Secondo la nota psicologa e analista, per tornare ai valori di gentilezza e tolleranza è ormai necessario alimentare un cambiamento che comincia a farsi notare: da Daniel Lumera a Felicia Cigorescu, fino al nostro Carmelo Fabio D’Antoni, ideatore di una tendenza artistica ‘neo-stilnovista’
Si avvia ormai alla conclusione la splendida mostra personale dell’artista Carmelo Fabio D’Antoni, dal titolo: ‘Le donne nella visione di Carmelo Fabio D’Antoni – Omaggio alla donna’. Una visione senza tempo tra sacro e profano, in esposizione fino al 21 maggio 2025 presso il prestigioso contesto della Villa delle Arti – Contea del Caravaggio, alla via Rimini n. 1, in località San Giovanni La Punta, in provincia di Catania. Una location a cui è annesso anche lo studio dell’artista, sede del Mas (Movimento artistico stilnovista, ndr) di cui il D’Antoni è il principale ideatore e promotore insieme alla psicologa, Gabriella Marventano, la quale in questa intervista spiega come favorire quel cambiamento di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito all’esistenza di una ‘questione femminile’, in Italia e nel mondo. Anche e soprattutto alla luce dei recenti casi di ‘femminicidio’ avvenuti a Milano, Civitavecchia e Fregene (Rm).
Gabriella Marventano, innanzitutto perché una psicologa ha sentito il bisogno di portare il proprio contributo all’inaugurazione della mostra di Carmelo Fabio D’Antoni dedicata alle donne?
“Ho conosciuto Carmelo Fabio D’Antoni e la sua arte alcune settimane prima dell’inaugurazione della attuale mostra, durante la mostra precedente dedicata al femminile sacro e profano. Ricordo il senso di stupore che mi avvolse quando ho varcato la soglia di Villa delle Arti: un vero e proprio tempio, pazientemente decorato dall’artista in persona nel corso di vari anni. In un attimo, nella penombra di una sera d’inverno, ho respirato la dedizione, la passione, la voglia di creare qualcosa di originale e unico a modo proprio, come espressione di un tumulto interiore che cerca con fervore pace e bellezza. Un luogo dedicato alla manifestazione dell’invisibile, in cui le immagini che sgorgano da una rigogliosa fonte interiore vengono impresse, rese tangibili nella materia e condivisibili con gli altri. Alcuni artisti hanno un dono: sono, per vocazione e natura, profondamente collegati a un livello transpersonale inconscio, quello che unisce tutti gli uomini sulla Terra e che Jung chiamava, appunto: “Inconscio collettivo”. Accedere a questo livello di esistenza non è sempre facile, tutt’altro. Immersi come siamo nella nostra frenetica corsa quotidiana, in direzione di ciò che pensiamo essere importante (fornire una perfetta immagine di sé, guadagnare uno status symbol di ricchezza e potere, essere produttivi, consumare oggetti e tempo in maniera superficiale e compulsiva), non ci accorgiamo di vivere bendati e trascinati da bisogni e desideri effimeri che, una volta soddisfatti, lasciano non un senso di appagamento, ma, al contrario, una nuova voragine da riempire freneticamente. Il senso di una vita può essere questo? Siamo venuti al mondo per riempirci le tasche e le case di telefonini, personal computer, orologi, borse e quant’altro? In realtà, c’è ben altro: esiste un luogo interiore e tutto intorno a noi, la psiche, con la quale stiamo perdendo il contatto. L’inconscio collettivo é una parte importantissima della psiche: da lì proviene la creatività più autentica e la percezione che la vita abbia un senso, il proprio senso”.
Quale ruolo può svolgere l’arte, in questo processo interiore?
“L’arte si configura come un canale tra la nostra coscienza e la nostra parte inconscia. Ogni artista diventa un prezioso strumento nelle mani di forze più grandi di lui, capaci di tradurre in immagini i contenuti più profondi. Così, quando ho ricevuto il gentile invito a dare un mio contributo alla nuova mostra del D’Antoni, sono stata molto felice di accettare”.
