Jack Harlow e Sinqua Walls ci raccontano ‘White Men Can’t Jump’, in arrivo su Disney+ il 19 maggio. L’intervista.

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Arriva il 19 maggio su Disney+ White Men Can’t Jump, remake dell’omonimo film del 1992. La pellicola – diretta da Calmatic – è particolarmente attesa per diverse ragioni, a partire dal fatto che segna il debutto su grande schermo del rapper Jack Harlow. Fresco di nomination ai Grammy dopo l’album Come Home the Kids Miss You e del nuovo progetto – Jackman. – uscito ad aprile, per il suo esordio Harlow ha scelto una pellicola a lui tutto sommato affine: è il basket del resto a padroneggiare lo storytelling, anche se lo sport qui è solo strumentale a porre la competizione in secondo piano e a mettere le relazioni umane in prima linea. Harlow riprende il ruolo che nel 1992 fu di Woody Harrelson, mentre accanto a lui (al posto di Wesley Snipes) c’è l’attore Sinqua Walls. Nel cast anche Teyana Taylor, Laura Harrier, Vince Staples, Myles Bullock e, soprattutto, Lance Reddick in uno dei suoi ultimi film prima della scomparsa.

Proprio la presenza di Reddick (in un ruolo chiave per la storia) rende White Men Can’t Jump imperdibile. «Quando è stato fatto il suo nome per il personaggio di Benji, non abbiamo esitato. – ricorda Calmatic – Ha fatto tantissime ricerche sulla malattia del suo personaggio. Ha persino intervistato persone che ne soffrivano. E, sul set, da regista lo capisci quando un attore non ha bisogno di direttive. Con lui tutto era perfetto. Anche quando provava a fare una scena diversamente, era perfetta. Ho capito subito che era uno dei migliori attori con cui avessi mai lavorato ed è un peccato che non sia qui con noi. Anche solo la sua presenza, però, ha lasciato un segno».

Il debutto di Jack Harlow

Con Reddick, Jack Harlow ha trascorso sul set solo un paio di giorni: «Era caloroso come il suo personaggio. – commenta il rapper in conferenza – Era gentilissimo. Lo ricordo così». L’esperienza sul set, in generale, è stata dunque più che positiva per Harlow. «Ho imparato tanto. – ricorda – Sono grato di aver trovato un gruppo di persone così umili e disposte ad essere pazienti con me e ad insegnarmi qualcosa. Mi è sembrato di entrare in un ambiente senza ego. Ero la persona con meno esperienza lì in mezzo e tutti mi hanno lasciato spazio. Ringrazio Cal in particolare, che mi ha sempre ascoltato. Ma ringrazio tutti per aver reso questo mio primo film un’esperienza apparentemente semplice».

Chiediamo a Jack Harlow se invece qualcosa, di questa prima esperienza, lo abbia messo in difficoltà. «Direi che è stato difficile per il caldo. – risponde ironico – In alcuni giorni faceva davvero caldo e ho sofferto per un’ustione di terzo grado verso la metà del film. Nei weekend ho provato ad abbronzarmi senza la crema solare, quindi abbiamo dovuto lavorare molto per nascondere le mie scottature, ma c’è un easter egg e se vedete il film, vedrete alcune scene in cui sembro cotto». Scherzi a parte, sottolinea il collega Sinqua Walls, il set sembrava «un centro estivo». «Penso che ogni giorno per noi sia stato divertentissimo. – commenta l’attore – Ogni giorno sul set era una gioia. Tornavamo a casa stanchi, stremati e pronti a dormire. Ma ci svegliavamo poi impazienti di tornare a lavoro. Non solo per il film, ma per le persone dietro le quinte, che sono diventate come una famiglia».

Il tema della salute mentale

C’è tanto basket in White Men Can’t Jump, ma alla fine ad emergere è più il messaggio che nella vita bisogna sapersi godere le piccole cose. Attraverso Jeremy, lo dice Jack Harlow alla fine del film: «Il basket è l’unica vera terapia». «Credo che al giorno d’oggi si parli molto, nella società, nei media e sui social media dell’essere una persona completa. – ci dice Walls – E credo sia il motivo per cui la salute mentale e la terapia abbiano un ruolo così intricato. Fatichiamo tutti e non sai mai cosa sta passando una persona. Trovare cose che allevino lo stress o che ti permettano di essere la versione migliore di te stesso è importante. Per me era uno degli elementi chiave della sceneggiatura e della storia».