Prima volta al Festival di Sanremo per Bresh che porta sul palco il brano ‘La tana del granchio’ con cui si ripromette di “far uscire le sue chele”. L’intervista.
Tra le quote genovesi del Festival di Sanremo 2025 c’è Bresh, al suo debutto sul palco del Teatro Ariston con il brano La tana del granchio. Un brano intima che, come spiega lo stesso cantautore, è “rappresenta me stesso, con tutte le mie contraddizioni e difficoltà nell’esprimere certe sensazioni, certe emozioni, indipendentemente dall’interlocutore. È il mio lato più profondo e intimo perché la difficoltà di esprimermi, di ‘far uscire il granchio’ con le sue chele, non riguarda solo l’amore. Ma ogni aspetto della vita: i rapporti lavorativi, quelli sociali, le amicizie. È qualcosa che comprende tutto”.
Il tuo nome è stato tra i papabili per Sanremo già in altre edizioni. Ti chiedo: era stato davvero così? E questa è l’edizione giusta per te?
Se il film è già scritto, allora sì, questa è quella giusta. Le altre volte non c’era la stessa solidità nella scelta, e quindi non è andata. Ringrazio il destino, e anche chi mi ha detto di no, perché oggi sono qui. In passato ho inviato altri brani ma in modo un po’ svogliato se vogliamo. Mandavo i pezzi all’ultimo, delle demo poco curate, quasi come se mi auto-sabotassi. Ora capisco che era giusto così. Ringrazio il cielo, perché il film deve andare avanti.
Ti senti pronto?
Sì. Quel che vedrete sul palco è proprio l’Andrea di oggi. Ho capito che la mia voglia di essere genuino, di percorrere solo quella strada, ha portato gli altri a guardarmi con più dolcezza. Non siamo più abituati a vedere cose genuine e spontanee, ed è strano, perché a volte sembrano quasi retoriche o propagandistiche. Ma per me non è così. Io ci credo davvero.
Ti sei preso del tempo per scrivere. Oggi non è facile farlo, considerando che venivi da un disco importante e da un tour altrettanto significativo.
Sì, perché volevo che la mia musica seguisse il mio ritmo, non quello del mercato. Ho capito che il mio percorso musicale non deve essere dettato dalle dinamiche generali, e spero di averlo trasmesso ai miei fan. Devo dire che ho ricevuto una bellissima risposta: siamo al raddoppio del Forum di Assago. Dopo tre anni senza un’uscita ufficiale, significa che qualcosa ho lasciato, e questo mi ha dato forza.
Ho scritto tanto, anche subito dopo l’ultimo disco, ma volevo che questo nuovo lavoro rappresentasse la fine di un periodo, non l’inizio. Per questo ho scelto di prendermi il mio tempo. Adesso, però, ho davvero tanta voglia di uscire, tantissima.
C’è qualcosa che, in particolare, ti fa paura di questa sovraesposizione?
Beh sì, diciamo che alla fine si va in trincea, si va a lottare. Il caschetto, l’elmetto, tanti proiettili… insomma, si entra in battaglia. Sai, a volte si può apparire antipatici perché alcuni argomenti vengono trattati con una certa superficialità, e ci sono domande a cui devi rispondere subito, senza il tempo di riflettere. Conoscere davvero qualcuno richiede tempo. Io quello che posso fare è restare sempre me stesso e andare avanti così.
Com’è andata intanto con l’orchestra?
Molto bene! Ci sono tanti giovani, ragazzi simpatici, alcuni addirittura già fan, persone che mi conoscevano. E poi anche molti genovesi… quindi sì, alla grande, mi sono sentito a casa.
E questo è un Sanremo è anche all’insegna dell’amicizia: ritrovi Mirko (Rkomi) in gara con cui hai abitato a Milano per qualche tempo.
È stata un’esperienza bellissima. La prima volta che mi sono trasferito a Milano, sono andato a vivere a casa di Mirko. Io, Mario (Tedua, ndr) e la mia squadra avevamo sempre sognato di trasferirci in un’altra città, ma prima dovevo finire la scuola. Ho detto: “Arriviamo in quinta, e finiamola”, quindi sono rimasto fino ai 19 anni. Mario, che è due anni più grande di me, si era già trasferito l’anno prima.
