Al Trapani Film Festival incontriamo Sara Baccarini, attrice teatrale e cinematografica che ci racconta una nuova generazione del cinema italiano. L’intervista.
Nata a Roma nel 1991, Sara Baccarini è tra le giovani promesse del panorama cinematografico italiano. Ospite speciale al Trapani Film Festival 2025, l’artista romana si è già mossa tra cinema (Beata Ignoranza, Non ci resta che il crimine, I peggiori giorni), teatro e serialità. Ed è anche assistente alla regia, autrice e insegnante di recitazione presso il Laboratorio di Arti Sceniche di Massimiliano Bruno.
A proposito del TFF, ci racconta le sue impressioni: “Ci sono tantissimi artisti e amici che ho incontrato qui dopo tanto tempo e si respira un’aria di relax. Per me la Sicilia è sempre così, anche quando lavoro: arrivo e mi sento in pace. Ci sono tanti film e corti bellissimi che abbiamo visto, incontri interessanti, tante conversazioni. Sono giornate davvero belle e allegre”.

Eventi come questo quanto aiutano a creare connessioni professionali che nascono proprio dall’amicizia e poi diventano progetti?
Come in tutti i lavori, ci si incontra per piacere e ci si ricorda che questo mestiere vive anche di dialogo. A volte basta un “ciao, magari facciamo qualcosa insieme l’anno prossimo” per piantare un seme. Sono occasioni preziose.
In tempi in cui, per altro, si parla solo di ‘industria’ cinematografica, perdendo di vista il lato più artigianale…
Sì, esatto. Nei giorni scorsi, ad esempio, Ninni Bruschetta (qui la nostra intervista) sul palco ha detto cose molto interessanti sul valore del fare arte. Il sapere, l’arte, aiutano davvero a capire come va il mondo: più ti avvicini all’arte, più riesci a vedere il bello e a riconoscere ciò che non funziona, ciò che cercano di imporci. È uno sguardo critico ma necessario. Oggi in Italia difendere l’arte è fondamentale: noi che la facciamo ci proviamo, ma forse in questo periodo storico viene un po’ lasciata da parte.
LEGGI ANCHE: — Francesco Torre e Lele Vannoli: il Trapani Film Festival tra cinema e musica
Parliamo dei tuoi progetti: dove ti vedremo a breve?
Uscirà un film che ho girato quest’inverno, La sesta volta di Gianni Aureli, ambientato in Basilicata durante la seconda guerra mondiale. Inoltre sto scrivendo una serie teatrale per il Teatro Parioli di Roma: sarà divisa in quattro puntate e durerà cinque mesi.
Cinema, teatro, serie tv: come ti rapporti a linguaggi così diversi?
Cerco sempre di metterci lo stesso impegno. Non c’è differenza per me. Il mio primo amore è stato il teatro, perché lì ho iniziato da bambina e mi ha aiutato a superare la timidezza. Poi sono arrivati il cinema e le serie a completare questo percorso. Paradossalmente sono queste che mi permettono di continuare a fare teatro, che purtroppo paga meno. Grazie a cinema e tv posso ritagliarmi lo spazio per portare in scena quello che amo.
C’è un personaggio che ti ha insegnato più di altri?
Sicuramente quello dell’ultimo film: interpreto una partigiana realmente esistita che fa da staffetta per mettere in salvo una persona. Ho studiato come le donne hanno affrontato la guerra per aiutare i mariti e i figli, ed è stato un insegnamento enorme. Da madre, ho capito che per amore si trova una forza incredibile. È una lezione ancora attualissima.

Una romana in Sicilia: qual è il tuo rapporto con quest’isola e con Trapani?
Adoro la Sicilia. Qui, non a caso, ho fatto lunghe tournée teatrali con compagnie che porto ancora nel cuore. È diventata un po’ casa, davvero. Ho passato qui anche tre o quattro mesi di fila, l’ho girata tutta. Trapani ed Erice sono meravigliose.
Se potessi migliorare il cinema italiano, su cosa lavoreresti per prima?
Sui giovani. Non dico questo perché mi senta ancora in quella fascia d’età (anche se lo sono per poco!, sorride), ma perché credo che abbiano tanto da dire. Serve dare più spazio ad attori, sceneggiatori e registi giovani: porterebbero aria nuova e nuove possibilità di espressione.
Immagine in copertina di Beniamino Finocchiaro