Ma lei è una psicologa amante dell’arte? Oppure, ritiene di dover fornire al pubblico delle ‘chiavi di lettura’ alle opere del D’Antoni?
“Amo l’arte, adoro respirarla: se potessi, toccherei tutte le opere con le mani, cosa giustamente vietata nella maggior parte dei casi. Devo accontentarmi di osservarle estremamente da vicino, a una decina di centimetri dalla faccia, quasi come per ‘tuffarmici’ dentro. Mi piace immergermi con anima e corpo, ammirare nei quadri il miracolo dei colori che si mescolano e danno vita a sfumature incredibili. Delle sculture ammiro, per esempio, la perfezione delle linee e della lavorazione della materia, che da grezza viene man mano scolpita, intagliata e levigata secondo un processo che ricorda molto quello di antiche tradizioni sapienzali. Come nell’alchimia o nelle tradizioni religiose orientali e occidentali, che simbolicamente parlano di un lavoro interiore che richiede pazienza, passione, dedizione, autodisciplina (e quindi, una certa tecnica), per arrivare allo stato cosciente più evoluto: quello di “unione con Dio”. Gli alchimisti, infatti, ci ricordano simbolicamente che nasciamo tutti come materia grezza, ma che, se ben lavorata, possiamo diventare preziosi come l’oro. In psicologia analitica si parla, in tal senso, di ‘processo di individuazione’: un processo che inizia quando veniamo al mondo e che consiste nel divenire autenticamente noi stessi. Sembra facile, ma in realtà la maggior parte delle persone falliscono in questo compito, che prevede lo staccarsi dalla massa e vivere in maniera unica e originale. La maggior parte di noi pensa che sia sufficiente, per esempio, studiare, lavorare, creare una famiglia, viaggiare, godersi la vita. Non é così, purtroppo: questa è solo una parte dell’esistenza, quella che serve a un buon adattamento dell’Io. Ma il divenire se stessi passa dall’affrontare anche prove interne, difficili tanto quanto quelle più esterne: dall’ascolto dei sogni, alle intuizioni e sensazioni che sgorgano dal profondo. Non so se queste mie riflessioni possono aiutare il pubblico a ‘leggere’ meglio le opere del D’Antoni. Ma credo che la consapevolezza sia l’arma più potente nel mondo e sono ben felice di condividere, con chi vuole leggermi o ascoltarmi, ciò che ho imparato nel mio percorso professionale ed esistenziale”.
Cosa pensa dell’idea di promuovere una nuova corrente culturale come quella neo-stilnovista? È un buon modo per ingentilire i linguaggi, nel complesso rapporto tra uomini e donne?
“È in corso, a livello mondiale, una rivoluzione: la ‘rivoluzione gentile’. Se osserviamo bene, c’è un enorme flusso di gente che sta lavorando per cambiare gli stili di comportamento generali, persino nel mondo del business. Mi vengono in mente Daniel Lumera, che ha fondato una associazione internazionale proprio per valorizzare qualità come la gentilezza, l’empatia, la tolleranza. E Felicia Cigorescu, che sta lavorando, su larga scala, come direttrice artistica e fondatrice di un movimento che valorizza la gentilezza: una tra le varie qualità del femminile dentro ognuno di noi. In tutto questo, anche il D’Antoni, in quanto artista connesso all’inconscio collettivo, sta contribuendo a questa interessantissima rivoluzione: ingentilire i linguaggi tra gli esseri umani, al di là del genere biologico. Ritengo sia un necessità urgente, generata anche dall’esigenza di dover fare da contraltare all’inasprirsi dei toni tra le nazioni, al riarmo dell’Europa e, più in generale, alle guerre che si sono accese negli ultimi anni e che sembrano andare in una direzione piuttosto preoccupante. La gentilezza è una piuma, una carezza: un atto d’apertura verso l’altro. Il sommo Dante l’ha espressa egregiamente e il D’Antoni, che per curiosa assonanza richiama, con il suo cognome, il nome del poeta, ha colto l’insegnamento di questo straordinario modello per realizzare qualcosa di innovativo: esprimerlo non più e non solo attraverso la scrittura, sebbene scriva anche delle splendide poesie, ma anche attraverso le immagini, dipinte e scolpite in un intreccio armonioso. In questo clima di guerra, una delle prime cose che vanno perdute è la bellezza della cultura. In tal senso, teorizzare una nuova corrente culturale é un atto coraggioso, gentile e anch’esso rivoluzionario. Ci ricorda la connessione con i valori più elevati della vita, mettendo un freno alle dinamiche più distruttive e aride che, in questa fase storica, stanno tentando di risucchiarci”.