Quando è partito, gli ho detto: “Ragazzi, arrivo anch’io!”, senza sapere tutto quello che sarebbe successo nel 2016, la svolta musicale che loro hanno dato all’Italia. Così, nell’ottobre del 2015, appena finita l’estate, sono arrivato a Milano. Ho trovato subito lavoro in un negozio di scarpe e ho dormito a casa di Mirko per un mese, in zona Calvairate.
Avevamo orari di lavoro diversi, quindi la mattina ci svegliavamo in silenzio per non disturbare, e la sera ci rilassavamo guardando YouTube. Mirko mi ha dato casa, posso dirlo. Dopo un mese, ci siamo trasferiti in una casa più grande, vicino a Piazza Ovidio, nella storica via Attilio Regolo. Con Rkomi ho un rapporto fraterno. Abbiamo condiviso tanto, passato momenti difficili. La casa era diventata una sorta di base per tutti i genovesi che arrivavano, e non solo. Io cucinavo spesso: preparavo queste enormi pentole di riso bianco per tutti. Come il cuoco di una nave che serve l’equipaggio.
A Bogliasco finalmente ti vedono in televisione!
Sanremo serve anche a questo: far capire a mia zia che faccio il cantante! [Ride]. No, comunque avendo il bar, alla fine l’hanno capito bene… anche grazie ai pellegrinaggi dei fan! Per loro è un orgoglio, e io ci tengo tanto, anche se sono poco presente. La loro felicità è importante per me: se loro non sono sereni, non lo sono neanche io. In questo senso, Sanremo è anche per loro. È strano da dire, ma è la verità.
Sei tornato a casa di recente?
Ogni tanto sì, certo! Ci mancherebbe altro. Siamo una famiglia molto unita, nonostante le tante differenze tra di noi. Siamo un mix di personalità completamente diverse. Quando torno, mi diverto sempre. Loro sono rimasti i soliti… forse cambiano più loro nel guardare me che io nel guardare loro. Ogni tanto mi vedono dopo mesi e mi trattano in modo un po’ diverso, meno come il “pivellino” della famiglia. Io ero il più piccolo, poi è arrivato mio cugino… ma sì, torniamo sempre noi stessi alla fine.
Viaggiare, spostarsi, continua a essere nel tuo DNA. Quanto e quando ne senti il bisogno?
Mi sento sempre un po’ un Ulisse, perché il viaggio è ciò che mi crea curiosità e fame, ed è il miglior carburante per l’anima e per lo spirito. È una delle cose che mi piace fare di più e che mi fa sentire vivo. Sai, a un certo punto, quando fai sempre le stesse cose, mantenere viva la propria personalità diventa difficile. Per questo i viaggi per me sono fondamentali: mi aiutano anche a sfuggire un po’ dall’hype. Non che ne abbia a caterve, ma nel mio piccolo cerco sempre di sottrarmi a quel meccanismo che nasce e muore in fretta. Invece, i viaggi rimangono, restano ben saldi nella mia memoria e nel mio cuore.
Per esempio, quando è uscito Guasto d’amore, subito dopo il lancio, sono partito. A discapito dell’ufficio stampa e del mio management. Sono rimasto un mese in Sud America e ho girato Argentina, Bolivia, Patagonia. Avevo bisogno di godermi la vita senza contaminazioni esterne, senza farmi influenzare dal momento di ascesa.
Andare a Sanremo in modo genuino, non come un personaggio. Effettivamente, per chi ti conosce, ascoltando il tuo brano si ritrovano le tue radici, la tua storia, il tuo modo di scrivere. Un “universo Bresh” che si conferma anche alla scelta della cover: ce la racconti?
Sì, il mio approccio a Sanremo è quello di considerarlo una grande tappa, non un traguardo finale. Per me andarci significa farlo con autenticità, mettendo un passo dopo l’altro, proprio come si fa sulle creuza. Se fai il passo più lungo della gamba, inciampi. Bisogna stare attenti, soprattutto su un percorso insidioso e scivoloso come quello di Sanremo, che è pieno di luci, ma può anche essere solo un fuoco di paglia. Bisogna evitare di farsi troppo abbagliare e procedere con lucidità, un po’ anche con i paraocchi.
