Si intitola Outside is my side il quinto album del cantautore milanese Folco Orselli, uscito il 4 dicembre e che vanta la co-produzione di Gino e Michele. Un disco in cui Folco ha deciso di mettersi a nudo, di parlare un po' di sé e meno degli altri, lasciando che musica e i testi lo guidassero anche alla scoperta di se stesso. Ecco cosa ci ha raccontato il cantautore, che abbiamo raggiunto telefonicamente.

Ciao Folco, la prima domanda vorrei fartela sul titolo, perché è un titolo importante, che fa riferimento agli outsider. Tu hai già un po' spiegato questo concetto facendo paragoni anche con altri 'mestieri', ma cosa vuol dire essere outsider nel mondo della musica e dell'arte?
In questo momento storico, mi sento di fare di tutta l'erba un fascio. Lo so che non si dovrebbe (ride, ndr), ma penso che il mondo degli outsider sia quello di chi ha deciso di schierarsi dalla parte di un proprio ideale di bellezza, in alternativa al mondo insider e mainstream. È un mondo che ha molto più potere di noi, ma che secondo me piano piano sta rivelando la sua faccia più massificata e superficiale.

E i musicisti outsider, dunque, quali sono?
Secondo me abbiamo di fronte una proposta che passa dalle grandi major, ma in realtà non possiamo neanche chiamarle più così, perché non investono. È una proposta veramente massificata, cantano tutti nello stesso modo – sia uomini che donne – e ci sono questi talent show terribili che sfornano gente che canta ma non scrive. Oltre a questo aspetto, di cui tutti siamo un po' consapevoli, va detto che in questi anni un sacco di gente ha fatto invece il suo lavoro scartando questa possibilità, anche perché è una possibilità disonorevole, soprattutto se negli anni hai dato vita a un tuo lavoro, a una tua ricerca, ti sei fatto la tua esperienza e la tua famosa gavetta. Ecco, questi per me sono gli outsider. Ribadisco però che esistono in ogni campo e da qui sono nati i miei esempi: chi produce vino fa 1000 bottiglie al posto di farne 10.000, perché preferisce dare il massimo nel suo lavoro, per citarne uno. Tutta questa massa di popolazione crea un'offerta ed è importante, perché è a livello culturale l'offerta è crollata. Quindi dico facciamo outsiding! Hai presente la frase di Quarto Potere, "Sono inca**ato nero e tutto questo non lo accetterò più"? Quanti siamo a fare questo discorso? Secondo me, se facessimo una seria ricerca scopriremmo che c'è una massa critica che in qualche modo potrebbe anche farsi sentire. Certo, se tutti si lamentano e nessuno partecipa se non dietro ad un social network qualsiasi e assolve tutto attraverso due post, siamo fottuti.

Comunque, in merito a questa questione, mi sembra abbastanza chiaro che tu veda il bicchiere mezzo pieno…
Assolutamente sì, ma anche più pieno di mezzo, diciamo a tre quarti! È come una scorta di cibo buono che tutti hanno a disposizione, o almeno coloro che decidono di applicare questo concetto alla loro vita. Potrebbe essere un'offerta per quelli che abbiamo intorno, forse è da qui che potrebbe rinascere uno spirito umanistico e il piacere di godere delle cose buone? Il punto è che bisogna trovare il modo di trasformare il veleno in medicina, ed è più facile di quanto si pensi, anche perché ormai questa situazione è abbastanza rivelata. Diciamo che il re è nudo e ce l'ha pure piccolo (ride, ndr).

Parliamo allora di questo cd da outsider. Com'è andata la collaborazione con Gino e Michele, che hanno co-prodotto l'album?
È stata una collaborazione su due fronti, perché noi ci conosciamo anche per un'antica collaborazione 'di scuola milanese' che fonde cabaret e musica. Ci conoscevamo da tempo, io ho tanti amici che hanno lavorato con loro e poi un giorno mi hanno chiesto di fare le musiche per il loro spettacolo che portano in scena per celebrare i quarant'anni della loro carriera, Passati col rosso. Da lì ci siamo conosciuti. Io poi ho detto loro che mi sarebbe piaciuto lavorare con entrambi, chiedendo se fossero interessati alla co-produzione dell'album. Ho fatto sentire loro i provini e l'album è piaciuto sia a Gino che a Michele, quindi mi hanno aiutato. Devo dire che sono stati molto gentili e anche molto filantropi, considerando che di questi tempi la discografia e soprattutto i produttori ufficiali non esistono più. Non tutti i mali però vengono per nuocere, perché alla fine da questa situazione come vedi nascono delle collaborazioni esterne, che poi magari ti fanno arrivare alla massa, perché loro sicuramente trattano con la gente. Diciamo che sono strade.