Dobbiamo forse cercare nel passato quei valori di ‘amore gentile’ che, oggi, sembrano latitare?
“Beh, diciamo che I modelli del passato non debbono essere dimenticati: sono portatori di una conoscenza che ereditiamo e di cui dobbiamo far tesoro. Lasciar cadere nell’oblio certi insegnamenti, io trovo sia un oltraggio all’umanità, un regredire gratuitamente, un ritornare a essere bestie. Come dice un famoso verso di Dante: “Fatti non siamo per essere bestie, ma per coltivare virtù e conoscenza”. Se i nostri antenati ci donano un tesoro, perché gettarlo nell’immondizia? Per pura ignoranza e presunzione? Sembra quasi che tutto ciò che sia antico debba essere considerato ormai inadatto, da eliminare, come i capelli bianchi o le rughe che rimandano all’anzianità, mentre ciò che è nuovo o giovane è sempre preferibile perché all’avanguardia, più evoluto: ne siamo davvero così sicuri? Innovazione e saggezza, presente, futuro e passato, possono e devono andare di pari passo e non essere fondati sulla presunzione che uno sia migliore dell’altro. Il rischio è quello di uno scollamento, di un deragliamento: un volo troppo alto per le nostre capacità, con conseguente ‘schianto mortale’. Come nel mito del giovane Icaro, che nonostante gli avvertimenti dell’anziano e saggio padre, decise di volare troppo in alto, per poi precipitare in un drammatico epilogo. E’ un episodio di profondo insegnamento, al riguardo”.
Lei non crede che si possa sublimare o idealizzare in una chiave puramente estetica la figura femminile? Non c’è un rischio di scollamento o di allontamento da una realtà che, in molti casi, è ancora piuttosto arrestrata?
“Certamente: il rischio sussiste ed è più che mai presente. Si passa dall’idolatrare il corpo femminile, fino a volerlo mostrare nudo a tutti i costi. Ricordo alcune dichiarazioni di qualche anno fa di Chiara Ferragni e altre più recenti della cantante Elodie, che reclamavano il diritto di vestire in modo succinto, rivendicando il diritto alla libertà di essere donna e di avere quelle specifiche forme standard, che devono assolutamente caratterizzare il corpo femminile. Ma così facendo, loro stesse commercializzano e strumentalizzano il corpo femminile, gettandolo alla mercé di chi ne farà oggetto di desiderio, derisione o di giudizio. Stiamo passando da una fase fondata sul maschilismo patriarcale a un’altra di ribellione del femminile in cui la donna vuole finalmente esprimere il suo diritto di esistere, di non essere considerata inferiore all’uomo. Ma in questa ribellione deve ancora maturare veramente una concezione di identità legata alla percezione del proprio valore, che non coincide unicamente con il corpo, né con l’indipendenza economica o il ruolo professionale, non vuol dire essere come gli uomini e fare tutto ciò che fanno gli uomini, emulandoli malamente. Significa, piuttosto, essere consapevoli delle proprie caratteristiche non uguali, ma complementari, a quelle maschili. L’arte del D’Antoni, a mio parere, si configura proprio come un tentativo personale e collettivo perché riguarda temi universali: guardare finalmente negli occhi delle donne e vederle veramente in tutte le loro sfaccettature e sfumature, tra bellezza luminosa e armonia, ma anche imperfezioni e oscurità. Se vediamo l’altro per quello che è e non per come noi vorremmo che fosse, possiamo finalmente trasformarlo da oggetto di desiderio e di controllo in un essere vivente con una propria identità e indipendenza”.
