Viviamo in un’epoca nella quale probabilmente accedere a qualsiasi tipo di musica è semplicissimo anche perchè è spesso tutto gratis. Sorprende quindi che il Rapporto sulla pirateria globale nel 2017 di MUSO (www.muso.com) parli di un aumento del 14,7% della pirateria musicale. Ci si chiede: perché qualcuno dovrebbe piratare la musica quando è tutta la musica disponibile a costi bassi se non addirittura gratis?

Leggendo il rapporto in modo più approfondito, non è il conteggio dei file che vengono scaricati (che è il modo in cui pensiamo alla pirateria), ma le visite ai siti web in cui si scaricano file musicali piratati a far aumentare la pirateria musicale. L’anno scorso ci sono stati più di 73,9 miliardi di visite a siti dediti alla pirateria musicale in tutto il mondo, divisi in cinque diversi tipi: siti di streaming web (30,5 miliardi), siti di download Web (21,2 miliardi), siti di ripping (15,7 miliardi), siti di torrent (6,5 miliardi. L’87,13% di queste visite proveniva da utenti collegati dallo smartphone.

Come c’era da aspettarsi, gli Stati Uniti hanno registrato il maggior numero di visite ai siti pirata in tutte le categorie con 27,9 miliardi, seguiti da Russia (20,6 miliardi), India (17 miliardi), Brasile (12,7 miliardi) e Turchia (11,9 miliardi). Come detto, stiamo parlando di visite qui, non di download, ma il fatto è che quando qualcuno ascolta una canzone online e l’artista, il cantautore, l’etichetta e l’editore non ricevono alcuna forma di compensazione finanziaria, si parla di pirateria.

Poi c’è il fatto che mentre la maggior parte del mondo ha un facile accesso allo streaming, ci sono molte zone del mondo in cui lo streaming non è così semplice e quindi la pirateria esiste ancora, almeno in una certa forma e sta ancora derubando artisti. Probabilmente il fenomeno non scomparirà mai, ma è interessante monitorarlo anche per capire in che modo la musica è fruita sul web.