‘Trueno’ di Stabber esce il 15 marzo e ridefinisce il concept di producer album in Italia (per fortuna). La nostra intervista.

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Il 15 marzo esce Trueno, il primo producer album di Stabber (aka Stefano Tartaglini). Finalmente un producer album come Dio comanda (è il caso di dirlo), che si è mosso su alcune fondanti premesse: in primo luogo che non «fosse un disco facile e adatto a tutti» e poi quel Trueno – titolo di un brano e dell’album – che si ispira alla AE86 Sprinter Treno, una vecchia Toyota in produzione tra l’83 e l’86. «Proprio questa piccola auto a trazione posteriore – spiega Stabber – è diventata il simbolo di quello che oggi è noto come drifting, disciplina che consiste nel guidare sbandando in modo controllato. L’idea era quella di fare musica che sbandasse piuttosto che seguire in modo ordinario le richieste e le aspettative».

Con questi input, difficile che Trueno non guardasse al di là dei confini canonici della nostra discografia. «Ho voluto fare un disco che mi sarebbe piaciuto ascoltare. – ci dice il producer – Alcuni dischi escono e penso Avrei voluto farlo io. Doveva essere una cosa così. Per fare questo, ho dovuto mollare gli ormeggi degli stilemi dell’industria musicale. Almeno in Italia, perché tante cose all’estero non sono così astruse. Ho preso la via di Galileo, quella dell’eretico. E ne è venuto fuori un album pieno di citazioni di tutto quello che mi piace: da Carpenter alle radici del rap».

Trueno: gli artisti e gli strumenti analogici

Sono venti gli artisti che si sono uniti a Stabber, nutrendo e popolando il suo universo sonoro, al quale hanno deciso di consegnare le proprie barre e le proprie voci. Si tratta (in ordine di apparizione) di Danno, Craim, Noemi, Nitro, Gemitaiz, Angelina Mango, Yung Snapp, Venerus, Miraa May, Coez, Annalisa, Salmo, Johnny Marsiglia, Alborosie, J Lord, Ginevra, Laila Al Habash, Gaia, Noyz Narcos e Darrn. Il rischio che tutto finisse mescolato in una poltiglia sonora c’era, e così Stabber ha dovuto anche imporre a se stesso un altro approccio: «Mi sono concentrato su strumenti reali, smettendo di guardare il computer. Questo mi ha riportato agli inizi e a un approccio che mi mancava».

«All’inizio è sempre una forma di trauma – continua – perché lavoravo velocemente solo col computer. Una macchina analogica richiede più tempo, quindi il workflow si intoppa. Devi abituarti ai tempi morti, che sono in realtà i tempi in cui pensi a ciò che puoi fare. Dopo un po’ questo approccio è diventato per me il nuovo metodo. Anche ora lavoro solo e sempre così. Mettere le mani su quegli strumenti mi dà più soddisfazione e mi fa fare la cavolata in più, che poi risulta anche interessante».

L’approccio più innovativo di Trueno sta però nel fatto che Stabber sia riuscito a portare gli artisti nel suo mondo musicale, non il contrario. «Il mio lavoro – spiega – è quello di produttore e direttore artistico. Ho portato l’album da quelle parti, anche perché i produttori questo dovrebbero fare. Ora sono fenomeni, ma la musica che fanno non è eclatante perché deve accompagnare gli artisti. Per me invece la figura del produttore è come quella dell’insegnante: ho capito che devi far credere alla persona con cui lavori che l’idea è la sua anche se non è vero. Devono fare propria quell’idea. Nel mio disco ho dovuto mettermi in primo piano. E l’ho dovuto fare soprattutto musicalmente, non volevo che gli ospiti svettassero e che la gente non si ricordasse della musica».

L’abito di un produttore

Del resto, cambia anche il metodo lavorativo di un produttore: «Coi dischi degli altri mi dicono cosa vogliono fare e buttiamo giù un’idea da zero. – dice Stabber – Era successo così con Ciao Baby di Gemitaiz. Oppure porti la cartellina coi beat e loro scelgono, ma sei sempre in un universo e non da solo. Qui dovevo essere io a tenere la barra dritta. Ho dato una strumentale sola ad ogni persona col rischio che dicessero Fa cagare». È capitato? «No! – risponde – Salmo mi ha detto Fammi sentire i pezzi che non ti piacciono che sicuro c’è quello per me. Avevo solo la strumentale di Trueno. Lì Salmo si autocita anche con Daytona, il pezzo più bello fatto da noi. Sono stati tutti abbastanza incredibili per me».

L’imbeccata è arrivata solo, quindi, a Salmo e Danno («Altrimenti – dice Stabber – dicevo Fai il tuo, pensa a cosa dire e come. Ho selezionato persone che conosco da anni e che non dicessero sfondoni. Di ‘sti tempi non è facile perché nel rap dicono cose non ok»). A Danno (sulla traccia il profumo delle rose con Craim) «ho solo detto di scrivere una roba delle sue. Quando finisce il pezzo dovevo pensare Non so se mi voglio ammazzare o ti voglio abbracciare. Queste cose super deep solo lui sa scriverle». A Salmo, come anticipato, è stata consegnata la title track.

Tutto è filato liscio e «mi sono chiesto – dice il producer – se fosse culo o se per una volta gli artisti non si fossero trovati in una situazione di agio. Si sono divertiti. Un allineamento di pianeti? Speriamo si ripresenti in futuro». Diciamo a Stabber, però, che qui la mano del produttore si vede e si sente. Insomma, la fortuna c’entra poco. «Si chiamano producer album, se il producer non c’è che album è? – risponde – Non faccio nomi, ma alcuni producer album sembrano playlist di ragazzini di 13 anni. È un’architettura bizzarra più finalizzata all’utilità commerciale, ma a me di questo non frega veramente più niente».