Non sorprende che Giulia Anania possa essere sia l’autrice super pop nascosta dietro la scrittura per Emma, Malika Ayane e Paola Turci, sia la cantante che canta e racconta Roma ai romani. In fondo è come la città eterna: patrimonio universale di tutti i turisti all’ingrasso che la calpestano, che si fa paese, intensa e amara agli occhi di chi la vive ogni giorno da vicino. A Roma se cammina sui santi e sulle buche, sui cinghiali e sul curry. Si cammina sui paraculi, sugli “honesti” e si rischia di impazzire, ma una musica può fare, e Giulia canta col sorriso sulle labbra e il sole in fronte. Sfacciata e diretta descrive Roma e le sue storie, dagli argini del biondo Tevere, biondo come lei. Suona musica pop che sa a volte di Nada e suona musica pop-olare che sa a volta di Gabriella Ferri.

Il concerto è un momento sincero nel quale chi sta sul palco parla di chi sta a sentire. Solo perché ha bisogno di raccontarsi, mentre si accorge che la sua storia, è come quella di tutti noi che siamo stasera al Monk. Tutti soli, unici come i calzini che finiscono irrimediabilmente spaiati (sappiate che Giulia ha un problema serio con i calzini spaiati…). Persone giuste a cui sono successe cose sbagliate che si riuniscono in un movimento a cui Giulia Anania presta la musica e il cuore. Sul palco sono in tanti, da Lucci a Paola Turci, a Giorgio Tirabassi, a Francesco Fiore della Med Free Orkestra. Compagni di sentimenti, che il palco sembra piazza Trilussa di tanti anni fa, con i contanti, i bulli e i poveracci a scollettare. Perché Trastevere prima era un posto pericoloso e ora tutta Roma è un posto pericoloso, perchè il pericolo è quello di perdersi e rimanere soli, spaiati e ogni tanto riunirsi e cantare di noi in romano, insieme a Giulia Anania, aiuta a ricordarci cosa possiamo essere.