Gabriele Simongini, curatore della mostra insieme a Serena Tabacchi, spiega e racconta la visione dietro la mostra di cui tutti parlano a Roma

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Andrà avanti fino al 23 luglio la mostra Ipotesi Metaverso, ambientata nelle sale dell’ottocentesco Palazzo Cipolla: una mostra di cui si è parlato moltissimo e che ha avuto un grande successo di pubblico, grazie all’originalità e agli spunti forniti da questo incontro metafisico fra passato e presente, fra artisti che già secoli fa avevano immaginato di costruire mondi e artisti che oggi, grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia, sono di fatto riusciti a farlo.

Da Escher a Refik Anadol, da de Chirico e Depero a Pak, da Balla e Boccioni a Krista Kim, da Piranesi a Primavera De Filippi, in stanze immersive dove la realtà e il virtuale si mescolano piacevolmente: tutto questo è Ipotesi Metaverso, come ci ha spiegato il curatore della mostra, Gabriele Simongini.

Raffinato storico d’arte, insegnante d’accademia, saggista e curatore di mostre, Simongini ha raccontato la genesi della mostra Ipotesi Metaverso, nata da un colloquio in pieno agosto con il prof. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro, proprio sul tema del Metaverso: “Abbiamo pensato che fosse necessario lavorare in team con una persona esperta di arte digitale, per questo ho contattato Serena Tabacchi, direttrice del museo di arte digitale di Londra, dal colloquio con lei è nato questo progetto straordinario, a cui abbiamo lavorato per mesi ma che si è poi concretizzato molto velocemente”

Ipotesi Metaverso è quindi basata su un’ipotesi di coesistenza, quella fra il fisico e il digitale: è una delle prime mostre a livello internazionale -ci spiega Gabriele Simongini- dove il fisico, il materiale, l’idea della storia, convive con il digitale, l’immersivo, l’ipertecnologico, per dimostrare che anche le ultime novità tecnologiche hanno delle radici storiche.

L’esempio che porta Gabriele Simongini è l’arte di Piranesi, geniale architetto e vedutista veneziano vissuto nel 1700, che è stato accostato con le sue Carceri d’invenzioni a Refik Anadol, che utilizza una tecnologia che fa sentire l’essere umano infinitamente piccolo.