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Bond, chi?

di Klara Murnau per Funweek

Se il tuo nome è Bond, James Bond, il mondo non è mai abbastanza.

Ed in una saga come quella tratta dai romanzi di Ian Fleming, essere destinati ad un successo universale era qualcosa di piuttosto scontato.

Solleticare la fantasia di uomini e donne facendo gioco sull’immaginario glamour, fatto di intrighi, sensualità ed azione è voler vincere facile e per Daniel Craig alla sua quarta interpretazione della Spia più amata, la giusta dose di forza e quell’aria truce da “in realtà non penso, agisco e basta” con la particolare inclinazione del labbruccio inferiore pronto al limone facile, ci fa capire immediatamente che anche nel capitolo “Spectre”, non resteremo delusi.

Un uomo tutto istinto e capriole, che per gli altri maschi alfa, beta, y e z è fonte di immedesimazione ed ispirazione, mentre per le fanciulle in sala, grazie a quei muscoli ed il testosterone ad altissimi livelli, diventa fantasia neanche troppo proibita in cui immaginarsi mentre ci attacca con moto di intensa passione al muro, allo specchio, ad una cabina di un treno nel deserto o anche all’attaccapanni, se necessario.

Quindi anche quest’anno al cinema ci troviamo davanti all’ennesimo film di Spionaggio Internazionale, esattamente al 24° della serie tra le più adorate di tutti i tempi e a distanza di 53 anni dalla prima trasposizione cinematografica, questo a testimonianza che tra i mestieri più amati e ambiti al mondo, uno dei primi posti se lo guadagna senz’altro quello della Spia. E se ha la licenza di uccidere tanto meglio.

Con buona pace mia o di chi in un modo o nell’altro la spia l’ha fatta o la fa per davvero, con licenze ben diverse da quella dell’inglesotto del MI6, e che ci ha costretti e costringono tutt'ora ad arrabattarci in creative soluzioni.

“Se non ho la licenza di uccidere, quella di guida basta?”

“Purchè sembri un incidente.” Rispose sibillino una volta il mio capo Elvetico.

Forse non tutti sanno infatti, che le spie sono tra di noi, tutte intorno a noi, e che anche la tua migliore amica, il vicino di casa, la vecchia del tabacchino all’angolo possono essere misteriosi agenti sotto copertura.

Io, beh io, tanto misteriosa non lo sono mai stata, a livello che dichiarando in giro il mio lavoro perché tanto i segreti non esistono e tanto vale far bandiera dell’evidenza, sentivo rispondermi: “Macchè tu vivi così perché sei ricca di famiglia” EH?

“Figurati sarai mantenuta da qualche amante” SCUSA MA IO LAVORO!

“Bugiardella, fai la escort?” MA TI PARE!?!?

“Su che è evidente che fai la pubblicitaria!” No, dai che diamine, va bene la escort, ma cazzo io ho studiato!

Eccoci quindi che le povere anime arruolate alla vita da 00qualcosa, si trovano scevre loro malgrado, di tutti quei cliché in dotazione alle versioni Hollywoodiane e che hanno arricchito la simbologia Bondiana, tipo: il Martini agitato non shakerato , l’Aston Martin preparata, gli orologi bomba ed i sofisticatissimi gps.

Menzione d’onore vanno ai suoi abiti, che tu non capisci proprio dove li tenga tra una fuga e l’altra, ma che sia montagna, deserto o metropoli, lui li ha prontissimi all’uso, stirati e rigorosamente tailor made.

Io che per cambiarmi ho usato i peggiori cessi di Lugano, Roma e Milano. Io che vestita a strati più che a cipolla parevo un cavolo, Io che ho preso una licenza si, ma in corsa sui tacchi per essere pronta a qualunque occasione, ed io che ad una Sisley di Torino, abbandonai i miei vestiti alle commesse, per uscirne nuova di tutto punto e con tanto di parrucca in testa.

Insomma, il mistero dell’armadio di Bond, va preso come Dogma senza diritto di replica.

James Bond è apparenza pura più che essenza, e rispecchia l’archetipo inesistente della figura del supereroe che tutto può, anche senza poteri speciali.

L’uomo che non deve chiedere mai, con uno stuolo infinito di ammiratori tra uomini e donne, con superiori dal polso debole che fingono di contrastarlo ma alla fine l’assecondano, con cattivi che invece di ammazzarlo, appena possono ci intavolano conversazioni a limite dell’assurdo, e con il mistero della sua identità come vera chicca, il meraviglioso segreto di pulcinella, dato che tutti, e dico tutti, sanno perfettamente chi è, cosa fa, e soprattutto dove va.

Tutto questo può accadere solo se il tuo nome è Bond. James Bond.

Ma se il tuo nome è un altro, la musica cambia parecchio.

Il Martini più che per vezzo diventa una necessità, facilmente scambiabile con Gin, Vodka, o qualunque cosa sia abbastanza forte da tenerti in piedi dopo le ore di tensione quando si è in gioco.

Spesso niente ultratecnologie a portata di mano, e come unica arma giusto la propria testa ed un cellulare, preparato, diciamo a tutto.

Poi avete presente Q, il geniale hacker della serie? Ecco anche uno così non esiste. Capito? Non esiste. Anche perché quelli che conosco io di Q -E si, sto dicendo proprio a voi- quando li chiami chissà perché non rispondono mai in tempo.

Nessuno stuolo di individui affascinanti pronti a confessarti amore profondo, cosa che invece al nostro caro James viene semplice riscuotere almeno due volte a film. A dispetto di quello che succede tra i comuni mortali muniti di identità nascoste, dove si vive la diaspora dei sentimenti dovuta ai pregiudizi che una figura come quella dell’agente undercover deve portarsi addosso come una lettera scarlatta: complesso, troppo coraggioso, troppo intelligente, non facilmente controllabile. Essere relegati al ruolo di amante da cartonato erotico è un attimo.

Della serie: che chic la Spia, ma aspetta che in vacanza mi porto l’impiegata che è meno impegnativa.

Nessuna Aston Martin. Aspettate, ora che ci penso io un collega con l’Aston Martin l’ho avuto pure, e mi venne anche a salvare una volta. Peccato che poi finì in galera.

Incidenti di percorso della realtà. Poi io mica lo sapevo che faceva il doppiogioco. Maledetta Spia.

Ed infine, nessuna miss MoneyPenny pronta a qualunque ora ed in qualunque luogo a fornirti l’informazione giusta. Anche se in effetti, devo ammettere che anch’io avrei la mia versione della storica assistente di Bond, ma sapendo che probabilmente sarà in preda a qualche nevrosi causata dai miei ritardi, la voglia di contattarla quando in difficoltà, mi porta a temere sempre meno la morte come opzione.

Quindi se in questo caso il tuo nome è Murnau, Klara Murnau, Il mondo non solo non è abbastanza, ma va decisamente stretto.

Guardandomi allo specchio in uno dei miei look migliori per non deludere le aspettative di chi crede che uno come noi debba essere sempre sul pezzo, lucido ed operativo, salvi il mondo e magari non pretenda neanche un grazie in cambio, sorrido consapevole all’idea che per una esistenza da film si paghi sempre pegno e prima di partire per la prossima missione, recito il mantra di ogni agente segreto che si rispetti:

Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è Figlio di Gesù, ma all’inferno, beh questa volta all’inferno ci vai tu.

Bang.