Con il brano ‘Balorda nostalgia’ il genovese Olly arriva per la seconda volta sul palco del Festival di Sanremo. Pronto a farci emozionare: la nostra intervista.
Ci sono momenti che riaffiorano all’improvviso, avvolti da quella luce soffusa della memoria che scalda e punge allo stesso tempo. È la nostalgia, sentimento capace di trascinarci indietro, dove vorremmo restare ancora un po’, pur sapendo che il tempo non concede repliche. Proprio lì si annida la Balorda nostalgia che Olly si prepara a condividere sul palco del Festival di Sanremo 2025, portando la sua voce e il suo vissuto in una ballad intensa e personale.
Scritta dallo stesso Olly con Pierfrancesco Pasini e JVLI (anche produttore del brano), la canzone è un viaggio emotivo tra le pieghe dei ricordi, un inno a quei momenti che, pur lontani, restano incisi nell’anima come istantanee di vita vissuta. Con un arrangiamento che fonde la delicatezza di chitarre acustiche e pianoforte, il brano rappresenta un’evoluzione naturale del percorso artistico del cantautore, che dopo il successo di ‘Tutta Vita’ continua a sperimentare, raccontando la sua generazione con autenticità e poesia.
Quando è nata Balorda nostalgia e come mai la scelta di Sanremo in un momento già così intenso della tua carriera?
Questa canzone è nata praticamente in chiusura del disco ‘Tutta Vita’ e, per una questione prettamente di tempi, non fa parte della tracklist. Direi per fortuna, perché così l’abbiamo presentata a Sanremo. In merito alla mia partecipazione al festival ammetto che ci ho fatto un po’ di pugni perché non era nei miei piani. Non che fossi contrario, ma proprio non pensavo di andarci. Poi è nata questa canzone e, per me, la musica deve sempre comandare nel mio mondo, quindi ci è venuta voglia di proporla al Festival di Sanremo.
Addirittura farci a pugni?
Sì, dico che ci ho fatto pugni perché ho cambiato un po’ di cose nel corso della stesura di questo brano, essendo una storia molto personale. Più di altre volte in cui ho detto apertamente di aver raccontato storie non sempre mie, ma anche di persone a me vicine. Questa, invece, è una storia mia. Ho dovuto ovviamente fare i conti con me stesso e capire cosa volevo raccontare e cosa no, ma soprattutto scegliere le parole con cui volevo raccontarlo.
Alla fine, credo di aver trovato la quadra giusta in questo brano, che presenta diversi momenti: c’è la parte parlata, quella più discorsiva; c’è la parte più introspettiva; e c’è la parte più viva, intera, gridata, orlata. C’è un po’ di tutto, di me, ovviamente. Sarà una canzone da ‘vene sul collo’, nel senso che non è una canzone in cui vado a fare la gara del belcanto. Mi sento di aver fatto dei progressi con la voce, e nel tour me ne sono accorto. Mi ha dato molta consapevolezza da questo punto di vista. Però sarà una gara con me stesso per andare a chiudere un bel cerchio e aprirne chissà quanti altri, uno alla volta.
Quale cerchio si chiude?
È stato un anno intensissimo, anzi un anno e mezzo (ma io ce ne metto dentro anche tre), perché da quando sono arrivato a Milano non mi fermo mai. In questo periodo c’è stato ‘Gira il mondo gira’, il mio primo album ufficiale; c’è stata tanta scrittura e tante fasi, sia di vita personale che di lavoro, che sono state anche critiche. Per tanto tempo ho ritenuto fosse troppo presto per affrontar di nuovo Sanremo. Ma, a questo punto, credo fermamente che sia giusto andarci con la convinzione con cui mi sto preparando e alla luce delle prove che abbiamo fatto. Sto portando non solo il mio lavoro, ma il lavoro di un sacco di persone per raccogliere tutto quello che abbiamo seminato negli anni scorsi, comprese le delusioni e le grandissime soddisfazioni.
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E questo sentimento nostalgico, che non esclude però un lato positivo, da dove ti arriva?
Devo un po’ mentire a me stesso, perché di base non sono particolarmente ottimista sul futuro, soprattutto quando si tratta di relazioni. Faccio molta fatica e la musica è l’unico modo in cui riesco a parlarne, ad argomentare, a dialogare con me stesso; lo strumento con cui spesso racconto quello che vorrei che fosse, non quello che è. In Balorda nostalgia canto una mia storia, vera, che è parte di una storia più grande ma in cui la parte negativa è stata così pesante che volevo lasciarmela alle spalle. Volevo ricordarmi solo la parte bella, tanto non è mai solo rose e fiori, giusto? È sempre tutta vita.
