Premiato al Trapani Film Festival, Antonio Di Martino ci racconta il suo rapporto con la Sicilia e la sua forza ispiratrice nella musica e nel cinema. L’intervista.

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Ospite al Trapani Film Festival 2025, Antonio Di Martino è stato premiato in rappresentanza del territorio alla luce del suo rapporto con l’isola e la città. Nato a Palermo, Dimartino ha infatti sempre rivendicato con orgoglio le sue radici siciliane diventando vero e proprio ‘ambasciatore’  della Sicilia. Un’Isola che continua a ispirarlo nella sua scrittura e nella quale ha scelto di tornare dopo essersene allontanato. “Trapani è una città che frequento tantissimo per motivi familiari e che conosco bene. In questi anni ci ho visto sempre pochissime cose quindi vedere del movimento, gente che si organizza e crea eventi è un passo molto positivo, secondo me, per la città”.

Qual è il tuo rapporto con Trapani, anche in termini di ispirazione musicale?
Dal punto di vista paesaggistico ha sicuramente un’energia molto potente. Penso ai tramonti tra le isole che si vedono da Marausa, fra Trapani e Marsala: sono tramonti che mi hanno sempre trasmesso tanta tranquillità. È un luogo dove vengo a ricaricarmi e sì, questa città, questi luoghi, sono per me fonte di grande ispirazione.

Antonio Di Martino TFF
Foto di Simone Nicotra

Quando sei lontano, cosa ti manca di più della Sicilia e cosa, invece, ti spinge a voler scappare quando sei qui?
La disorganizzazione. Mi manca quando sono lontano e quando sono qui è proprio quella che mi fa scappare (ride). Noi siciliani viviamo quest’ambivalenza, questo amore e odio per la nostra terra. È una cosa innata, penso che ce l’avessero anche i nostri antenati. È una terra che ti lega, ma in quel legame c’è qualcosa di talmente forte che a volte ti annichilisce. Bufalino diceva che la Sicilia soffre di un eccesso di identità: ha avuto tante dominazioni e questo ci ha reso difficile costruirci un’identità personale. Probabilmente da lì nasce questo amore e odio.

In che cosa ti senti profondamente siciliano?
Io penso in siciliano, i miei pensieri sono in dialetto. Ho vissuto qui tutta la vita, per un periodo mi sono spostato ma ora sono tornato. In realtà credo che un siciliano non possa prescindere dalla sua terra: è qualcosa che ha nel DNA e che si porta dietro per sempre.

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Cinema e serie TV hanno spesso raccontato i lati oscuri dell’isola, più che le sue luci. Nelle ultime produzioni, invece, sta emergendo anche tutta la sua bellezza. Quanto arriva fuori dai confini regionali questa immagine della tua terra?
Secondo me è sempre arrivata, anche quando si giravano solo film di mafia. La Sicilia ha una luce particolare, che per un direttore della fotografia è ideale perché crea chiaroscuri interiori nei personaggi. I film girati qui hanno sempre quella patina di nostalgia che io stesso riconosco e che, quando vedo, mi mette a mio agio.

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Che spettatore sei? E qual è stata la colonna sonora che ti ha segnato di più?
Direi Per un pugno di dollari. Sarò banale, ma quella è forse la colonna sonora che più mi ha fatto capire quanto la musica sia importante in un film. Guardo molti film: il cinema è un’arte che mi piace e mi aiuta anche a scrivere le canzoni. Molte immagini delle mie canzoni sono nate proprio da sequenze di film. C’è un’osmosi continua tra le due arti, che per me è sempre stata fondamentale.

Progetti in cantiere?
Sto ristrutturando casa: un progetto che è come fare dieci dischi (ride).

Immagine copertina di Michela Forte / Foto di Simone Nicotera