La cantante inaugura una nuova fase della propria carriera artistica con ‘Inferno’, singolo che apre la strada a un nuovo album nel quale promette di raccontarsi come mai prima d’ora. La nostra intervista.
Intervista di Emanuele Corbo
Sulla locandina che annuncia le due date evento a Napoli e Milano del prossimo 11 e 25 novembre ribattezzate Tatangeles, Anna Tatangelo gioca con un immaginario bellico e mitologico. Le ali sulle sue spalle fanno intendere che è pronta a prendere ancora una volta il volo con nuova musica, ma l’elmo ai suoi piedi è il segno di tante battaglie che l’hanno portata fino a qui. Il 16 maggio la cantante ha pubblicato per Artist First il singolo Inferno, viaggio notturno tra desiderio e disillusione che apre le porte a un nuovo capitolo nella sua carriera. La ragazza di periferia oggi si dice finalmente consapevole di non aver più nulla da dimostrare a nessuno, e nell’album di prossima pubblicazione è pronta a raccontarsi come mai prima d’ora.
Torni con Inferno, un titolo decisamente caldo. Che cosa volevi evocare?
«La passione, il desiderio, quegli elementi che soprattutto per una donna sono vitali. Questo singolo rappresenta una fase personale in cui sono molto più leggera. Sono più consapevole, ho voglia di prendermi meno sul serio e divertirmi».
Nella locandina di Tatangeles sei metà angelo e metà guerriera: perché questa scelta estetica?
«Ho sempre dovuto dimostrare molto, soprattutto nella mia carriera, forse perché tante cose venivano messe davanti alla mia musica. Nella vita ci sono esperienze che ti cambiano e ti formano. Devo dire che la mancanza di mia mamma ha tirato fuori la guerriera che è in me».
Vuol dire anche che ti sei sentita spesso in guerra e ora deponi le armi?
«Io oggi non ho più armi. Semplicemente da giovanissima mi sono trovata in situazioni particolari per cui la guerra era un po’ esterna, e inevitabilmente è diventata anche interna perché si sono creati vortici di irrequietezza che poi ho pagato».
Hai detto che ora canti con la gioia di sentirti libera. Di che cosa ti sei liberata?
«Del pregiudizio. Negli ultimi anni ho capito di poter dire con orgoglio che alcune mie canzoni sono rimaste nella mia storia e anche in quella della musica italiana. Ragazza di periferia è un cult e per me è una soddisfazione immensa, e così tanti altri brani. Vuol dire che qualcosa di bello l’ho fatto. Questo mi stimola a rimettermi in gioco e fare ancora meglio».
Il concetto di libertà è tornato più volte nel corso della tua carriera, nel 2015 ci hai intitolato persino un album (Libera, ndr). Questa volta ti ci senti davvero?
«Sono sotto i riflettori da quando avevo 15 anni. Oggi ne ho 38, un figlio di 15, tante esperienze alle spalle, 23 anni di carriera e inevitabilmente una consapevolezza diversa per cui mi sento veramente più libera. È come quando cantavo Essere una donna a 19 anni pur essendo ancora una piccola donna, anche se avevo già le idee molto chiare: sapevo di voler diventare mamma presto, mi ero presa le mie responsabilità su tante cose del mio privato, mi ero trasferita da sola da Sora a Roma… Ho fatto molti passi importanti nella mia vita da giovanissima, però oggi quando canto Essere una donna riesco a interpretarla meglio perché la sento ancora più mia».
Hai dichiarato anche di aver ritrovato la tua voce. Ti eri un po’ persa?
«Sicuramente la malattia di mia madre, durata 5 anni, mi ha destabilizzato ma mi ha anche dato modo di evolvermi e capire chi sono. Ho tenuto dentro il dolore senza poterlo esternare perché mi ero fatta carico di molte cose. Stavo sempre col sorriso ed ero quella che rassicurava un po’ tutti a casa. È stato un momento delicato della mia vita, però sono grata di aver fatto il possibile e di essere la donna che sono soprattutto grazie alla mia mamma e ai suoi insegnamenti».
Come ti sei rimessa in piedi?
«Ho fatto una fatica enorme. La psicoterapia mi ha aiutato tantissimo, così come la musica. Dopo è che è venuta a mancare mia madre avevo l’esigenza di chiudermi in studio. Ho pianto e ho tirato fuori tante cose. Non a caso l’album che uscirà è molto autobiografico e mostra varie facce di me, dalla più leggera a quella più riflessiva. È un disco in cui mi metto veramente a nudo, racconto tante cose che prima tenevo per me, e mi darebbe tanta pace interiore il poter dare voce a chiunque dovesse immedesimarsi in questi brani».
Che cosa puoi anticiparci?
«Una canzone s’intitola Stupida e parla di depressione, un’altra, Egoista, è dedicata a mio papà. L’ho perdonato, perché dopo la morte di mamma avevo la necessità di appoggiarmi a lui e ai miei fratelli, ma ho capito che ognuno ha il proprio modo di reagire al dolore».
Anche l’approccio al fare musica è diventato più libero?
«Assolutamente sì, non ho più peli sulla lingua. Ho capito che si può dire tutto con il giusto modo, senza offendere nessuno, ma è giusto che lo faccia per rispetto di me stessa».
Già con il precedente progetto avevi fatto un bel cambio di passo rispetto al passato. Vuol dire che stai spingendo ancora di più sulla verità?