Riso e pianto.
Guarda, ero scettico all’inizio, soprattutto sul ritornello, perché poteva suonare in stile sole, cuore, amore… . Però sto capendo negli anni che 2 più 2, soprattutto in amore, fa 5. C’è un po’ di tutto: si ride, si piange e ci sono tutte le sfumature in mezzo. Si ride fingendo di ridere, si piange volendo urlare. Mi piaceva, alla fine, utilizzare due parole così semplici, mettendo in conto che potessero anche essere scambiate per banali. Ma per me c’è una differenza enorme tra ciò che è semplice e ciò che è banale. È in questa canzone c’è anche una dose di rabbia.
Come hai lavorato allora dal punto di vista testuale per dare al pezzo la forma che sentivi più giusta? E quale investimento emotivo rappresenta per te portarlo su un palco così esposto?
Rispondo prima alla seconda domanda. Portare le canzoni live, indipendentemente dalla grandezza del palco, è sempre molto intenso. Che abbia davanti 10 persone o 3 milioni, per me non fa differenza: la sentirò comunque tantissimo. Per quanto riguarda la scrittura del brano, in realtà, all’inizio è venuto fuori in modo molto fluido, ma poi ho voluto scegliere con attenzione le parole e i momenti giusti. Nel brano ci sono diverse sfumature, perché volevo che, in quel poco tempo a disposizione sul palco dell’Ariston, potessi mostrare il più possibile di me. Essendo una storia vera e viva, avevo modo di raccontare un ampio spettro di emozioni con approcci molto diversi tra loro. Spero di aver fatto il possibile.
Il tuo pubblico si sta allargando sempre di più, soprattutto tra i tuoi coetanei. In che modo pensi che il tuo linguaggio raggiunga e rappresenti i giovani?
La verità è io mi sento completamente fuori, per certi versi, dalla mia generazione. Spesso si scherza sul fatto che sia “vecchio dentro” e non mi sento di dissentire. Credo che a volti la spensieratezza passi per stupidità ma credo che si tratti soprattutto di una scelta di spensieratezza. Poter decidere di parlare di una cosa in un modo piuttosto che in un altro è una libertà che mi sento di tenermi stretta.
Probabilmente credo di rappresentare la mia generazione più con la mia costanza che con le canzoni che scrivo. Conta, cioè, il fatto che continuo a scriverle e l’averci creduto anche quando ci credevo solo io. Spesso a chi mi ferma per strada chiedo “ma tu, cosa vuoi fare nella vita?”. E su dieci persone a cui lo chiedo, in sei lo sanno già o hanno già un’idea. Poi c’è chi mi dice “Boh, non lo so”, e lì realizzo la fortuna che ho avuto nell’aver trovato presto quello che mi piace fare, insieme alla consapevolezza e la forza di volerci credere fino in fondo.
Nella serata cover, sarai sul palco con Goran Bregović e la Wedding & Funeral Band sulle note de Il pescatore. Quanto Fabrizio De André ha segnato i tuoi ascolti?
Tantissimo e la scelta del brano ne è una conseguenza. Credo che la prima volta che abbiamo portato in tour Il Pescatore fosse proprio a Genova nel 2023; da allora continuiamo a cantarla live e resta uno dei momenti più belli del concerto, per quanto possa essere divisiva. Ti ritrovi tra chi dice “Che bello che De André lo cantino i ragazzi giovani” e chi dice “ma come si permette?”… è la storia più vecchia del mondo. Quando ci siamo ritrovati a dover scegliere cosa fare per il duetto del venerdì ho sondato un po’ di opzioni che mi piacevano a priori, a partire da A mano a mano di Rino Gaetano.
Ho provato anche a fare una versione personale di quel brano, mettendoci qualcosa di mio, ma poi sono tornato sui miei passi. E sono tornato alle mie origini per avere maggiore continuità, permettendoci anche di avere un arrangiamento che fosse opposto a quello di Balorda nostalgia. Non perché volessi far vedere altro a tutti i costi, ma perché io mi sento anche altro. Ed era giusto, in qualche modo, equilibrare. Avevo proprio voglia di far vedere tutto, come se questo momento di Sanremo fosse un intermezzo tra quello che è il tour di dicembre e quello che sarà il tour di maggio, e vivermelo come se fosse un mio concerto. Poi ovviamente… lavorare all’arrangiamento con un maestro come Bregović è stato emozionante.