È venuto il momento che le donne guidino la società, secondo lei?
“No: donne e uomini devono condurre insieme la società, ascoltando il punto di vista reciproco e integrandolo. Gli uomini e le donne avrebbero un enorme potenziale, se riuscissero a smettere di volersi considerare l’uno migliore dell’altro o a voler esercitare controllo e potere. C’è una profonda differenza tra potere e potenza: il potere riguarda la relazione tra due o più parti, in cui una di queste prevale sulle altre e le domina, soggiogandole. La potenza, invece, è quel sentire interiore caratterizzato da una profonda forza, la quale, per il semplice fatto di esistere, genera qualcosa di nuovo e dà un senso all’esistenza stessa. La potenza dell’unione tra maschile e femminile, dentro ognuno di noi e nel mondo, era già stata compresa dagli antichi ed espressa nel concetto di ‘Sigizia divina’. Jung riprese questo concetto in psicologia per indicare il superamento dei conflitti tra maschile e femminile, mediante l’integrazione tra le parti. Questa unione, però, può essere possibile soltanto a una condizione: che entrambi accolgano i propri punti di forza, ma anche e soprattutto i propri naturali limiti, senza vergogna”.
La subcultura maschile o ‘machista’ ha ormai detto tutto quel che c’era da dire, nel corso della Storia?
“Non so se abbia detto tutto. Certamente, ha detto e fatto abbastanza, fino a causare terribili danni. Dobbiamo, però, fare un passo indietro e comprendere le ragioni psicologiche di questo atteggiamento culturale. Maschile e femminile non sono solo due possibili tipi di strutture biologiche, ma anche due dimensioni psichiche. Il maschile è quella parte interiore, in ognuno di noi e al di là della fisicità, che comprende funzioni come la forza, intesa sia come forza fisica, sia come forza interiore, coraggio, intraprendenza e determinazione. La comunicazione attraverso le parole, il pensiero razionale e, nella sua forma più elevata, la dimensione dello Spirito. Il femminile comprende, invece, l’emotività, l’intuizione, la corporeità, la relazione con se stessi e con gli altri, con il mondo e con l’universo intero, fino al concetto trascendente di ‘Anima Mundi’. Le nostre qualità maschili sono utilissime ogni qual volta vogliamo raggiungere degli obiettivi e capire in maniera analitica la realtà e, quindi, spezzettarla, studiarla nei dettagli e categorizzarla. E’ la parte cosciente e razionale che cerca risposte, grazie alle quali è possibile il progresso tecnologico e scientifico. Tuttavia, in virtù di queste caratteristiche, si é pensato che tutto ciò fosse più importante della dimensione femminile, che comprende, al contrario, le parti, se vogliamo, più irrazionali. Il pensiero scientifico è stato così innalzato a unico e vero strumento di conoscenza, dimenticando la fonte da cui esso attinge, che è sempre una fonte intuitiva, dunque femminile. Prima l’intuizione, poi il pensiero: “La mente intuitiva è un dono sacro, e la mente razionale è un fedele servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”, diceva Albert Einstein. A partire dall’intuizione, ma anche da un’emotività che funge da motore (quali scoperte sarebbero state compiute senza la fervente passione verso la conoscenza che alimenta curiosità e desiderio di ricerca?), gli scienziati articolano conoscenze ben organizzate, esprimibili a parole e, dunque, condivisibili con tutti. Le funzioni maschili restano uno strumento attraverso il quale le verità provenienti dalle nostre profondità vengono raffinate, levigate, lucidate, rese fruibili nel tempo. Ma immaginiamo il pensiero senza l’intuizione e la passione, oppure l’intuizione e le emozioni senza un pensiero organizzante: il maschile diventerebbe sterile, il femminile arido, nessuna nuova fecondazione potrebbe verificarsi e l’evoluzione, a un certo punto, si arresterebbe. L’armonia tra maschile e femminile non solo è auspicabile, ma necessaria. Nessuno dovrebbe mai credere all’illusione che un genere sia meglio dell’altro o viceversa. Quando ciò accade inizia verificarsi uno squilibrio e la bilancia pende più da un lato che dall’altro. Ed é quello il momento in cui iniziano i guai”.
