Dimenticate l’artista dei precedenti Festival di Sanremo. All’Ariston nel 2025, Achille Lauro porta sul palco ‘Incoscienti giovani’ ed è “semplicemente Lauro”. L’intervista.
Rolls Royce (2019), Me ne frego (2020), Domenica (2022) e ora Incoscienti giovani. Nel 2025 Achille Lauro torna a Sanremo per la qua quarta volta in gara, dopo essere stato super ospite fisso con i suoi Quadri nel 2021. Ma se il Senato dell’Ariston pensa di potersi aspettare già qualcosa sulla scia delle precedenti esibizioni, beh, rimarrà sorpreso. Oggi il cantautore romano compie una nuova trasformazione, liberandosi di drappi e costumi e vestendosi di un’eleganza senza tempo priva di orpelli estetici. E diventa solo Lauro, con una ballad emozionale ispirata a una storia vera.
Riannodiamo i fili del tuo percorso artistico?
In effetti è dal 2021-22 che non pubblico un album, ma in questi anni ho lavorato molto sulla musica, cercando di definire la mia vera identità. Nonostante mi sia divertito a sperimentare con generi e spettacoli diversi, pubblicando tanta musica variegata, ho sentito il bisogno di approfondire ulteriormente il mio percorso artistico. Nel 2020 è uscito ‘1969’, probabilmente uno dei miei album più importanti, ispirato al rock anni ‘70. È stato un primo grande passo verso un cambiamento significativo, sia per me che, in parte, per il mainstream. Poi, in sequenza, sono arrivati tre dischi: ‘1969’, ‘1990’ e ‘1920’, ripercorrendo musicalmente l’ultimo secolo. Fino a oggi ho seguito questa filosofia: ogni album è stato diverso dal precedente, ogni canzone ha avuto una sua identità unica.
Serve coraggio per muoversi su strade molto diverse tra loro.
Non ho mai avuto paura di perdere il mio pubblico anche perché credo che in studio sia fondamentale premiare sempre la creatività e la spontaneità. E sinceramente credo di aver scritto alcune delle canzoni più belle della mia carriera fino ad oggi. Ho trovato un’identità musicale che porterò avanti, pur continuando a sperimentare. Ora ho capito dove voglio andare e, soprattutto, cosa mi piace davvero. Sono cresciuto con il grande cantautorato italiano, in particolare quello romano. A 14 anni, a Roma, ascoltavamo principalmente questo e poco altro. La musica che sto producendo oggi rilegge un po’ quel mondo, quello degli anni ‘70, ‘80 e ‘90, le canzoni che facevano da colonna sonora ai viaggi al mare con i genitori. Il nuovo album rifletterà questa atmosfera e richiama la maturità di Amore disperato e di Incoscienti giovani.
In questo tuo percorso di ricerca, Sanremo che palco è stato per te?
Ho fatto tante esperienze su quel palco. Nel 2019 con Rolls Royce, nel 2020 con Me ne frego, nel 2021 come super ospite per tutte e cinque le serate. Poi di nuovo in gara e ancora una volta come ospite speciale. Però quest’anno sarà un Sanremo diverso. Anche se in passato ho sempre portato la mia identità senza compromessi, ricordo che nel 2019, una settimana dopo, parlando con la mia squadra dissi: ‘Ragazzi, abbiamo sbagliato tutto. Siamo stati col freno tirato! Dobbiamo fare quello che facciamo nei concerti’. Così, dal 2020, ho iniziato a vedere Sanremo come uno spettacolo dentro lo spettacolo.
Sono orgoglioso di aver partecipato al cambiamento del pop mainstream e del format del Festival, insieme a grandi artisti e professionisti come Claudio Baglioni e Amadeus, che hanno contribuito a rendere Sanremo il grande palco che è oggi. Quest’anno ci torno con uno spirito diverso, perché questa canzone merita un grande palco. Spesso mi è stato detto che il mio obiettivo fosse stupire il pubblico, ma la verità è che ho sempre cercato di stupire me stesso, di portare la mia musica e il mio spettacolo a un livello più alto. Mi sono sempre ispirato ai grandi spettacoli internazionali, alle rockstar leggendarie, curando ogni dettaglio, dai costumi alle performance. Sanremo per me è sempre stato un’opportunità per spingermi oltre, per crescere e per condividere qualcosa di autentico.
