Ramiro Levy dei Selton ci racconta ‘Gringo Vol. 1’: un ritorno all’essenza della band e uno spartiacque che lascia il segno.

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È uscito il 10 maggio il settimo album in studio dei Selton, intitolato GRINGO – Vol. 1. Daniel Plentz, Eduardo Stein Dechtiar e Ramiro Levy presentano dunque la prima parte di un doppio disco (per Island Records/Universal Music Italia) disponibile nei seguenti formati fisici: LP nero per tutti gli store ed edizione deluxe con LP trasparente e gli iconici Occhiali Paraluce disegnati nel 1953 da Bruno Munari (in collaborazione con Corraini Edizioni in esclusiva per lo shop Universal). Ma perché proprio Gringo? E come mai un progetto così voluminoso proprio in questo momento?

«Prima di iniziare a lavorare al disco – ci spiega Ramiro Levy – ci siamo fatti una domanda: il mondo ha bisogno di un altro disco dei Selton? Noi abbiamo bisogno di un altro album? E la risposta che ci siamo dati è stata positiva, ma era fondamentale per noi che fosse un disco importante. Non è solo un altro disco dei Selton. Quindici anni di band sono tanti, come facciamo a essere ancora rilevanti dopo tutto questo tempo? Ci siamo detti Fermiamoci, dedichiamo la cura che serve per fare il disco e facciamo in modo che sia uno spartiacque». C’è dunque un prima e un dopo Gringo, che sia per sonorità che per volume non può essere considerato un album semplice.

Selton: la genesi di Gringo

«Siamo partiti da una cinquantina di pezzi perché non abbiamo mai scritto così tanto. – continua Ramiro – Scremando siamo arrivati a 20 brani e abbiamo capito che era un disco doppio. Volevamo farlo uscire tutto insieme. Poi abbiamo pensato che, per come è consumata la musica oggi, rischiavamo di sacrificare pezzi importanti. Le due parti regalano la giusta luce a ogni pezzo». E arriviamo così ai temi di questo doppio album, che hanno posto i Selton di fronte a diverse sfide. La prima è stata affrontare il desiderio di un ritorno alle origini.

«Volevamo riprendere la nostra essenza. – dice Levy – Per noi è naturale ormai scrivere in italiano, ma ci siamo accorti che ciò che ci rende chi siamo è il fatto che non cantiamo solo in italiano. Volevamo fare un disco più internazionale possibile recuperando la nostra essenza multiculturale. In modo fluido abbiamo quindi scritto in altre lingue, non ci sono state traduzioni. Per intenderci, gringo in Brasile ha un altro significato: quando ascolti musica che suona estera, dici che suona gringa e non brasiliana. La retorica dello straniero ci è sempre appartenuta, ma ci interessava lo sguardo straniero».

La produzione di Ricky Damian

Per la produzione è stato coinvolto Ricky Damian, produttore «italiano che vive a Londra da anni. – aggiunge l’artista – Il nostro invito è quello di mantenere uno sguardo alieno sulle cose». Un approccio favorito appunto dalle sonorità, come dicevamo, guidate da Damian che – con i Selton – ha registrato buona parte del disco nello Studio 13 di Damon Albarn. «Quando stavamo cercando il produttore giusto, abbiamo fatto un po’ di prove con persone diverse ma nessuno ci aveva dato l’approccio che cercavamo. – dice Ramiro – Ricky si è innamorato subito della nostra musica e ci ha invitato a Londra. Siamo arrivati con Calma Cara, un pezzo fresco, e subito è uscita quella roba lì. Damian a livello tecnico è una iena, ma ci ha colpito il fatto che nonostante la tecnica metta sempre la pancia davanti a tutto. A lui non importa se è giusto o sbagliato, vuole catturare l’emotività delle cose. Anche a livello umano è diventato un quarto membro per noi».

Pensare alla retorica e al tema dello straniero, porta la mente inevitabilmente al mare. Calamaro Gigante affronta infatti senza giri di parole la situazione dei migranti. «La tematica del mare e l’ambientazione marittima ci sono sempre appartenute. – ci spiega Ramiro – Prima di chiamare il disco Gringo, volevamo chiamarlo Maresia. In portoghese vuol dire salsedine, aria di mare. Ci eravamo accorti che il mare torna ogni volta nelle nostre canzoni, soprattutto nel suo atto più felice, brillante e poetico. Volevamo però raccontare anche l’oscurità e ciò che succede lontano dagli occhi di tutti. È difficile essere politici quando fai musica senza diventare didascalici e senza alzare bandiere. In Calamaro Gigante Dudu ha trovato questa chiave incredibile: ha scritto il pezzo di getto alle 6 del mattino con la bimba in braccio. Il narratore è la natura e il brano in realtà va oltre la politica perché si parla di umanità».

La dimensione live

Lacrime e umidità tornano poi anche in Tears In The Swimming Pool, un pezzo «nato sott’acqua»: «Ero andato a nuotare in piscina – racconta Ramiro – e ogni tanto mi succede di scrivere un pezzo mentre nuoto. Penso alle parole, corro a casa e segno tutto. L’acqua è sempre presente nelle nostre creazioni». Così come le ansie dei nostri tempi, descritte in Fatal: «È un’altra tematica che ci piaceva affrontare. – spiega il cantante – Viviamo di fretta e di ansia continua. Il disco è anche un invito a rallentare, come diciamo con il nostro Marco Castello in Loucura».

Infine, chiediamo ai Selton della dimensione live. Dopo il battesimo al MI AMI, la band è infatti volata in Brasile per una mini-tournée. Tornerà in Italia dal 7 luglio per il Gringo in Tour (qui le date). «Vogliamo sempre alzare l’asticella e fare cose difficili senza pensare a come riprodurle live. – dice Ramiro – Questo ci porta a nuove soluzioni. In questo caso abbiamo due musiciste extra. La batterista Giulia Formica con Daniele avrà un set di batteria doppia specchiata, mentre Daniela Mornati è la tastierista. Il disco è pieno di voci femminili quindi ci interessava avere anche i loro colori vocali. Avremo cinque voci, due batterie, le tastiere e il sassofono: il live sarà una bomba».

Foto di Simone Biavati