Le cause della recrudescenza dei ‘femminicidi’: un passaggio a vuoto pedagogico nella formazione scolastica? Una sottovalutazione complessiva della questione femminile?
“Quando si muovono forze psichiche collettive verso una direzione, inevitabilmente si attivano forze di intensità contrapposta, che vanno nella direzione contraria. Se, da un lato, la dimensione femminile urla a gran voce di voler essere riconosciuta nel suo valore e vuole generare un cambiamento collettivo, dall’altro, le forze conservative maschili si oppongono e si servono della forza bruta, talvolta anche di una forza ben più raffinata, camuffata e, per questo, difficile da individuare. Mi riferisco alle manipolazioni, alle umiliazioni: frasi e parole pronunciate espressamente per distruggere l’autostima della donna, in famiglia come nel lavoro. Il maschile non vuole perdere il potere acquisito, sebbene sappia, intimamente, di aver usurpato il trono, cacciando dallo scranno la sua regina. I ‘femminicidi’ sono il sintomo di una società che deve ancora compiere importanti e significativi passi in avanti, verso una reale integrazione tra le parti. Il maschile deve emergere dal suo mondo narcisistico e accettare la ferita di non poter avere il controllo sul femminile, altrimenti il dialogo non può attivarsi. Come si fa a relazionarsi con una persona o una parte interiore, a livello psicologico, che non riesce a vedere altro al di là di sé stesso”?
Ma com’è stato possibile che la società non abbia voluto vedere l’avanzamento delle donne in tutti i settori lavorativi, artistici e professionali?
“Per paura. Provi a parlare di questi argomenti con persone estremamente razionali, uomini o donne essi siano: vedrà quanti meccanismi di difesa attiverà. Il primo, probabilmente, sarà la negazione che queste questioni esistano, come la negazione dei traguardi delle donne e delle loro enormi potenzialità. Poi, potrà osservare la derisione e i vari tantativi di umiliazione e persino forti quote di aggressività, scagliate come pugnalate volte a distruggere ogni parvenza di dubbio. A noi esseri umani non piace sentire cose nei confronti delle quali non siamo pronti. La dimensione maschile ha creduto e crede fermamente di essere migliore da molto tempo: tutto il resto praticamente non esiste. Aprire gli orizzonti per ‘vedere oltre’ è un atto di grande coraggio”.
Un’ultima domanda circa lo spessore artistico del maestro Carmelo Fabio D’antoni: lei ritiene che artisti come lui rappresentino un’avanguardia maschile, in grado di dare un contributo alla nascita di nuovi rapporti paritari tra uomini e donne?
“Esistono uomini capaci di integrare e vivere serenamente il proprio lato femminile, che non ne hanno paura e sanno che non c’è nulla di più fruttuoso di un dialogo tra le parti. ‘Uomini d’anima e spirito’, che comprendono che innalzando l’altro ci si innalza a propria volta, in un’ascesa che profuma di eros, di energia legante. Ognuno di noi offre il suo contributo con la propria esistenza. Noi possiamo scegliere se lasciare un alone di profumo o di tanfo: questo è il libero arbitrio. Io penso che il D’Antoni stia certamente portando il suo prezioso contributo in questo processo di cambiamento in atto, che tuttavia, essendo gigantesco, richiede un travaglio ancora lungo e complesso. Una cosa, però, è certa: siamo ormai tutti in cammino”.
Intervista di Vittorio Lussana