Hai un album stabile in Top Ten da quando è uscito. Questo ti dà conferma del percorso che hai fatto finora, quindi vai a Sanremo abbastanza sereno, o ti crea il pensiero di dover rispondere a delle aspettative?
Un po’ tutte e due le cose, dai, sarò onesto, sarò trasparente. Vorrei dirti “no, non mi tocca, non mi tange”, ma in realtà ovviamente in me c’è un senso di responsabilità. Nei miei confronti, nei confronti di chi lavora con me, di mantenere l’asticella sempre alta. Allo stesso tempo, non ho mai fatto canzoni pensando ai risultati che devono portare, e lì farei l’errore.
Se io iniziassi a scrivere il prossimo disco pensando “questa canzone non è all’altezza di Devastante” sarei un coglione. Perché puntualmente ad ogni disco che ho fatto, ho pensato di aver scritto le canzoni migliori che potevo scrivere in quel momento. E puntualmente scrivo canzoni che mi piacciono di più o in modo diverso. E la prova è nel fatto che io continuo a cantare Paranoie, che ho scritto a 17 anni a Genova. Oggi è ancora importantissima nei miei concerti, e finché non farò gli stadi, anzi, anche quando farò gli stadi, la porterò.
In generale, direi che sono consapevole di essere bravo a scrivere, di essere mezzo bravo a cantare e di sapermi comportare, ma allo stesso tempo è un insieme di cose. C’è stata anche la botta di fortuna, la forza di non mollare mai anche quando mi ripetevano di lasciar stare. Credo che un momento come questo non mi ricapiterà però potrebbe capitare di mantenere o di andare sempre meglio. La gente mi sta conoscendo, me ne rendo conto, e proprio per questo è un momento molto delicato, perché bisogna riuscire a mantenere la propria persona, i propri perni. Se ti fai conoscere dalla gente in n modo sbagliato e tira il vento storto, è finita. Quindi il mio impegno, lo dico sempre, in questo momento storico della mia vita, è mantenere la mia lucidità. Tutto il resto viene da sé.
Ma stai mettendo la testa a posto?
L’impegno c’è. A mangiar bene, allenarmi, cercare di fumare meno ma l’avrò detto anche dieci interviste fa anche e non ci sto ancora riuscendo del tutto. Faccio un esempio: il tour, per me, era una fonte di preoccupazione folle, perché dovevo riuscire a mantenere due ore di concerto in una condizione fisica e vocale non al cento per cento. Ero spaventato e mi chiedevo se ce l’avrei fatta a non saltare mezza data, a non cantare male.
Le volte in cui sono uscito che mi sono sentito all’80% invece che al 100%, sono state due. Ero incazzato come una pantera però non ho preso il cortisone fino all’ultima data. E questo per me è stato proprio come dire ‘bravo’, mi sono stretto la mano da solo. E ho capito che a maggio devo arrivare in una condizione fisica diversa e con una testa diversa: sono solito a fare festa con i miei amici quando si finisce di cantare ma dovrò iniziare a farlo un po’ di meno.
A proposito di tour, in autunno farai i tuoi primi palazzetti.
È un’opportunità importante, diversa da suonare in club, che resta probabilmente la mia realtà preferita. Sai cosa mi spaventa? Quei 2-3 metri di distanza dalla gente, onestamente. È lì la mia guerra, perché io sul palco mi sento a mio agio, tra la gente mi sento a mio agio… ma quello spazio per gli alligatori attorno al castello mi fa paura, perché mi leva la fisicità. Però anche lì, tornando al discorso di prima, il mio lavoro sarà permettermi di arrivare lucido e nella condizione psico-fisica adatta per affrontare questa cosa come un atleta, perché voglio spaccare. Senza togliere quella quota di vita vera. Voglio che ci sia verità e il concerto deve essere un posto in cui la gente non pensa più a niente.
Tornerai soddisfatto da Sanremo se…
Tornerò soddisfatto da Sanremo se mi sarò divertito e se comunque sarà andata bene. Non voglio fare l’ipocrita: voglio che vada bene. Non necessariamente solo durante la settimana del Festival, ma soprattutto che la canzone arrivi alla gente che ne ha bisogno.
Immagini da Ufficio Stampa