Il 2 ottobre è finalmente uscito l'ultimo album de Il teatro degli orrori: un disco omonimo, in cui troviamo 12 tracce che mettono in scena le dure sonorità e le parole ancora più grevi della band veneziana, che si distacca un po' dai suoni de Il Mondo Nuovo (2012), grazie soprattutto all'arrivo di Kole Laca alle tastiere e di Marcello Batelli alla chitarra.

La musica de Il teatro degli orrori, grazie alla nuova formazione, guadagna in completezza e peculiarità, mentre i testi di Piepaolo Capovilla restano, come al solito, irriverenti e pregni di polemica, pronti a 'schiaffeggiare' per l'ennesima volta un'Italia alla deriva, per la quale non siamo mai disposti ad arrabbiarci abbastanza. La band invece gronda rabbia e insofferenza in ogni nota e in ogni parola, rappresentando un caso se non unico, quantomeno raro nel nostro panorama discografico. Abbiamo interrogato al riguardo il chitarrista Gionata Mirai. Ecco la nostra intervista.

 

Il teatro degli orrori, la nostra intervista a Gionata Mirai

Ciao Gionata, ti chiedo subito qualcosa dell'album, che è omonimo. In effetti Il teatro degli orrori mi sembra un titolo perfetto per i vostri brani, visto che portate in scena proprio gli orrori dell'Italia. Ho letto però che avete scelto di fare un album omonimo anche come segno di un nuovo inizio, visto l'arrivo di Kole Laca e Marcello Batelli…

Sì, il fatto che in questo album siano subentrati Marcello e Kole segna sicuramente un nuovo inizio. Loro hanno contribuito tantissimo alla stesura dell'album, rendendo Il teatro degli orrori ancora di più ciò che è. Il bello di lavorare – e aver lavorato – con loro è che si sono integrati perfettamente negli anni (perché ormai sono tre anni che suonano con noi e abbiamo fatto già due tournée insieme). In questo periodo hanno proprio assimilato lo spirito della band. Poi ovvio, noi siamo Il teatro degli orrori, cantiamo dell'Italia, per cui quale titolo migliore per un'Italia così disgregata e fuori rotta?

Hai detto che Batelli e Laca si sono integrati benissimo, ma musicalmente parlando cosa hanno portato di nuovo secondo te? A mio parere hanno un po' sminuito la vostra vena rock, a favore però di un suono più peculiare, come se avessero ancora di più particolarizzato e definito la vostra identità nel panorama italiano.

Sì, è esattamente così. Io in reltà penso che rispetto a Il mondo nuovo (il nostro ultimo disco), questo album sia molto più rock, anche se forse non sembra (ride, ndr). Abbiamo la fortuna di avere Kole Laca, che è un maestro di pianoforte, e questo sin dall'inizio ci ha aiutato moltissimo a ragionare sulla canzone, sulla musica che facciamo, in termini più precisi. Lui parla il linguaggio di chi ha studiato la musica, a differenza di noi che siamo fondamentalmente quattro punkettoni che suonano così a orecchio. Avere un maestro di pianoforte in squadra ha dato un tocco di eleganza consapevole a quello che stavamo facendo. Le tastiere in questo disco sono ovviamente molto più presenti, dato l'arrivo di Laca, e vanno ad incastrarsi con le parti di chitarra che abbiamo creato io e Marcello. Laca è andato a coprire tutti gli spazi ritmici armonici che erano rimasti – o che potevano rimanere – vuoti. Abbiamo voluto realizzare dei suoni molto densi, molto spessi e l'incastro tra la tastiera di Kole e le nostre chitarre ha dato un ulteriore valore aggiunto al disco.

Ho letto poi che musicalmente avete lavorato al disco come se fosse una intro al live. Penso che tra un po' capiremo in che senso visto che sta per partire il tour…

Sì, si inizia il 22 ottobre dal Pedro di Padova. Il disco è stato pensato e suonato in sei. Ti dirò, ci sono veramente poche sovraincisioni nell'album, per cui è proprio un disco pensato in studio per essere però suonato dal vivo, che è poi la dimensione che da sempre preferiamo. Il supporto fisico di un disco è importante, ma per noi è molto più importante girare l'Italia e spaccare tutti i palchi che troviamo. Non vedo l'ora di cominciare!

