I Calibro 35 portano il loro live ‘Scacco al Maestro – Calibro 35 Plays Morricone’ al Conservatorio di Milano. La nostra intervista.

In occasione della Milano Music Week, i Calibro 35 si preparano a riempire di note la Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Il luogo giusto per il loro Scacco al Maestro – Calibro 35 Plays Morricone che porta sui palchi la rivisitazione delle musiche di Ennio Morricone da parte della band. Ne abbiamo parlato con Tommaso Colliva e Enrico Gabrielli.

Ottobre e novembre nei teatri, con una data finale speciale. Cosa rappresenta per voi questo live al Conservatorio di Milano?
Tommaso Colliva: «È ed è stato un enorme piacere portare questo spettacolo nei teatri. La musica che affrontiamo in esso merita l’attenzione ed il tipo di fruizione che certi spazi inducono. Negli ultimi anni, abbiamo purtroppo dovuto vedere (e fare) da seduti troppi concerti che non aveva senso fossero esperiti in questo modo. Adesso possiamo serenamente dire Facciamo questo spettacolo di musica bellissima che vi terrà incollati alla sedia per un’ora e mezza. E quando finirà speriamo ne vorrete ancora».
Enrico Gabrielli: «Io ho studiato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Ricordo addirittura gli ultimi istanti di vita dell’Orchestra Rai di Milano poco prima che la chiudessero definitivamente. Uno dei clarinettisti dell’orchestra era stato mio maestro. Negli uffici del retropalco, i cosiddetti Ex-RAI, ci sono le aule di composizione. E, da qualche parte, risiede la mitica marimba a cinque ottave, un mostro enorme intrasportabile e costoso oltre ogni senso».

Calibro 35 Plays Morricone: un album complesso (nella sua accezione più positiva) a cui corrisponde, immagino, un live altrettanto strutturato. Avete studiato qualche accorgimento per renderlo al meglio nei teatri?
TC: «Giunti quasi al termine di questo tour possiamo dire che ci avevamo visto giusto! Questa musica è perfetta per il teatro. È complessa, come giustamente dici, ma non difficile, come fin troppo spesso si finisce di pensare automaticamente. Il nostro obiettivo è stato quindi quello di rappresentare, sia su disco che nel live, entrambe queste anime al meglio. Non semplificando o banalizzando l’argomento, ma cercando di renderlo fruibile e immediato in tutta la sua bellezza».

In che modo?
TC: «Con noi ci sono quattro musicisti eccezionali come Roberto Dell’Era, Paolo Raineri, Sebastiano de Gennaro e Valeria Sturba che ci permettono di rendere al meglio le composizioni iconiche del Maestro, ma anche momenti classici per Calibro durante i quali affrontiamo il repertorio di Morricone in quartetto sviscerandone l’impatto e l’efficacia».

Cosa ne penserebbe il Maestro Morricone?
EG: «Il materiale è stato studiato e adattato al nostro organico e alla nostra modalità di approccio. Personalmente sono abbastanza sicuro che il Maestro, se fosse vivo e se ci ascoltasse, non sarebbe contento di certe soluzioni arrangiative. Ma in cuor nostro siamo certi che è un concerto che non tradisce né le aspettative di un ascoltatore di Morricone né di un ascoltatore dei Calibro 35».

Cosa vi portate dietro, invece, delle prime date che avete magari integrato in questa nuova tranche di live?
TC: «La scaletta è frutto di una sintesi tra i due volumi del disco integrata con altri brani studiati appositamente per il live. Si va dal repertorio più classico/doveroso/istituzionale, come le colonne spaghetti western per Sergio Leone (Per un Pugno di Dollari, Il Buono Il Brutto Il cattivo), alle cose più polarizzanti per Dario Argento prima del successo di Profondo Rosso (Il Gatto a Nove Code) o dei film politici di Elio Petri (Indagine Su Un Cittadino Al Di Sopra di Ogni Sospetto) a brani invece più oscuri e meno sentiti, passando per capolavori che rimarranno nella storia della musica italiana come Se Telefonando».

L’emozione più grande che provate sul palco?
TC: «Ogni sera è incredibile per noi toccare con mano che, a dispetto di quanto si dica, c’è ancora un sacco di gente che ha voglia di sentire musica diversa nel DNA da quello che di solito si considera essere la musica che si ascolta in radio/tv/sulle piattaforme. Un pubblico che si gode un paio d’ore di musica strumentale trattenendo il fiato e godendo di quello che succede sul palco, un pubblico in cui quello che facciamo risuona e suscita emozioni e pensieri. Alla fine è il motivo per cui noi questa cosa la facciamo». 

Dopo tutto questo lavoro, avete imparato qualcosa in più sulle musiche di Morricone?
EG: «Non c’è un archivio chiaro e consultabile e di conseguenza le partiture del Maestro non ci sono. E, se ci sono, si tratta di semplificazioni senza ritegno. Ognuno di noi ha dovuto lavorare di orecchio e di schemi per costruirsi addosso la propria parte (se vogliamo usare un parallelo teatrale). Quello che devo fare io in questo concerto è una kermesse polistrumentistica tra le più difficili che abbia mai affrontato.  E non è scena, giuro: ma per riassumere l’intenzione orchestrale di quasi tutti questi brani (in particolare quelli Western) mi son dovuto rendere la vita più difficile del solito. Adesso che siamo all’ultima data tutto mi pare tutto un po’ più semplice. Incluso il futuro».

Foto: Attilio Marasco