Il 18 febbraio Fabrizio De Andrè avrebbe compiuto 78 anni. L’Italia continua a ricordarlo con cofanetti speciali e con il recente film Il Principe Libero, ma perché Faber è così importante per la nostra memoria collettiva?

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“Pensavo: è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra” cantava Fabrizio De Andrè in Amico Fragile, una delle sue canzoni più amate.

Una sintesi efficace della vita del cantautore, che il 18 febbraio avrebbe compiuto 78 anni, se nel 1999 un carcinoma non se lo fosse portato via, un mese prima di compiere 59 anni. Curioso il fatto che, proprio in questi mesi, De Andrè continui ad essere sulla bocca di tutti, per tutte le opere che recentemente si stanno ripromettendo di ricordarlo.

A partire dal cofanetto Tu che m’ascolti insegnami (Sony Music), raccolta uscita il 24 novembre e divisa in quattro cd, che ha lo scopo di “rivalorizzare il patrimonio” di Faber. E poi la fiction Il Principe Libero, interpretata da Luca Marinelli non senza qualche polemica: dopo un veloce passaggio al cinema, il film è arrivato su Rai1 ottenendo un grandissimo seguito. A dimostrazione del fatto che qualcosa del cantautore genovese è rimasto negli anni nel cuore e nella memoria degli italiani, in modo indelebile.

La figura umana del cantastorie e la sua capacità descrittiva hanno reso, col tempo, i suoi brani veri e propri inni, bandiere di una fetta specifica della società, le cui storie nessuno raccontava. “De André non è stato mai di moda. – dichiarò una volta Nicola Piovani – E infatti la moda, effimera per definizione, passa. Le canzoni di Fabrizio restano”: sarà per questo ruolo di “poeta degli sconfitti” (o “cantautore degli emarginati”) che, negli anni, lo ha reso un grande esempio di coraggio morale, di musica e parole che non sono mai soltanto musica e parole, ma fotografie di un’Italia in ginocchio, capace di amare e splendere al di là delle difficoltà.

Fabrizio De Andrè canta la trap