Ti prepari a incontrare il ‘Senato’ dell’Ariston, un pubblico che ti conosce già e che forse pensa di sapere cosa aspettarsi da te. Che volto presenti quest’anno?
Torno al festival, signore e signori! Presento una faccia che non immaginano, presento semplicemente Lauro. Questa canzone meritava quel palco. È un brano che si rifà a un’epoca che ormai non esiste più.
Chi sono gli Incoscienti giovani di cui canti e quanto lo sei stato o lo sei ancora?
Spero di essere per sempre un incosciente giovane. Sono le persone che, in qualche modo, hanno bisogno d’amore, che si sono sentite amate o non amate. Sai, le mie canzoni si rifanno molto alla mia storia, perché per me è più facile rubare dalla realtà che inventare storie. Questa canzone, in particolare, parla di noi ma attraverso la storia di una bambina. Una bambina che può essere letta come il mio grande amore, come mia madre o persino come me stesso. Sono storie molto vicine tra loro. Racconta un amore cinico, incosciente, il bisogno di sentirsi amati. Alla fine, l’amore e il non-amore sono i motori dell’arte da secoli. Anzi, forse è proprio il non-amore a ispirare di più.
Quando è nato il brano?
Ho scritto le prime parole e i primi accordi al pianoforte un paio di anni fa, e ho capito subito che aveva qualcosa di speciale. Non ho la presunzione di piacere a tutti, ma questo brano si rifà alle grandi canzoni con cui siamo cresciuti, ai grandi cantautori italiani. Come molti dei miei pezzi, parla della mia storia. È una dedica ai giovani cresciuti ai bordi del raccordo, ai ragazzi che hanno vissuto un’infanzia simile alla mia. La cosa bella delle canzoni, poi, è che ognuno le può interpretare a modo suo.
Per la performance stai preparando qualcosa di particolare sul piano visuale?
Il racconto visivo rifletterà esattamente ciò che è la canzone e ciò che sono oggi. Abbiamo reinterpretato un concetto di eleganza che appartiene profondamente alla nostra cultura italiana. Viaggiando tanto, mi sono reso conto di quanto il nostro popolo sia immerso nella bellezza, anche senza rendersene conto. Siamo un popolo di pensatori, filosofi ed esteti, abbiamo 2000 anni di storia e conosciamo il valore del bello in senso ampio, non solo estetico. Questo Sanremo sarà esattamente questo: un’immagine autentica di ciò che sono.
Per la serata cover, invece, condividerai il palco con Elodie sulle note di A mano a mano di Riccardo Cocciante e Folle città di Loredana Berté.
Il brano e la cover rappresentano un grande omaggio a Roma, alla mia città. La serata dei duetti sarà per me un momento speciale anche perché sono anni che desideravo duettare con Elodie, sia per la sua storia sia per le nostre origini così vicine. Siamo molto simili nel modo in cui viviamo le canzoni. Quello che amo di Elodie è che non è solo una cantante, ma un’artista che sente e vive profondamente ciò che interpreta. Ha quel dramma romano tipico di chi è cresciuto nelle periferie di Roma, un dramma poetico che porta dentro di sé. Il duetto è un omaggio a Roma, una città che mostra molteplici volti.
Ho proposto A mano a mano perché sono cresciuto tra Monte Sacro e San Basilio, dove Rino Gaetano è venuto a mancare. Ogni anno si celebra la sua ricorrenza, e per me questa canzone è diventata un simbolo della mia adolescenza. Spesso, quando si fanno delle cover, si tende a emulare l’originale invece la nostra versione è interpretata in modo spontaneo, personale, autentico.
Elodie, invece, ha proposto Folle città. Il titolo mi ha colpito subito, per vari motivi. Primo, perché è una canzone ricercata, non un grande successo mainstream. Poi, perché racconta perfettamente il rapporto viscerale che si ha con Roma: una città folle, di cui ci si innamora perdutamente e dalla quale è impossibile allontanarsi, sia fisicamente che mentalmente.
Sei un artista che ha sempre saputo prendersi il suo tempo. Quando hai sentito il bisogno di accelerare, lo hai fatto e hai anche sorpassato; quando hai rallentato, non hai avuto paura. Quanto è importante seguire il proprio tempo per conservare il lato più artigianale di un’industria che corre come quella discografica?
