Intervista alla cantautrice, performer teatrale e vocal coach già nota al grande pubblico come voce dei Matia Bazar dal 2004 al 2010, da qualche giorno in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme digitali con il brano ‘Senza far rumore’, dedicato al batterista dei MB, Giancarlo Golzi
Dallo scorso 2 maggio è in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme digitali di streaming ‘Senza far rumore’, il nuovo singolo di Roberta Faccani, dedicato allo storico fondatore e leader dei Matia Bazar: Giancarlo Golzi. Il brano segna anche il ritorno discografico della Faccani: cantautrice, performer teatrale e vocal coach già nota al grande pubblico come voce dei Matia Bazar dal 2004 al 2010. Il brano, una ‘ballad’ intensa e struggente, è interamente scritto da Roberta per il testo e composto insieme a Giordano Tittarelli per la musica. Si tratta di un omaggio affettuoso e introspettivo allo storico fondatore, batterista e cuore pulsante dei Matia Bazar, a dieci anni dalla sua prematura scomparsa. Fu proprio Giancarlo Golzi, infatti, a volere fortemente l’ingresso di Roberta nella band, riconoscendo nella sua voce dirompente e originale un elemento di rinnovamento per il gruppo. In questo tributo, la Faccani rende omaggio alla figura di Golzi, ricordandolo come un professionista saggio e lungimirante, di poche parole, ma di grande sostanza. Il titolo ‘Senza far rumore’ riflette sia la cifra caratteriale di Giancarlo, sia il rispetto reverenziale che Roberta gli ha sempre riservato, fino alla fine. Il brano rappresenta anche un dialogo virtuale, colmo di emozione e riconoscenza, per un ‘addio mancato’, ma sentito nel profondo del cuore. In base a tutto ciò, abbiamo voluto fare ‘due parole’ con Roberta circa le sue recenti iniziative professionali.
Roberta Faccani, in questi giorni lei è tornata sul mercato discografico con un nuovo singolo, intitolato ‘Senza far rumore’: può dirci di più in merito a questa sua decisione?
“In realtà, non avevo preventivato nulla. Per come intendo l’arte e la professionalità, io non amo i progetti che potrebbero sembrare pre-confezionati o pensati per essere presente a tutti i costi sul mercato. In questi anni, dopo il mio ultimo album, ‘Matrioska italiana’, risalente al 2017, ho continuato a scrivere le mie cose, come faccio quando ho un’ispirazione sincera. E tra queste, è nata ‘Senza far rumore’. Il brano ha avuto una gestazione lunga e ponderata, a cui ho dedicato cura e amore, nel ricordo rispettoso e tenero del compianto Giancarlo Golzi: batterista e colonna storica dei Matia Bazar, che ho conosciuto alla vigilia della mia audizione per entrare a far parte del gruppo in cui ho militato per sei anni. L’ho scritto per amore e, per amore, mi sono convinta a farlo ascoltare a tutti a dieci anni dalla sua prematura e inaspettata scomparsa”.
Il brano è appunto dedicato alla memoria di Giancarlo Golzi, il compianto batterista dei Matia Bazar: può raccontarci qualcosa in più sul vostro rapporto personale e professionale?
“Ho incontrato Giancarlo in un soleggiato pomeriggio romano e ci fu subito una grande simpatia reciproca, prima dell’audizione ufficiale, avvenuta a Milano, con il resto della band. Giancarlo voleva una rivoluzione nel gruppo, un cambiamento di rotta sia rispetto alla vocalità, sia nelle sonorità dei Matia di quegli anni e, sotto questi aspetti, aveva le idee molto chiare. Era un pragmatico, ma anche un diplomatico: quando parlava non lo faceva mai a caso. Aveva un lato del carattere molto introverso, ma allo stesso tempo sapeva essere un uomo spiritoso e di compagnia. Mi stimava molto e sapeva che le mie doti erano adatte per quella rivoluzione che lui prospettava. Ci univano l’amore per il ritmo e certi ascolti musicali. Entrambi ci dilettavamo a fare imitazioni di voci o personaggi. Così, tanto per ridere. Lui poi, quando rideva, lo faceva fino alle lacrime. Sul palco, il suo carisma era formidabile: ti infondeva sicurezza ed energia. Nella vita mi ha spesso illuminato con moniti di saggezza su tante cose di cui, nel tempo, ho fatto davvero tesoro. Ogni qualvolta devo prendere una decisione, lo penso e ne ricordo i suggerimenti”.
I Matia Bazar sono stati un gruppo storico della musica italiana, che oggi viene rivalutato da più parti: che ricordi ha del periodo in cui lei ne ha fatto parte?
