Bartolini ci racconta il nuovo album ‘TILT’ (Carosello Records) tra nuove sperimentazione sonore e malessere.

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Si intitola TILT (Carosello Records) il nuovo album di Bartolini, uscito il 12 aprile. Un nuovo progetto discografico più adulto e maturo, ma anche spensierato e giocoso, legato indissolubilmente alle influenze dell’alternative rock che hanno formato l’artista. Un disco che si confronta con la vita adulta, i cambiamenti e il senso di disorientamento che ne consegue, e segna la crescita personale e artistica di uno dei rappresentanti del nuovo cantautorato indie/rock che venerdì 24 maggio tornerà a esibirsi al festival MI AMI per la sua terza partecipazione solista.

«Il processo creativo è stato molto pesante. – ci dice subito Bartolini – È stata una ricerca del benessere. Mi fa ridere dirlo, ma c’è consapevolezza e anche un processo di elaborazione del dolore. È il mio modo di fare musica, perché non ci sono altri scopi: è proprio un mezzo che ho scoperto qualche anno fa ed è uno strumento che mi aiuta tanto. Pensa che per me la musica era inarrivabile, un rifugio. Ho fatto dei dischi e per me è ancora incredibile».

TILT, la musica come catarsi

TILT è proprio tutto questo: la musica come catarsi ed espiazione dopo un periodo di sofferenza. «Negli ultimi due anni ho vissuto tantissime vite e tantissime esperienze. – ci dice il cantautore – Ci sono stati tanti Bart e ho sofferto molto durante il processo creativo. Ho avuto però la fortuna di vivere anche cose positive che mi hanno fatto stare meglio. Mi sono liberato di molte ansie e mi sento migliorato, sia nella sincerità a livello testuale che nel quotidiano con le persone che mi stanno accanto. Stavo per prendere e mollare tutto, ma poi è emersa un po’ di propositività». Chiediamo a Bartolini se, in fondo, il dolore non sia parte indissolubile della giostra emotiva di un artista. «Sì, certo. – risponde – È il motore, ma anche croce e delizia. È un dolore anche inutile, perché viviamo in un momento storico in cui siamo tutti spremuti e bombardati da mille micro-informazioni. Per me è difficile da gestire, spesso arrivo al limite».

Bartolini parla di «precarietà generale»: «Apri Instagram e te la prendi a male per stro*zate, per piccole briciole che messe insieme però letteralmente ti rovinano la giornata. – aggiunge – È triste e ci faccio i conti spesso, anche durante il processo creativo di questo disco. Da qui il titolo che nasconde anche un easter egg».

Roma e Bartolini: un legame indissolubile

In questo complicato rapporto con se stessi e con la realtà, per Bartolini Roma – la città in cui vive – più che sfondo è protagonista della vita dell’artista. «Soprattutto negli ultimi anni – ci dice – il mio rapporto con la città che amo alla follia è altalenante. Ho analizzato questo rapporto dopo il lockdown, perché sono stato coccolato da questa condizione. Ho prolungato il mio lockdown interiore e personale e Roma è una città che, quando vuole, sa e può schiacciarti. Questo è un bene secondo me, perché ti porta a una reazione».

Non è un caso che in Non Odiarmi Bartolini citi GTA. «Mi sono sentito dentro ad un videogioco con la difficoltà massima. – ci spiega – Roma è stressante e difficile, ma ti porta a dover prendere una posizione e a reagire al malessere. Non Odiarmi è il brano in cui questo rapporto viene reso più esplicito. Contiene un messaggio di speranza perché, secondo me, la storia ci insegna che il tempo è un’elica di fasi ascendenti e discendenti. Ora siamo in una fase discendente, ma secondo me Roma tornerà a brillare. Mi ha ispirato tanto a livello personale e per i testi. La sua grandezza e le sue dimensioni mi hanno portato a rimanere in casa perché ero spaventato e senza voglia, non essendoci più i locali che sono stati il mio punto di riferimento. Ho scritto di più e ho vissuto più il quartiere».

Sperimentazione sonora

In TILT, Bartolini spinge anche il cuore oltre l’ostacolo a livello sonoro. Sperimenta di più con sonorità meno confortevoli, come dimostra – ad esempio – Paris, McDonald’s. «Credo che farò uscire un remix mio di quel brano in una chiave elettronica. – ci anticipa il cantautore – Sono nuove sonorità che però sono nel mio DNA da sempre, anche se non sono mai riuscito a farle emergere. Avevo bisogno di una spinta dall’esterno, oltre ai produttori. La mia paura è sempre stata quella di chiudere il disco con troppi pezzi di un puzzle scomposto, ma non credo sia stato così. Anche in Smettila avevo bisogno di più freschezza».

Un primo passo verso un nuovo approccio musicale? «Spero di trovare sempre più una chiave con cui tutto questo diventi più esplicito e più fresco. – precisa Bartolini – Questo disco mi apre delle porte, dei piccoli buchi da cui osservare il mondo esterno e con cui farmi conoscere. Spero di continuare a sperimentare e di non fermare la mia curiosità. Il momento della ricerca tra un lavoro e l’altro è anche il momento che mi piace di più».

I testi e la dimensione live

Per quanto riguarda invece i testi, la volontà del cantautore era quella di «andare deep su aspetti personali. Ho sempre parlato di mio padre, ma era camuffato da nomi di ragazze o oggetti. – continua – Il secondo disco mi ha aiutato ad affrontare temi legati a un periodo specifico come l’adolescenza. TILT è stato proprio il disco in cui ho voluto fare qualcosa per me che fosse non dico risolutivo, ma che potesse ispirare gli ascoltatori a voler stare meglio. Ho ricevuto tanti messaggi molto belli e profondi di gente che mi ha raccontato la sua esperienza. Alla fine per me è come un diario con musica che viene dato al mondo. Per evolvere bisogna lasciarsi il passato alle spalle».

Infine, chiediamo a Bartolini qualcosa sulla dimensione live. «Lo sto mettendo a punto in questi giorni, sempre con la dimensione band perché non riesco a fare altro. – ci dice – Mi piace quella dimensione e credo che i pezzi si prestino a quelle sonorità. Devo dire che comunque mettere su brani nuovi è una fonte di ansia non indifferente, perché la prima data è al MI AMI che è sempre bello ed è uno dei miei festival preferiti. Sento sempre il peso della responsabilità e della performance».

Foto di Pier Paolo Potenza