 

A proposito invece dei tuoi testi, hai creato un album molto diversificato sia per temi che per sonorità. Un tema costante è forse il disincanto nei confronti dell'amore… Non ti voglio chiedere dettagli della tua vita privata, però è ovvio che ora mi tocca chiederti di cosa è figlio questo album e quali sono le ispirazioni che si celano dietro di esso…
Sì, in questo album c'è spazio per tante cose. Devo dire che poi affrontando un concetto così largo ma anche stretto come Outside Is My side, ho voluto anch'io tentare di essere il più vicino possibile alla mia vita e alle mie esperienze, cercando di essere il più sincero possibile. Ho affrontato tante volte in passato il tema della canzone d'autore, ma anche attoriale, perché mi sono messo delle maschere. Ho pensato di trattare la musica come un mezzo attraverso il quale poter anche impersonificare personaggi e persone che non sono proprio io, ma che ho conosciuto o storie di cui ho letto. In questo disco invece ho voluto provare a capire un aspetto realista della mia vita e ho scoperto che in fondo è venuto fuori un disco un po' dark.

Ti sei fatto qualche domanda quando l'hai risentito?
Devo confessare che c'è stato un momento in cui sono andato proprio in crisi, mentre stavo registrando. Mi sono accorto di voler fare una cosa gioiosa, ma i contenuti avevano qualcosa di profondamente malinconico. Alla fine mi sono lasciato andare a quello che era il disco, pensando che se l'avevo scritto così un motivo c'era. Quindi sì, ci sono tante verità amare e tanti lati oscuri, ci sono delle grotte che ogni tanto vanno esplorate, quantomeno per scacciare un po' i pipistrelli.

È un po' catartico…
Eh, un po' sì, però devo dire che il dovere di un artista è anche quello di tentare ogni tanto di andare nel mare con le grotte, perché magari in quella melma ci si riconosce qualcun altro. Sono storie di vita, i grandi paradigmi applicati un po' a tutti, l'importante è avere una comunicazione sincera con chi ascolta.

Sì, si percepisce in questo album una storia di vita.
Sì, è proprio una storia di vita e poi questi pezzi sono stati scritti in un arco temporale particolare, quindi forse un po' denotano quest'amarezza. Però non tutto l'album è così, ad esempio Il lupo è un pezzo che nasconde sicuramente qualcosa di strano, perché parla della strage di lupi in Garfagnana. Io avevo letto questa notizia e pensavo a chissà quanti animali con la nostra politica ambientale stiamo ammazzando noi nel mondo.

Mi ricollego all'arco temporale a cui hai appena accennato. Le spose mie è però un pezzo vecchio che hai deciso di mettere adesso. È un brano molto personale, come mai l'hai tirato fuori per questo album?
Era un pezzo di cui in qualche modo avevo vergogna, non me la sentivo di inserirlo nei dischi precedenti, perché ero molto più goliardico nel modo di affrontare la composizione, e anche nel modo di raccontare. Era quindi un pezzo anomalo rispetto alla mia scrittura precedente, anche più melodico e per certi versi più pulito. Le spose mie racconta la storia delle mie tentazioni, è un'allegoria, ed è anche vicina a tre grandi amori che ho avuto e che sono diversi tra loro, sono stati dei dei vizi, tre fiamme che mi hanno attirato in tutti sensi. Alcune le intendo come fiamme d'amore, altre come fiamme che mi hanno bruciato. Il cervello però me lo sono un po' salvato, non ne sono sicurissimo in realtà (ride, ndr).

Devo dire che come brano, proprio per il discorso che facevi, si inserisce perfettamente in questo album, quindi forse è uscito al momento giusto…
Guarda, avevo un po' il terrore che questo disco si percepisse come slegato, soprattutto nello stile, però credo che con il lavoro sonoro che abbiamo fatto abbiamo un po' unificato il tutto. Penso che alla fine acquisisca un senso, ti rendi conto che è un album di confessioni, un album di sfoghi, quindi per nulla slegato, anzi.

