Un insolito dicembre vestito di giallo

Ci verrebbe da ridere se non ci venisse da piangere. E viceversa.  Arlecchino saltella sulla tavolozza dello Stivale nell’attesa spasmodica degli altalenanti d.c.p.m. che ancora non possono decidere con criteri di unitarietà territoriale sul come, quando e con chi festeggiare la nascita del sacro  Bambino, che almeno quella è storicamente sicura.

La task-force natalizia dell’antica Roma

Ci piace ricordare che i nostri progenitori  romani usavano celebrare l’ultimo mese dell’anno con i Saturnalia, ciclo religioso dedicato all’insediamento nel tempio del titano Saturno, che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre secondo quanto fissato dall’imperatore Domiziano della dinastia dei Flavi, il quale regnò dall’81 al 96 d.c., quando fu assassinato dai suoi oppositori. Va detto che egli passò alla storia come uomo dalla personalità piuttosto controversa, laddove,  alle indubbie capacità politiche che seppero favorire la produttività economica, lasciò il segno di una sua biasimevole interiorità d’animo.

Un radicale rovesciamento dei ruoli

I festeggiamenti iniziavano dunque con grandi banchetti e sacrifici, dove ci si scambiavano dei piccoli doni simbolici detti “strenne“.  Durante tali feste veniva sovvertito l’ordine sociale, ove gli schiavi potevano considerarsi uomini liberi, con l’estrazione a sorte di un “princeps”, specie di caricatura del ceto nobiliare, il quale poteva esercitare pienamente ogni potere. Costui era vestito con una buffa maschera e colori sgargianti, tra i quali spiccava il rosso, colore degli dei, personificando di volta in volta una divinità infera da identificare con Saturno o Plutone.

Saltano agli occhi gli evidenti parallelismi con l’odierna congiuntura natalizia, laddove oggi non mancano le vittime sacrificali (da Covid 19), non mancano i banchetti  e i regali ( necessari all’economia in crisi) , non mancano le maschere ( le nostre mascherine, magari comprate dalla Cina…), non mancano i tributi già da allora richiesti ai cittadini partecipanti alle feste.

Il morso della mela

Divagazioni a parte, che non risultano poi tanto peregrine,  ci mettiamo alla finestra inseguendo il volo degli uccelli che la sanno più lunga di noi. Loro sanno bene dove andare, in ogni stagione, le uniche creature veramente libere nella loro transumanza celeste. Noi, poveri umani, siamo stati sbattuti su questa palla terracquea quasi per scommessa, come se il Padreterno avesse architettato una sfida con se stesso per vedere se fossimo stati capaci di affrancarci dal peccato originale ubbidendo alle lusinghe del maledetto serpente.  Quel morso della mela ci costò assai caro.  E la metafora non ci esime dall’avventurarci  in qualche  bizzarro interrogativo, se non altro per distrarci  dalle angosce  da Covid, chiedendoci  se quella mela fosse un pomo rosso, o rosato o giallo come una golden. Sicuramente un frutto assai saporito e senza conservanti di sorta! Come dire oggi, un prodotto bio-green.

Teniamoci uniti e chiusi nelle nostre case, circonfusi dalle luci dell’albero  e… circoncisi  dalle strette dei contagi che  ci vediamo costretti tutti insieme a sopportare col più grande  senso di responsabilità. Non possiamo permetterci di giocare a rimpiattino col nemico, perché quello che stiamo vivendo è certamente un clima di guerra, ove a vincere sono coloro che sanno usare  le più previdenti strategie e non il “qui ed ora”, quell’ “hic et nunc”  che non porta lontano.

Volgiamo quel pezzo di cuore che ci rimane verso le persone più fragili, verso gli umili, verso tutti coloro che nelle loro diversità sociali e antropologiche  rappresentano lo specchio  della nostra stessa umanità. Sospendiamo i giudizi, perché gli altri siamo noi.  Ma non ce ne dimentichiamo appena voltato l’angolo del Natale.

Questo perfido anno bisesto sta infine per chiudersi e il 2021, come un Santa Claus alla rovescia, bussa con insistenza alle porte col sacco gonfio di interrogativi.  Mettiamoci  tranquilli a spiluccare il nostro panettone  in “beata solitudo”, con i nipotini che non possiamo incontrare, con la zia Matilde che non possiamo incontrare, con lo zio Arturo che non possiamo incontrare,  o perché parenti non conviventi o perché residenti appena al di là del nostro marciapiedi, limite invalicabile decretato dal coprifuoco.

Non manchi l’augurio a tutti gli scienziati della compagine sanitaria, virologi, epidemiologi o immunologi che dir si voglia, la cui fisionomia, divenuta tanto familiare più dei nostri stessi familiari che non riusciamo a incontrare, ci appare a ogni piè sospinto della giornata sugli schermi tv a schiarirci la confusione sui più complicati dilemmi da Virus.  A tal punto che la loro immagine andrebbe   conservata a futura memoria nell’album  dei ricordi insieme ai famosi “santini” della nonna. E così sia.

Angela Grazia Arcuri
Roma, 10  dicembre 2020