Nelle dodici tele esposte – che l’artista francese Pierre-Yves Le Duc dedica “A tutte le donne che mi hanno messo al mondo”, in principio è il corpo, ma non la totale vastità della sua esistenza, bensì quella parte più intima ed erotica quale l’organo sessuale femminile.
L’essenza della caratterizzazione corporea nell’opera di Le Duc passa attraverso una dinamica propriamente sessuata. Nulla è nascosto ma tutto è esposto, con scienza dipinto. Il segno è visibile sulla tela e viene accuratamente ripetuto. Ridondante e gestuale, adombrato come le opere calligrafiche orientali, ha qualcosa di estatico, prende spazio, assume una forma di maniera, una potenza propria. Fa riferimento a quella matrice corporea, erotica, ma assume per forma e distinzione una essenza diversa. Parla del fare pittura oggi. Guardiamo evidentemente un organo sessuale femminile ma allo stesso tempo, attraverso il sapiente e lungo lavoro dell’artista, siamo trasportati nella dimensione interrogativa dell’arte. Cosa fare oggi, e come farlo?
Le Duc compie una scelta radicale, quella di parlare di eros, e di perseverare in questo discorso. E nel farlo, ricopre tutto con un velo di colore, il blu, che molto lascia immaginare. Il blu è un colore simbolico: narra di cieli e infiniti, ha una connotazione molto chiara in arte. Il blu attrae lo sguardo e se da una parte cela, di certo dall’altra ci conduce dritti al cuore dello scandalo, una corporeità particolarmente esplicita. Che la plasticità degli elementi – la semantica, appunto – non tragga però in inganno: la maniera di Le Duc cerca la perfezione nella ripetizione, vuole dimostrare quanto quella primigenia corporeità sia tempio, da rispettare e comprendere.
Osserva l’artista a proposito dell’uso del velo: “Con il taglio sulla tela, Lucio Fontana aprì una breccia nella bidimensionalità e introdusse il concetto spaziale. Senza volermi mettere al suo pari, e solo perché Fontana confessò, forse a mo’ di battuta, che il taglio era un riferimento al sesso femminile, farò un veloce raffronto con il mio lavoro. Sento un’affinità che proviene dalla percezione dell’oltre data dal taglio in Fontana e la trasfigurazione, o distanza dall’oggetto pittorico, prodotta dall’uso dei veli nei miei lavori. Nella mia ricerca, l’opera è finalizzata alla percezione visiva; più esattamente, punta al modo in cui, oltre a veicolare il senso attraverso i segni, essi stessi vengono veicolati, in modo da aprire la strada a sensazioni percettive inedite, se possibile. Vorrei che tra il messaggio e il suo veicolo ci fosse una perfetta sintonia. Una cognizione sensoriale.”