A proposito del primo brano, volevo invece chiederti un po' del tuo rapporto con Milano, è una città che ami e odi, perché usi frasi come 'Milano è madre, ma non mi dà pace'…
Sì, con Milano ho un rapporto carnale, orale, materno, matrigno, patrigno, strano, realizzato ma neanche tanto, perché poi dipende dai giorni. Rappresenta anche il mio rapporto con la moltitudine, con la metropoli, e il confronto tra le cose che hai dentro e le cose che ti circondano. È una sorta di allegoria del tutto, soprattutto in questo periodo di pseudo-rinascita che in qualche modo si vede, ma che continua a far trasparire l'aspetto d'ombra che la pervade. Devo dire che è una fonte di ispirazione grandissima, a volte emerge anche questa frustrazione, è un termine brutto da usare lo so, ma i milanesi sono difficili, sono tutti un po' altezzosi, e comprendo anche me stesso in questa descrizione. Se vado in giro a suonare per l'Italia, percepisco molta fame, molta voglia di ascolto, di piacere, di vedere un artista che viene da lontano e viene a portarti la sua musica, mentre qui reagiscono sempre in modo strano, perché i milanesi hanno l'atteggiamento di chi ti sta sempre un po' facendo un favore a ca*arti, il fulcro sono loro. Nel momento in cui però hai un successo evidente, parte un'idolatria anche troppo sovradimensionata. È una città senza vie di mezzo e le sue contraddizioni sono evidenti, però proprio per questo per me è una fonte di ispirazione forte e anche di confronto.

Possiamo dire che è un bel melting-pot, pieno di spunti creativi?
Per me sì, soprattutto in questa nuova fase modernista. Ho dedicato tanti lavori a Milano nella mia evoluzione, in particolare gli ho dedicato un disco, Milano Babilonia, che raccontava del mio trasferimento in questa zona in cui abito tuttora. Parliamo di 15 anni fa e della zona vicino Corso Como che ora è diventata piena di grattacieli. Io l'avevo stigmatizzata un po', perché a me piace raccontare storie che esistono tratte dalle mie sensazioni, ma comunque vere. E ora me la ritrovo con questi palazzi e con queste piazze che credevo non fossero abitate da nessuno. Ora sono piene, come piazza Gae Aulenti, che sta praticamente sotto casa mia. Avevo pronosticato che fosse una cattedrale nel deserto, invece arrivano tutti a visitare questo luogo metafisico in cui non c'è nulla se non questa fontana che sembra un quadro di De Chirico. La gente ci viene, socializza, è tutto molto strano.

Forse Milano è in una fase di trasformazione. Tra un po' di anni ci renderemo conto che è diventata qualcosa che non abbiamo capito stava accadendo…
Io ci credo in questo, perché la mia non è un'analisi negativa, è un'analisi esterrefatta.

A proposito di Milano, vogliamo parlare della tua cover di Quello che canta Onliù di Jannacci, che hai inserito nell'album? È una sorta di saluto a questo grande cantautore, a cui ti legano tanti ricordi?
Tanti ricordi sì, ma soprattutto la fascinazione che ho avuto sempre fin da piccolo per i testi di questo stregone. Io credo che sia uno stregone, un taumaturgo, perché il suo modo di scrivere va al di là. Lui butta lì una materia viva, cangiante, pulsante e la puoi interpretare. Ci sono canzoni che non capisci, ma perché evidentemente sono lì proprio per farsi capire da te e questa secondo me è proprio l'arte degli stregoni. Lui a mio parere è riuscito in un lavoro fenomenale, cioè in quello di dare al tuo cuore le chiavi delle sue parole, poi sta a te decidere dove porle. La canzone che ho messo nell'album è da sempre un pezzo che mi perseguita in questo senso, quindi non è solo un ricordo, ma anche un ringraziamento per aver stimolato in me questa visione, perché ricordo che questo pezzo lo ascoltavo da piccolo quando mio padre mi portava in giro in auto. Aveva questa cassetta arancione, mi ricordo proprio l'odore della pelle dei sedili, mentre mi addormentavo e in sottofondo questa cassetta andava. Questa canzone ha creato in me delle stanze che non potevo riempire, perché ero piccolo e non capivo la malinconia di queste parole, però sentivo che si aprivano i miei degli anfratti che poi avrei riempito dopo, con la consapevolezza, con le prime malinconie. Lui mi ha creato una casa in cui io poi sono andato ad abitare e questa è stata per me vera magia. In un certo senso io gli ho restituito questo dono che mi ha fatto.

Anche perché Enzo Jannacci era l'outsider per eccellenza…
Esatto, è stato anche messo al bando, ha sbagliato anche dei dischi e secondo me a volte ha fatto degli arrangiamenti troppo pomposi. Faceva scelte personali, era uno libero, viveva la libertà vera, era una grande persona, un grande maestro. In vita mi sembrava un po' strano, poi quando è venuto a mancare stavo facendo il disco e mi sono sentito proprio in dovere di restituirgli un dono. Spero che la canzone venga apprezzata, perché l'abbiamo fatta un po' Tex-Mex (ride, ndr).

Appuntamenti live?
Il 19 dicembre saremo al Serraglio di Milano, sarà un grande showcase, ci saranno molti elementi sul palco, quindi sarà una grande abbuffata!