La storia di Marco D’Amore parte dal teatro, passa per Gomorra e atterra dietro la macchina da presa, dove oggi dirige anche uno dei suoi grandi maestri

Ha conquistato l’amore del pubblico grazie al ruolo di Ciro, l’Immortale, nell’acclamata serie tv Gomorra: Marco D’Amore negli anni è cresciuto, umanamente e professionalmente, e oggi porta al cinema il suo ultimo lavoro da attore-regista, ‘Caracas’, una storia tratta dal romanzo ‘Napoli ferroviaria’ di Ermanno Rea.

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A Omar Schillaci, che lo ha intervistato nell’ultima puntata di “Stories”, magazine spettacolo di Sky Tg24, D’Amore ha parlato del “gioco del palco”, che da anche il titolo all’intervista stessa, spaziando dalla sua storia personale alle storie che ha portato in scena durante gli anni.

Marco D’Amore è Caracas, accanto a Toni Servillo

In “Caracas” D’Amore interpreta “un ragazzo che si è educato intorno ai valori della destra italiana che poi a un certo punto della vita dice di sé di non potersi più chiamare occidentale e quindi si converte all’Islam”. Un film che si scontra con temi molto complessi ma che non abbandona mai “il desiderio di questi esseri umani di trovare un luogo nel mondo che li accolga, di trovare un posto che sia famiglia, che sia casa. Questo è un sentimento che pervade tutto il film”. Poi il teatro, l’accesa gioventù, Napoli, Gomorra, l’amore per la cultura e tanto altro.

Racconti e aneddoti nella chiacchierata che ripercorre alcune delle tappe della sua vita e carriera cinematografica. A partire da casa D’Amore, un ambiente molto eclettico, “Casa mia era una famiglia era una casa sempre molto ospitale molto abitata. I miei genitori hanno avuto la bontà e, secondo me, anche la generosità di accogliere persone che avevano pochissimo a che fare col mondo da cui provenivano. Si ascoltava tanta musica, si parlava tanto di cinema, c’era una grande passione per il teatro e per la lettura”.

Il teatro e Gomorra: “Garrone mi disse che ero troppo gentile…

La passione per la recitazione, che lo accompagna fin da bambino quando “ero veramente terribile, ero molto irascibile, ero prepotente, ero disubbidiente”, e grazie proprio alle prime esperienze teatrali “ho trovato su quello strano rettangolo di legno alcune coordinate per intercettare la vita e per convogliare queste energie che fuori invece erano veramente ingestibili. In un luogo senza spazio e senza tempo come il palco mi sono orientato”. Da lì la classica gavetta e la sfilza di provini per ritagliarsi il proprio spazio sulla scena. Uno su tutti lo ricorda ancora con piacere, quando provò ad ottenere un ruolo per il film di Gomorra e Matteo Garrone in persona “mi disse ‘Tu sei troppo gentile, hai dei tratti e dei lineamenti che non raccontano la cattiveria che io invece voglio mettere in scena’. Da lì a qualche anno sono diventato il vigliacco per eccellenza, il cattivo dei cattivi” – scherza.

Tanti sono gli incontri e le collaborazioni per la sua maturazione, ma Toni Servillo, “il mio maestro” e Francesco Ghiaccio rimangono le personalità a cui è artisticamente più legato, perché “sono sicuramente le due avventure umane e professionali fondanti della mia vita. Segnano un principio a cui sono profondamente legato, cioè quello della diversità, sono totalmente diversi da me ed è la ragione per cui mi eccitano”.

Gomorra la serie, Ciro Di Marzio e le polemiche

La svolta arriva indubbiamente con ‘Gomorra – La serie’ e il personaggio di Ciro Di Marzio, ormai nel cuore di milioni di fan in tutto il mondo. Non sono però poche le critiche ricevute per la rappresentazione della violenza e che lo hanno fatto riflettere sul suo ruolo d’attore in senso lato, “quello che possiamo fare è raccontare delle storie che queste poi stimolino discussioni e anche conflitti (ovviamente parlo di conflitti intellettuali) è sacrosanto. Però noi non possiamo da una parte né sentirci censurati nell’affrontare certi temi, né così responsabilizzati nel dover difendere una storia, venendo risucchiati dentro discussioni politiche e sociali”.

Gomorrae i suoi personaggi come Ciro Di Marzo rimangono comunque icone capaci di aver rivoluzionato la serialità italiana e che hanno spinto Marco D’amore al suo esordio alla regia con ‘L’immortale’, portando l’universo di Gomorra nelle sale cinematografiche.

È un film autobiografico, perché io e Ciro abbiamo la stessa biografia, nel senso che siamo nati più o meno nello stesso posto negli stessi anni. Ovviamente lui, a differenza mia, non ha avuto alcuna possibilità di scelta nella vita, mentre io ho avuto la possibilità di studiare, di viaggiare, di incontrare persone che mi proponessero visioni di mondo alternative a quelle che io avevo già sognato”.

Napoli Magica, il ruolo salvifico dell’arte

Esperienza che ha voluto poi ripetere ‘Napoli Magica’ di cui firma la regia e che nasce “dal desiderio di questa città di parlare, di raccontarsi. Io nel film muoio vado poi a vedere che succede. E morire in quel senso significa ribaltare la visione della città. Napoli è una città cava come un palcoscenico e nel sottofondo della città ci sono anime che si agitano, leggende che si raccontano, personaggi strani in cui ci si può imbattere. Ho raccolto una risposta incredibile.”

Infine, una profonda riflessione sul ruolo salvifico che il cinema e l’arte in generale dovrebbero assumere, dato che “l’intrattenimento è meraviglioso e anche può essere anche altissimo, ma è una cosa fugace, passeggera, che appunto intrattiene, cioè si trattiene con te. Però ad esempio ‘C’era una volta in America’ è stato un film capace di modificare il mio senso civico e questo lo dico per testimoniare il fatto che quello che facciamo non necessariamente salva, ma serve”.