Per me le grandi cose hanno bisogno di tempo. Le grandi canzoni hanno bisogno di nascere, e per scriverle bisogna vivere. La rincorsa al mercato ha poco senso, almeno per me o, meglio, può avere senso per la musica d’intrattenimento, confezionata, non certo per la mia. Se fosse solo intrattenimento, probabilmente perderei anche la voglia di farlo.
Io scrivo perché sono innamorato della scrittura e della musica, e lo faccio da quando ho dieci anni. Sono stato tanto negli Stati Uniti e mi sono chiesto: “Come è successo tutto questo? Perché sono qui?”. La risposta è sempre la stessa: l’esigenza estrema di dire qualcosa, di fermare uno stato d’animo su un foglio. Alla fine, le canzoni servono a questo: a bloccare un’emozione nel tempo, a poterla riascoltare, riguardare ogni tanto. È questa la forza della canzone: non sto dando solo musica, ma trasmettendo un sentimento forte. E per avere sentimenti forti bisogna vivere, prendersi il proprio tempo.
Il fatto di essere spesso all’estero ti fa guardare all’Italia e alla tua Roma con occhi diversi?
Sì, mi fa guardare tutto con uno sguardo diverso. La mia città, da dove sono partito, dove sono adesso, le persone che sono state importanti nella mia vita, perché è successo tutto questo, il percorso che mi ha portato fino a qui. Vedersi da fuori è fondamentale. E stare all’estero mi riporta veramente come agli inizi.
Ti sei sempre mosso tra diverse forme artistiche: la scrittura in prosa, i versi delle canzoni, l’arte visiva, il digitale. Come si incontrano questi linguaggi? Quando hai un’idea, sai già quale sarà la sua forma finale?
Allora, l’idea è muta e in continua evoluzione. Le idee migliori arrivano due minuti prima della pubblicazione di un’opera. È una ricerca ossessiva e continua di qualcosa, per andare oltre le potenzialità, oltre a quello che servirebbe. Io sono fatto così, sono un nerd della rincorsa alle idee, un nerd della creatività. Amo vivere di notte, amo quel momento magico in cui le idee nascono. Non c’è niente di più bello.
E la musica è incredibile perché puoi entrare in studio senza nulla e dopo due ore avere qualcosa che ti cambia la vita. Ci sono tanti lavori creativi, ma pensa a quanto tempo serve per realizzare un film: la musica, invece, è immediata e magica. In poche ore puoi toccarla con mano. È adrenalina pura, incredibile.
Il 2025 sarà per te un anno importante anche sul piano dei live: cosa stai preparando?
Per quanto riguarda il progetto live, il pubblico ha già assistito a due grandi anteprime nei palazzetti di Roma e Milano a ottobre. Sono stati due eventi speciali, un regalo per chi mi segue fin dal primo giorno. Da questo momento inizia un nuovo percorso live, con le canzoni del nuovo album. È un progetto che spero ci porterà presto a realizzare quello di cui parlo da anni, un vero e proprio tour negli Stati Uniti. So che è quello che dobbiamo fare e spero, grazie alla mia squadra, di riuscire a espandere il progetto a livello internazionale. Oggi stiamo anche avviando un altro progetto importante: la Fondazione Ragazzi Madre, con cui aiuteremo ragazzi in difficoltà. È giusto restituire qualcosa.
E intanto è doppietta al Circo Massimo di Roma il 29 giugno e 1° luglio.
Sarà un evento incredibile, di cui abbiamo annunciato anche una seconda data. È un traguardo enorme per me. Ma stiamo lavorando all’annuncio imminente di un tour nei palazzetti. Prima dell’estate uscirà il nuovo album, e insieme ad esso pubblicherò un album sperimentale, un regalo per i fan della prima ora. Le canzoni che ho prodotto in questi due anni sono canzoni da cantare tutti insieme. L’altra sera, in studio con alcuni produttori, ci siamo guardati increduli dicendo: “Ma davvero l’abbiamo scritta noi questa canzone?”. È quella sensazione di aver creato un grande classico. Ho già testato il terreno con Amore disperato, che è stato il primo pezzo pubblicato dopo tanto tempo. Ora sono pronto a portare questa energia dal vivo.
Tornerai soddisfatto da Sanremo?
Se le persone accoglieranno la canzone come spero e come si merita.
Foto di Marcello Junior Dino da Ufficio Stampa