Quando ho pensato di rendere omaggio ad uno degli idoli più grandi della mia adolescenza, ho immaginato un album di ricordi un po’ ingiallito, usurato dal tempo, con quell’affascinante effetto pergamena, che in qualche modo restituisce curiosità, ripropone autorevolezza dei soggetti e da quel senso di mistero, per le facce un po’ segnate, scolorite, cancellate. E quei profili, poi, densi di segreti, stimolano tutt’ora fantasie per interpretare pensieri e vita dei protagonisti in pellicola. La fotografia, almeno per me, è una sorta di ossessione, quando ricerco le linee, rimarco geometrie, compongo con ambiguità sottile, in una sorta di alienazione, paranoia, comunque speranza. Ho pensato migliaia di volte come poter rappresentare il mio mito, andando ovunque e comunque troppo lontano, fino ad una scelta, più vicina di quanto mai potessi immaginare. Drazen Petrovic non lo conosco, non l’ho mai conosciuto, forse non l’ho nemmeno mai capito, sicuramente non ho mai percepito la sua vita, così come mai capirò la sua tragica morte. Il mio omaggio vuole sfiorarlo, vuole interpretare il mio pensiero sul giocatore, senza alcuna presunzione di conoscenza, semplicemente da ammiratore e da sognatore di quel che lui ha indotto attraverso l’arte della pallacanestro. Drazen Petrovic è la mia compagna che si allunga per prendere la palla su un muro simile ad un pianoforte, è suo figlio, che attraverso un movimento richiama suo fratello ed è ancora la mia compagna che scala muri, offre un assist, di fronte al mare, davanti al cielo.
Drazen Petrovic è memoria labile, perché se non lo cerchi, non saprai mai chi è stato su un campo di basket.
Io ho voluto rappresentarlo così, attraverso metafore, dal testimone della procreazione ai colori delle sue bandiere; così, con le spalle di donna e le mani d’angelo, con profilo sussurrato e mai accentuato, colorato e mai scolorito, vivo nei ricordi e mai morto nella mia vita.
“Le fotografie che compongono Mozart producono sequenze armoniche, movimenti e danze tipiche della pallacanestro, si svolgono in luoghi insoliti. Stimolano la percezione di chi osserva, incoraggiano l’interpretazione personale, suscitano un coinvolgimento emotivo. Incuriosiscono, sfiorano delicatamente e affiorano come omaggio all’essenza del talento di un grande campione, interrotto da un tragico destino”.
A Drazen Petrovic, figlio d’Europa