La scelta della cover rappresenta proprio questo cerchio che si chiude. Creuza de ma è il mio porto sicuro, quattro minuti e mezzo di pura felicità per me, perché mi riporta alle mie radici, ai sapori e agli odori della mia terra. Ed è anche una canzone stupenda, eterea, eterna. È una canzone che non appartiene solo alla lingua genovese, ma a tutto il Mediterraneo. E questa idea si sposa anche con il progetto che uscirà quest’anno. Poter duettare, poi, con Cristiano De André è una soddisfazione immensa, la cosa più bella che potessi desiderare. Ho lottato per poterla portare sul palco e ce l’ho fatta.
De André unisce te e un altro concorrente in gara, Olly, che tra l’altro è anche ligure come te. Avete avuto modo di sentirvi?
Assolutamente sì! Conosco Olly da un po’. Mi ricordo di lui sotto il palco ai miei concerti, tantissimo tempo fa. Ci siamo fatti i complimenti a vicenda. E poi, vedere tutta questa Genova che spacca – Olly, Alfa, noi liguri in generale – è una figata immensa! Poi c’è Mario. Mettiamo la bandiera!
Come è entrata la musica nella tua vita?
Più o meno come dicevamo prima: è stata un’esigenza di esprimermi. Quando entri nell’adolescenza, scatta quella fame di ribellione, quel bisogno di comunicare ciò che senti, e ti illudi che al mondo possa interessare. Poi, a volte, succede davvero che qualcuno si interessi. Così ho iniziato a scrivere, a pubblicare brani. La musica è entrata nella mia vita attraverso gli ascolti in macchina, ma anche grazie ai cartoni Disney. È inutile negarlo: siamo una generazione cresciuta davanti alla TV, immersi in mondi fiabeschi, pieni di avventura. E quel tipo di immaginario mi ha sicuramente ispirato.
Hai mai imparato a suonare uno strumento?
No, e questo è il mio grande rimpianto. So fare qualche accordo con la chitarra, ma malissimo. Non mi sono mai impegnato seriamente, non ho mai preso lezioni. Questo è forse il mio più grande pentimento: non saper suonare bene uno strumento. Forse sono ancora in tempo, ma imparare da adulti è più complicato. Ci proverò.
Il prossimo viaggio dei sogni?
Come dicevo i viaggi per me sono fondamentali, entrano nella mia ispirazione musicale tanto quanto nella mia vita reale. Io cerco sempre di mettere la vita davanti alla musica, così poi non devo raccontare solo di essere un cantante. Voglio essere un uomo che racconta di sé, non solo di essere un artista… anche se poi, inevitabilmente, lo sono. Il prossimo viaggio che vorrei fare? Un viaggio a cavallo in Cappadocia, di qualche giorno. Sai, di quelli dove selli il cavallo la mattina, ti sposti da una tappa all’altra, dormi in tenda, accendi il fuoco la sera… un po’ stile cowboy, però in Cappadocia! Quel paesaggio è incredibile. Dopo essere stato in Patagonia, ho capito che certi scenari vanno vissuti a cavallo: ti fanno davvero entrare in un film Disney.
Come sarà il videoclip de La tana del granchio?
Essendo un brano molto cinematografico mi sarebbe piaciuto fare un video con questo approccio… sarebbe stato interessante, ma per rendere giustizia alle suggestioni della canzone serviva un budget enorme… serviva la Disney! [Ride]. Quindi abbiamo fatto una scelta diversa: un video molto semplice, ma molto espressivo. Secondo me, ha comunque un forte impatto, è quasi magnetico. E sono davvero contento del risultato.
Tornerai da Sanremo soddisfatto se…
Guarda, io sono già soddisfatto. La vera gratificazione, al di là del festival, me la daranno l’album e il tour, che sta già andando molto bene. Quelle sono le soddisfazioni che rimangono davvero. Sanremo, per quanto sia un’esperienza straordinaria, dura una settimana, e l’anno dopo ce n’è subito un altro: è un “chiodo scaccia chiodo” continuo. E sarò soddisfatto se farò una buona performance, se non steccherò, se non farò strillate strane.
Foto di Andrea Bianchera da Ufficio Stampa