secondary ticketing ai junk fees (persino Biden è intervenuto sulla questione), i problemi da risolvere non sono pochi e l’impressione è che siamo di fronte a un mercato in trasformazione. In questo panorama si inserisce la realtà di DICE che, dal 2014, «sta rimodellando l’industria del ticketing per i fan, gli artisti e le venue», come si legge sul sito. Ma in che modo? Ne abbiamo parlato con Laura Marchesi, Account Director di DICE in Italia.

Ciao Laura, come sei arrivata a DICE?
«La mia carriera nel business entertainment nasce 17 anni fa, quando sono andata a vivere in Spagna dopo essermi innamorata del Primavera Club. Ho vissuto lì per sette anni, lavorando a tantissimi concerti e viaggiando molto. Ho visto tutti gli ambiti del business entertainment e sono contenta di averli visti in un paese che non è l’Italia, perché mi ha permesso di avere una visione molto più aperta. È vero che le dinamiche si ripetono, ma ci sono anche dinamiche diverse. Son tornata in Italia e, dopo un po’, mi ha contattata DICE».

Cosa ti ha attratto di più della nuova realtà?
«L’innovazione, e non solo quella tecnologica. Anche se indubbiamente ammiro molto la app di DICE. Si parla tanto di app in questo periodo, ma un conto è avere una app e un conto è avere una app che usi. Spesso ti fanno scaricare la app per entrare a un evento, ma la cancelli dopo esserci andato. L’app di DICE è invece unica in Italia, perché è una community».

In che senso e sotto quale aspetto?
«C’è l’applicazione, ma anche uno spazio dove salvare i tuoi artisti preferiti o essere messo in lista d’attesa agli eventi temporaneamente sold out. L’aspetto più bello è che si crea una community con utenti attivi. Abbiamo più di 1 milione di utenti attivi a New York e a Londra. L’engagement è reale: quando una persona entra nella logica di DICE, rimane. È interessante anche per noi, è fonte di entusiasmo. Ogni contenuto che mettiamo, ogni artista assume un’importanza incredibile per il fan e per noi il fan viene prima. Il nostro motto è get out more, vogliamo che il fan esca di più».

È una app attiva e non passiva. Mi vengono in mente le push.
«Cerchiamo di non essere invadenti e di non fare spamming, ma se c’è un interesse da parte dell’utente tentiamo di tenerlo engaged».

Quali sono, secondo te, le peculiarità della realtà italiana con cui DICE si è dovuto confrontare e scontrare?
«Sicuramente ha influito sul mercato italiano l’accordo Panischi, che sanciva che tutti gli eventi live fossero venduti da TicketOne, in accordo anche con il governo e con la SIAE. Per 15 anni l’Italia ha quindi assistito al monopolio di TicketOne, finito nel 2017. È chiaro però che in 15 anni il gruppo abbia acquisito un database di artisti italiani enorme. Le multinazionali, in quegli anni, vendevano una porzione bassa di biglietti per altri generi di spettacoli. Non erano però quelli che dettavano la forza delle vendite, perché è chiaro che i live musicali vendono di più. Nel 2017, tutte le biglietterie sono riuscite a entrare nel mondo del ticketing del live e si è aperto il mercato».

Immagino sia scattata anche una sorta di competizione.
«Sì, e su su vari fronti. È stato difficile per tutti. La SIAE in Italia non è come la SGAE spagnola che ha regole precise ma è molto più flessibile. Il nostro sistema fiscale ti vincola proprio per evitare che ci siano attività di secondary ticketing o frodi a livello di tasse e diritti d’autore, ma anche di biglietti. La fine dell’accordo Panischi ha creato una possibilità che si è sviluppata però solo negli ultimi anni. Ed è una possibilità complessa, perché ognuno ha dovuto adattarsi facendo ciò che poteva per entrare nel mercato, imporsi e cercare di poter vendere. Quando ci sono realtà potenti, anche proprietarie di artisti, non è facile».

Come ha reagito DICE?
«DICE, ad esempio, si è specializzata nella musica elettronica (in cui siamo fortissimi) e nelle venues locali più piccole. Abbiamo tanti locali, siamo radicati nel tessuto italiano e abbiamo le venues più strategiche. Ma ci si deve reinventare continuamente».

È un aspetto anche stimolante?
«È il fuoco che ti dà la spinta per migliorare e trovare costantemente soluzioni. Il fan deve capire l’importanza di DICE, apprezzare il sistema tecnologico o un contenuto. Ricordiamo che molti eventi oggi sono venduti su più piattaforme».

Qual è la sfida maggiore in Italia in questo senso?
«C’è una buona differenza tra nord, sud e centro Italia. Sono logiche normali perché l’Italia è particolare e lo vediamo anche nel turismo. Abbiamo il mare, montagna, i vulcani: non sembra, ma influisce perché ogni ambiente ha un’energia diversa, le proprie abitudini e i propri costumi. Ci sono poi peculiarità tipiche di una regione o del sud e del nord. Cerchiamo di comprendere queste peculiarità per andare incontro alle esigenze: al nord, ad esempio, può andar benissimo una push mentre al sud una newsletter. Studiamo i dati per capire la cosa più efficace che funziona meglio per il fan».

Entriamo nel tema dei junk fees e del secondary ticketing. Quanto sono importanti questi aspetti per DICE?
«Parliamo di aspetti riconosciuti a livello mondiale. Noi il fan lo vogliamo tenere sulla app sempre e per questo gli permettiamo di entrare in DICE e sentirsi sicuro. Non deve pensare a rivendere il biglietto, ricomprarlo o chiedersi cosa succederà. Sappiamo che quando vuoi un biglietto non ci vedi più. Per fidelizzare e mostrare tutto in modo limpido abbiamo molte tecniche: la waiting list o, ad esempio, la rivendita a un amico o la rivendita ufficiale. Viene tutto salvato e il QR Code viene generato un paio d’ore prima circa. In questo modo non si ha il tempo fisico e materiale di far nulla per copiarlo. Quando si arriva all’evento, c’è il controllo obbligatorio. Noi però abbiamo un sistema per verificare tutto in tempo reale. E mostriamo il prezzo limpido e trasparente da subito, è fondamentale».

C’è un dibattito sul tema, non a caso.
«Se hai voglia di uscire e non spendere 50 euro, sai subito quanto spendi e non ti senti ingannato. Parlo con il rispetto per le altre realtà che operano semplicemente con metodi differenti. Non giudico, dico solo che DICE tiene tantissimo alla trasparenza».

È, in fondo, anche un modo diverso di vivere la dimensione live.
«È così e infatti i nostri utenti a Milano escono quattro volte di più. Sanno quanto possono spendere e noi offriamo loro un humus interessante che ai giovani piace. Le nuove generazioni non sempre hanno disponibilità economica. E per noi i concerti devono andare anche e soprattutto incontro ai giovani».