A distanza di cinque anni dal precedente ‘Secondo me’, Mirkoeilcane torna sul panorama musicale con un nuovo lavoro di inediti.

Si intitola La musica contemporanea mi butta giù il nuovo album di Mirkoeilcane (etichetta Santeria e distribuzione Audioglobe) uscito il 29 novembre. Il progetto arriva a distanza di cinque anni dal precedente Secondo me (2018). Già dal titolo si capisce quanto l’album sia in fondo una dichiarazione di intenti: una musica non in controtendenza, ma indubbiamente aperta all’ascolto. Ne abbiamo parlato con il cantautore.

Partirei dal titolo dell’album, che già in parte ne introduce i contenuti. È così deprimente la musica contemporanea?
«Sicuramente volevo prima di tutto omaggiare la memoria del Maestro Franco Battiato. E poi c’è anche un po’ una volontà non di fare critiche, perché anche io faccio parte della musica contemporanea, ma ascolto un po’ tutto e, da ascoltatore, mi spiace sentire tante canzoni in cui non si dice niente. Volevo metterci dentro un messaggio che può aiutare chi ascolta, visto il periodo societario quantomeno deprimente. È più un voler esortare le coscienze ad essere più profonde».

Non lo definirei un album in controtendenza però, perché credo che anche oggi progetti simili siano necessari.
«È un bel complimento, ma mi rendo conto che si passa dal lato della sopravvivenza. Questi dischi finiscono in un cassetto che non ti permette di sopravvivere. Non fa niente, lo si fa per amore per la causa».

Sicuramente è un disco che non segue dettami discografici che definirei mainstream. È molto riflessivo e penso aiuti chi ascolta a farsi un’idea diversa.
«Il problema è che dopo qualcuno dovrebbe aiutare il disco ad essere ascoltato».

Hai ragione pure tu.
«C’è un bel muro».

Mirkoeilcane: la collaborazione con Giobbe Covatta

Allora parliamo di Secondo Giobbe, in cui c’è Giobbe Covatta. Un brano a sé stante, direi.
«Zio Giobbe, ormai lo chiamo così, ha sentito in fase di registrazione quelle tre canzoni che seguono il suo brano: Giovanni, Gesù e Il nipote di Giovanni. Sono brani che parlano di religione in maniera ironica. È rimasto colpito e, senza che fosse una trovata commerciale, ci siamo divertiti a pensare a come si potesse introdurre quel discorso. Altrimenti era messo a caso nel disco. La sua introduzione fa capire cosa succederà dopo. In queste cose Giobbe Covatta, se non è il numero 1, è il numero 1,5. È stato bellissimo».

Ogni brano ha una sua profondità, sono tanti piccoli capitoli e nessun brano è riempitivo. Come hai selezionato i brani su 50 tracce?
«Semplicemente c’è stato tanto tempo a disposizione. Sono passati cinque anni dal mio ultimo album, un po’ per la pandemia e un po’ per problemi discografici. Ho avuto molto tempo per riflettere. E poi tante canzoni che sarebbero dovute uscire tre anni fa, all’atto pratico, sono diventate un po’ fuori contesto. Alcune sono un po’ in disuso, anche se posso sempre aggiornarle. Volevo che non esistesse nel disco il pezzo che sta lì per fare dodici, volevo che ogni ascoltatore avesse la sua canzone preferita».

Sono quindi brani scritti recentemente?
«Non necessariamente, quei tre sulla religione sono anche indietro nel tempo».

C’è nell’album un certo simbolismo: ci sono rimandi al passato, da Secondo Giobbe al titolo. Quanto è importante citare e arricchirti delle radici del nostro cantautorato?
«C’è sicuramente una riconoscenza che non è mai, nel mio caso, una malinconia o una nostalgia. Non c’è un’accezione negativa, ma mi piace che si capisca che le cose non vengono fuori così. C’è qualcuno che ha detto qualcosa, qualcuno che l’ha fatto suo e l’ha raccontato senza copiarlo. Di questi tempi sembra che si esca dalla propria stanzetta con la hit del secolo. Invece c’è un percorso ed è ciò a cui mi piacerebbe dare peso».

C’è una legacy, anche inconsapevole.
«Sì, che viene dall’ascolto, dalla ricerca. Fa parte della ricerca personale. Il rischio opposto è quello di sentirsi arrivati alla prima canzone che passa su una radio un po’ più importante. Nel titolo, la citazione a Battiato c’è proprio perché, per quanto fosse strano ai suoi tempi, ha mantenuto la ricerca attiva. E lo ammiro tantissimo per questo».

I live, l’affetto del pubblico e la musica suonata

In Serie B invece c’è Silvestri che, se ho capito bene, ti ha un po’ aiutato in generale con i suoni.
«Il disco l’ho registrato nello studio Terminal 2, dove c’è sempre anche Daniele. Non sono un grande amante dei duetti e non pensavo di riempire il disco con ospiti. Giobbe Covatta e Daniele Silvestri, che mi accompagnano, sono più persone che conosco umanamente. E la collaborazione è nata spontaneamente. Daniele su Serie B fa da spola tra due amori: Serie B racconta un amore frivolo, Qui un amore più poetico. Volevo un modo per collegarli e Daniele, con le parole, è un maestro».

Sono scelte dettate dall’esigenza artistica. Hai annunciato due live: il 25 gennaio al Biko di Milano e il 15 febbraio all’Alcazar di Roma. Cosa puoi anticiparci?
«Sono in corso d’opera. Saranno due presentazioni, ma anche due concerti. Ci saranno anche canzoni vecchie ed è un modo per togliere un po’ di ruggine. In questi anni sono stato ospite a qualche concerto, ma mettersi sul palco con la propria band richiede allenamento. Sono due live di riscaldamento e mi auguro ce ne saranno altri in primavera e estate».

Non un set acustico, quindi.
«No, ci sarà la band. Semplice come è sempre stata, con quattro persone che suonano sul momento. Senza registrazioni e autotune, ci piace essere stonati».

Al netto di quanto ci siamo detti, c’è qualche reazione da parte del pubblico che ti ha dato un po’ di soddisfazione?
«Sai, io mi auguro che ne escano due a settimane di album del genere. Sono semplicemente stupito dal fatto che erano passati tanti anni e, quando il disco è uscito, mi ha comunque investito l’affetto. Lo stesso che avevo ricevuto dopo Sanremo. Dopo tanto tempo pensavo si fosse affievolito, invece tanta gente aspettava l’album. La cosa mi rincuora, ci sono persone come me che hanno bisogno di ascoltare musica diversa. Spesso si generalizza. Non è vero e la dimostrazione è il disco di Guccini che arriva secondo in classifica. C’è da festeggiare».

Il problema è forse che siamo troppo veloci e fagocitiamo tutto?
«La verità è che, quando esce qualcosa e gli si dà il giusto peso, l’attenzione c’è e le persone disabituate ne capiscono il valore perché si rivedono in un concetto».

Sono convinta che ci sia un pubblico diverso, magari più silenzioso.
«È più una questione di diffusione. I dischi dei cantautori esistono, serve un po’ più il passaparola». 

Foto: Simone Cecchetti