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Gianni Amelio alla Festa del Cinema presenta nella selezione ufficiale il documentario Registro di classe – libro primo 1900-1960, scritto e diretto da Gianni Amelio e Cecilia Pagliarani, primo capitolo di una storia della Scuola italiana; il secondo capitolo che va dagli anni ’70 fino ai nostri giorni è già in produzione.

Prodotto dall’Istituto Luce-Cinecittà con Rai Cinema, il documentario si propone una storia della scuola italiana dalla monarchia fino al 1960, riflettendo però non solo sul cambiamento dell’Istituto scolastico ma su come questo sia stato fonte e conseguenza di problematiche sociali e politiche. Classe infatti non è solo l’aula dell’edificio ma è intesa anche come status sociale. “Parlare della scuola, soprattutto di quella primaria, è un modo per raccontare un Paese, un Paese che cresce (o arretra) insieme alla sua scuola.”

Così Gianni Amelio introduce il suo "registro di calsse – libro primo 1900-1960", aggiungendo che non sa come sarà la scuola di domani, ma che sicuramente sarà diversa da quella di ieri e di oggi, e che i presupposti perché sia migliore comunque ci sono, visti gli enormi progressi fatti nei decenni. Alla base del film un grande lavoro di montaggio e sovrapposizione di filmati d’archivio, in cui maestri alunni e professori raccontano un’Italia che cambia anche nel costume e nel dialetto, dall’analfabetismo del Paese sotto la monarchia alla ‘nuova scuola fascista’, e poi la seconda guerra mondiale, la ricostruzione, fino all’arrivo della televisione.

Nell’intervista che ci ha rilasciato Gianni Amelio oltre a parlare della sintonia di lavoro con la regista e sceneggiatrice Cecilia Pagliarani, dice che in questo suo viaggio a ritroso nella storia della Scuola italiana ha trovato sia cose positive che negative, a partire dalle differenze sociali ed economiche soprattutto nei primi decenni del ‘900. Non tutti infatti hanno avuto “il diritto di essere allievi di una scuola perché il figlio di un contadino non aveva gli stessi diritti e libertà del figlio di un professionista, e più che scuola dell’obbligo avrebbe dovuto esserci una scuola del diritto di andare a istruirsi”, concludendo che “un paese che trascura la scuola è un paese povero”.