«Sì, perché i testi per me sono fondamentali, oggi più di prima, e c’è un’evoluzione anche musicale. Ho tanta voglia di mettermi in gioco, di rispettare la ragazza di periferia musicalmente parlando ma di darle un vestito diverso, più contemporaneo. Ovviamente la scrittura un po’ è cambiata, ci sono strofe più strette metricamente rispetto ai ritornelli, però è fondamentale per me non snaturarmi. Chi ascolterà il disco avrà sempre la sensazione di non aver perso il motivo per cui aveva iniziato a seguirmi».
Quest’anno proprio Ragazza di periferia ha compiuto 20 anni. Stai pensando a dei festeggiamenti ad hoc? Magari una ristampa in vinile…
«Ci sto lavorando. Tra 2 anni compirò 40 anni e secondo me potrebbe essere il momento buono per festeggiare tante cose, compresi gli anni di carriera. Ci saranno tante sorprese».
Per ora sei concentrata sui due live di novembre: saranno finalmente gli show da popstar che tanti da te si aspettano?
«Ovvio (ride, ndr)!».
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Più volte in passato hai fatto dei passi in quella direzione, ma sono sembrati dei tentativi a metà. Forse non ti sentivi presa abbastanza sul serio?
«C’erano una pressione e un maschilismo molto importanti. Oggi è un po’ più facile osare, ma ai tempi parlare di omosessualità a Sanremo (si riferisce al brano Il mio amico del 2008), o fare un video come Occhio per occhio che mi è stato censurato perché avevo le autoreggenti, piuttosto che giocare con una copertina in cui avevo la schiena nuda non era così semplice.
Persone che lavoravano con me mi dicevano: O fai la ragazza della porta accanto o non la fai. Per me non è così, l’artista deve giocare. Rihanna, Beyoncé o chiunque altro possono fare pezzi struggenti e altri in cui si divertono con la propria immagine. Non capisco perché ai tempi ci fosse questa pressione, e forse ne ho pagato il prezzo».
Possiamo dire che c’è stato bisogno che Anna camminasse perché altre oggi corressero.
«Ricordo che quando feci la prima serata del Festival di Sanremo 2011 vestita da maschio per Bastardo molti uomini dissero: Come si è conciata?, Ridicola. Addetti ai lavori chiamarono il mio management dicendo: Vi rendete conto cosa state facendo?, costringendomi a indietreggiare».
Tornando al 2005 c’è una cosa che ti manca dell’Anna di quel periodo o qualcosa che oggi sei riuscita a perdonarle?
«Guardo quella ragazza e le dico: Brava. La pressione mediatica che ho subìto è stata pesante, ci si era dimenticati che ero piccola. La giustificazione: Sei un personaggio del mondo dello spettacolo non dava il diritto di fare quel è stato fatto. Ero pur sempre un essere umano. Oggi leggiamo di ragazzi che non escono di casa per qualche commento negativo sui social ed è una cosa di cui parlo tanto con mio figlio».
Che consigli gli dai?
«Gli dico che i social non sono la vita vera, di non fossilizzarsi sul commento negativo. Bisogna stare attenti, perché ora i ragazzi hanno fragilità ancora maggiori. Per fortuna abbiamo imparato a dare un nome a certi comportamenti e stati d’animo. Posso dire di essere fiera della ragazza che sono stata: oggi avrei le spalle per reagire, all’epoca ho fatto un passo indietro accumulando tensioni che ho pagato nel tempo, ma se mi hanno reso la donna che sono adesso allora sono grata e fiera di averle vissute».
La tua storia artistica è molto legata a Sanremo, ma senti che negli ultimi anni sia finita l’epoca di quel tipo di Festival a cui hai partecipato tante volte?
«Sanremo mi ha visto crescere in ogni tappa fondamentale della mia vita. La musica cambia e di conseguenza il Festival si è adattato. L’unica cosa su cui avrei da ridire è che nel momento in cui si decide di partecipare, al di là del genere di riferimento, bisogna rispettare la dimensione live. Niente contro l’autotune, ma al Festival si deve cantare».
In questi giorni abbiamo ricordato i 30 anni dalla morte di Mia Martini. È vero che Attimo x Attimo, canzone del tuo disco d’esordio, era stata scritta per lei?
«Sì!».
Come è arrivata tra le tue mani e che effetto fa sapere che nel tuo repertorio c’è un brano che era destinato a uno dei tuoi miti?
«Fio Zanotti, che aveva firmato il brano, all’epoca mi disse: Voglio farti sentire una canzone, dimmi se ti piace. Quando la sentii gli risposi che avremmo dovuto metterla per forza nel disco. A quel punto mi rivelò che era destinata a Mia Martini. Mi emozionai tantissimo, e la registrai in due soli take. Zanotti disse: Fermati, non la ricantare più, e capii che voleva tirare fuori da me la parte più viscerale ed emotiva anche grazie alle piccole imperfezioni. Attimo x attimo è una canzone che avrebbe esaltato tutte le caratteristiche vocali di Mia Martini, dall’estensione al timbro».
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Nel 2021 cantavi: Quel trucco è solo una corazza e insicurezza, Anna voleva solo una carezza. Quella carezza è arrivata, o hai imparato a fartela anche da sola ogni tanto?
«Ho imparato a carpirla. Quando hai i paraocchi e stai sulla difensiva, di alcune carezze non ti accorgi nemmeno. Oggi invece apprezzo ogni piccola cosa: da qualche anno ho iniziato la meditazione, leggo tanto sul tema della gratitudine e di cose che mi fanno stare bene. Se riesci a capire che la carezza può arrivare dalle piccole cose – e nel mio caso anche dal lavoro, perché sono fortunata a poter fare da anni ciò che amo – la trovi costantemente. L’essere mamma, poi, è sicuramente la carezza più grande».
Foto di Nicholas Fols