“I ricordi sono quelli di una palestra di vita e di professionalità, tra risate, qualche pianto, creatività e anche un po’ di follia, come accade in una grande famiglia piena di sfaccettature. Il Festival di Sanremo, visitare il mondo, registrare dischi, organizzare tour, tanta tv e radio. Tuttavia, credetemi: i miei momenti preferiti erano le cene dopo i concerti, dove poteva accadere veramente di tutto, perché ci si rilassava e si facevano scherzi, sketch e imitazioni anche utilizzando un linguaggio segreto, tutto nostro… Ancora oggi, se ci penso, sorrido: potrei raccontare milioni di aneddoti incredibili e divertenti”.
Parliamo un po’ di lei, cantautrice, performer teatrale e vocal coach: è stato difficile il suo percorso da solista, dopo la sua esperienza come voce dei Matia Bazar?
“In realta sì, perché ho provato a fare Sanremo due anni dopo la fine del mio sodalizio con il gruppo, con un progetto in cui credevo molto, ma non è andata. Poi mi ha risucchiata il teatro, tramite un musical che è durato sette anni: sono stata molto impegnata in quel progetto lì. Avrei dovuto essere più presente in tv, ma esistono dinamiche difficili, in tal senso. E io non sono una che sgomita, né una super ambiziosa. Faccio tutto sempre con le mie umili forze, con un certo spirito fatalistico. In ogni caso, dopo i Matia ho lavorato sempre coi migliori: da Zard a Peparini, fino a Renato Zero. Perciò mi posso ritenere soddisfatta, anche se i sogni non finiscono mai. Come vocal coach ho insegnato in conservatorio, presenziato a tante masterclass, concorsi e talent tv. Ho persino dato vita a una metodologia applicata al canto moderno e al musical, dal nome: ‘La fabbrica del cantante-attore’. Ho preparato le audizioni, fino alla sua vittoria, per una giovane allieva che ha partecipato al primo anno di ‘The Voice Kids’. Insomma, vado avanti sempre con progetti pragmatici, ma qualitativamente alti: non amo strafare”.
Cosa prevede nell’immediato futuro? Sta lavorando anche a un suo album di cui ‘Senza far rumore’ rappresenta un’anticipazione?
“Fare un album non so: dipende se scriverò canzoni che mi convincano fino in fondo. Sono spesso come Penelope: disfo e rifaccio, perché ricerco autenticità e qualità, in primis da me stessa, anche a discapito del ‘commerciale a tutti i costi’. Tutto è possibile, se lo riterrò degno di essere ascoltato e se il pubblico lo vorrà”.
Qualche considerazione sul mercato discografico italiano e sulle nuove modalità di fruizione della musica, legate alle piattaforme social: lei cosa ne pensa? Siamo di fronte a un appiattimento artistico, secondo lei?
“Sono figlia della fine degli anni ‘70 e di tutti gli ‘80 e ‘90, perciò ricordo grandi autori, grandi arrangiatori, studi di registrazione enormi, interi mesi per creare un’idea nuova e diversa da tutto il resto. I miei riferimenti sono stati, oltre alla musica black, i Toto, i Police, i Genesis e, in Italia, Ivan Graziani, Lucio Dalla, Anna Oxa e Loredana Bertè, per i quali ogni progetto artistico sapeva di unicità, mai di appiattimento. Non condanno i social, perché mi chiedo dove dovrebbero andare i giovani talenti per farsi altrimenti ascoltare. I problemi sono altri: oggi cantano, tecnicamente, tutti bene, ma a che serve avere solo ‘la voce’ se non hai un grande pezzo? Inoltre, oggi troppi brani sono come gli abiti da ‘grande magazzino’ e non da ‘boutique’ di lusso, per un sacco di aspetti che qui non si possono sviscerare. Direi che, in generale, sono pezzi addirittura interscambiabili fra loro, senza che restino nel tempo e senza che identifichino veramente un artista piuttosto che un altro. Questo è ciò che dispiace e mi preoccupa davvero, non tanto i veicoli di fruizione, che cambiano sempre e cambieranno ancora”.
Quali artisti italiani apprezza tra le nuove leve della musica italiana?
“Di buone leve ce ne sono parecchie, ma fammi dire il nome di chi stimo da anni e che meritava, già da tempo, la ribalta: Serena Brancale. Una musicista a 360 gradi, anche nell’approccio a una vocalità e un senso ritmico abbastanza inusuali per il nostro Paese”.
Dove stiamo andando, sotto il profilo del consumo musicale? Verso una musica tutta omologata, che non pretende più una certa attenzione nell’ascolto?
“Sono anni un po’ così, come dice la domanda che anticipa, in sé, già la risposta. Sono però convinta che, almeno per una fascia di utenza, si stia lentamente tornando alla volontà di ascoltare melodie e testi non ‘super scontati’, con una miglior ricerca nella costruzione armonica, anche attraverso un certo tipo di cantautorato, che sembra stia tornando di moda. Vedremo se la discografia – e il pubblico – vorranno questo fino in fondo”.
Intervista di Vittorio Lussana