Parliamo un po' dei testi. Cantate molto il disamore nei confronti dell'Italia, che è una cosa abbastanza comune, ma in questo album ho sentito una cosa che non sentivo da tempo, la rabbia, che è molto meno comune. È la rabbia che manca oggi?

È proprio questo il problema dell'Italia. Ci si inca**a tantissimo, ma ci si inca**a su Facebook, il che non porta praticamente mai a un risultato reale. Parlo per me. Siamo stati zitti per un po' e questo ha fatto montare quella rabbia di cui stai parlando. Cosa potevamo fare? L'Italia è un paese bombardato dall'ignoranza e da questa classe dirigente terribile. Trovo strano che siamo solo noi ad arrabbiarci, perché dovremmo essere tutti arrabbiatissimi. Anche a livello culturale, parlando di musica e di comunicazione, sono pochi gli elementi veramente arrabbiati. È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Io non riesco a non inca**armi quando guardo quello che succede fuori casa. Siamo tutti così, per cui se non facevamo un disco arrabbiato potevamo anche non farlo.

Ne parlate tra voi?

Proprio all'inizio della stesura del disco, tra di noi ne abbiamo parlato anche abbastanza animosamente, soprattutto per quanto riguarda Pierpaolo e quindi i testi. A prescindere dall'aspetto prettamente musicale, è stata molto discussa la questione delle parole che Paolo usa. Dicevamo: 'Pierpaolo, questa volta dobbiamo realizzare qualcosa che sia una manata in faccia, le parole devono essere chiare, devono essere dirette, e tu devi essere anche volgare, perché l'Italia è così'. Penso che Pierpaolo ce l'abbia messa tutta e sia riuscito perfettamente nell'intento.

Non vi sentite discograficamente un po' isolati?

In realtà, non ci ho mai fatto caso. Siamo un caso particolare in Italia e un po' chiaramente mi dispiace, perché vorrei che fossero tutti un po' più inca**ati. Però ci tocca essere isolati, cosa ti devo dire? Va bene che sia così, non cerchiamo solidarietà per non sentirci soli, piuttosto vorremmo trascinare persone ed elementi che potrebbero in qualche modo provarci.

Ti ho fatto questa domanda perché nel mondo della musica passa per critica politica la canzone del rapper, poi ascolti un album come il vostro e ti rendi conto che comunque c'è un abisso tra i due modi di trattare la questione…

Eh, hai capito? Purtroppo viviamo in un mondo in cui, quando si fa della critica, è sempre condita da una tonnellata di zucchero sopra. Sembra critica, ma non lo è. È tutto patinato, passa tutto per la televisione. E pensare che siamo nel 2015 e ancora guardiamo la televisione, quando sono 10 anni che c'è Internet. Certo, in Italia internet funziona male, ma comunque funziona. Invece qui chi esce a livello discografico e culturale, lo fa solo se passa attraverso la televisione. Cosa devo dirti? Purtroppo è così.

È uno degli orrori dell'Italia…

E sì, parliamo proprio di quello. Insomma, se uno sente il mio disco e quello di Fedez secondo me ci sono delle differenze abbastanza importanti…

Volevo chiederti un commento sul cambio di etichetta, visto che ho letto che siete passati alla Warner Chappell.

Sì, niente di particolare. Il nostro rapporto con le majors finora si è basato sulla gestione delle edizioni – che fino ad ora era affidata alla Universal – e sulla distribuzione. Dopo anni abbiamo deciso di spostarci perché abbiamo trovato un distributore più interessato al progetto di quanto si sia dimostrata la Universal negli ultimi anni, nonostante abbia fatto molto per noi. Abbiamo trovato gente più entusiasta di lavorare con noi. Il distributore poi in realtà non è Warner, ma Artist First, un'agenzia di distribuzione indipendente, quindi siamo ancora più contenti. Le edizioni sono passate a Warner, ma non cambia molto. Non siamo prodotti Warner, né eravamo prodotti Universal. Ci facciamo dare degli anticipi che poi usiamo per fare il disco e restituiamo. Come tutti i gruppi indipendenti.