‘Musica dal morto’ è il nuovo album di Vipra, che vuole far riflettere sullo stato della musica e della discografia oggi. La nostra intervista.

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Si intitola ‘Musica dal morto’ (Asian Fake/Sony Music) il nuovo album di Vipra del collettivo Sxrrxwland che arriva dopo ‘Simpatico, Solare, In cerca di amicizie’. Un disco spiazzante nelle intenzioni e nelle tematiche, con cui l’artista vuole coltivare l’impegno di suscitare un dibattito, alimentare il confronto. E riflettere su un’industria discografica inaridita in cui l’arte è soggiogata alla matematica dei numeri. Il concept album, disponibile dal 14 aprile, si promette infatti di toccare diversi temi sociali nel segno della memoria post-mortem. Anche per questo, ogni brano ha nel suo titolo anche il nome di un grande artista dalla vita e dalla morte tormentate. Ci siamo fatti raccontare di più dallo stesso Vipra.

‘Musica dal morto’ è il tuo nuovo disco, dal 14 aprile, che nel suo titolo unisce due mondi che sembrano essere sostanzialmente agli antipodi. Ovvero la musica, che è vita, e la morte. Come è nata l’idea di un concept album di questo tipo?
Nasce principalmente perché, in realtà, la musica e la vita ultimamente non sono così tanto vicine quanto si potrebbe pensare. Soprattutto in Italia, la musica sta diventando un po’ sterile e costruita per simulare la vita. In più, fuori dai palazzetti, dai grandi eventi del mainstream e dai talent la musica sta morendo. Così come i locali e i punti di aggregazione che la fanno. Quindi, per me era un po’ un modo di ironizzare su una situazione che è tutt’altro che divertente come quella della musica in Italia. Diventa sempre più appannaggio di pochi e impedisce il progresso, l’humus culturale e artistico dal quale vengono fuori le cose più interessanti.

Vipra
Foto da Ufficio Stampa

Ciascuna delle tracce esplora espressioni differenti del tema portante ispirandosi a un artista scomparso la cui vita è stata caratterizzata da grandi luci e altrettanti ombre. Che cosa raccontano, oggi, queste esperienze umane prima ancora che artistiche?
Probabilmente a livello umano queste esperienze non raccontano niente di diverso da esperienze analoghe, simili o identiche a quelle di altre persone non famose. L’unica sfumatura ulteriore è proprio dovuta al ruolo artistico che questi individui hanno avuto. Senza quello, l’unica cosa che rimane umanamente sono le difficoltà, le storture, l’infelicità che può caratterizzare l’esistenza. Ed è con questo che, penso, si dovrebbe empatizzare, per costruire una sorta di senso di umanità comune che ultimamente manca sempre di più.

Al di là delle biografie singole, emerge in maniera molto forte il malessere di fronte a certi meccanismi dell’industria musicale. Ieri come oggi, alla ricerca di numeri, stream e views. Quanto un sistema del genere finisce per stritolare l’urgenza comunicativa reale degli artisti?
L’esigenza comunicativa non la si mette semplicemente in conto perché lo scopo è tutt’altro che quello di comunicare. Oggi si vuole soprattutto raccogliere, intercettare, raccattare un pubblico e trasformare questo pubblico in qualcosa di monetizzabile. Quindi l’esigenza comunicativa esiste soltanto nel momento in cui quell’esigenza intercetta un’esigenza del mercato o la possibilità di fare soldi. Probabilmente la mia idea era di cercare di reinserire, nel mio piccolo, proprio questa possibilità. Che ci sia qualcosa da voler dire, al di là del parlare di una storia d’amore o di sofferenze personali o generazionali o di quel che sia.

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E quanto andare in direzione ‘ostinata e contraria’, coltivando un modo diverso del fare musica, può far sentire incompreso un artista?
Sentirsi incompreso ti dà il polso di quanto sia abbastanza inutile però è anche vero che c’è un affetto poi diffuso e, probabilmente anche sentito, da parte di un pubblico più ristretto però sincero. Quindi, dipende sempre da quello che uno cerca. Se una persona è interessata che la ascoltino a quante più persone possibile ovviamente non deve dare spazio a controversie né a dire delle cose che potrebbero non piacere a qualcuno. Se, come nel mio caso, interessa di più condividere qualcosa, fare gruppo con qualcuno e farlo sentire rappresentato in maniera ben caratterizzata, allora si fa un disco assolutamente non commerciale come questo.

‘Musica dal morto’ è in sé stesso impegno e invito al dibattito: temi di non venire capito? Che l’appello cada nel vuoto?
Questa cosa è probabilissima ed è probabilmente proprio quello che succederà. Però come dicevo mi interessa che anche una piccola parte di chi lo ascolterà – che già sarà una piccola parte del pubblico italiano – lo recepisca. E serva a costruire dibattito, possa contribuire a far sentire rappresentato qualcuno. Possa contribuire a far pensare che è possibile fare anche altra musica in Italia nel mainstream. Il mio scopo non è rivoluzionare niente perché non ne ho nei mezzi né credo che sia possibile farlo con un album. Il mio scopo è essere parte di un cambiamento che credo che sia necessario e che stia avvenendo anche al di là di me.

Dal punto vista dei suoni e della produzione, invece, che tipo di direzione hai coltivato?
A livello di suoni, la direzione è stata quella di lavorare prima e soprattutto con degli amici e con dei musicisti che stimavo tantissimo a livello personale e non soltanto per quelli che sono i loro i loro numeri o il loro curriculum. Mi è capitato di lavorare con artisti che non conoscevo e con i quali ho instaurato un rapporto del quale sono tuttora molto contento e che mi ha arricchito tantissimo. Ma in questo caso sono voluto andare proprio alla radice di quella che è stata la musica, quindi ho voluto le persone con cui io ho cominciato a farla quando ero alle medie e al liceo. Sono degli amici di sempre e quindi, in qualche maniera, il sound ha esplorato proprio questa cosa. Il ritornare a fare musica con degli amici solo ed esclusivamente per il fatto che ti diverte farla e per il fatto che senti di avere qualcosa da dire.

Il nuovo progetto arriva dopo il disco di debutto ‘Simpatico, Solare, In cerca di amicizie’: qual è, se esiste, il punto di congiunzione fra i due album?
Il punto di congiunzione fra i due album probabilmente è il fatto che mi ero stancato del primo e quindi avevo bisogno di cambiare tutto con il secondo. Non credo che ce ne siano altri perché sia a livello di sound, che di tematiche, che di scelte di comunicazione artistiche e di immagine sono due dischi estremamente diversi. Probabilmente sono uno il prodotto dell’altro, nel senso che ho cercato di approcciarmi a quella che è una musica di più facile ascolto e di più facile comprensione ma ho sentito che non era la mia dimensione. Avevo bisogno di fare qualcosa che fosse più centrato su di me e su quello che voglio fare io, quindi ho deciso paradossalmente di fare un disco che fosse solo e unicamente interessante per me.

Che cosa stai preparando per il live al MiAmi Festival? Ci saranno altri appuntamenti estivi?
Non ve lo posso dire del tutto perché alcune cose le sto ancora finendo di programmare, però vi posso dire che è tutto live, suonato con la band senza sequenze senza e senza backing vocals o playback di nessun tipo. Quello che sentirete è suonato sul momento. Quest’estate, poi, ci sarà sicuramente una data con i Viagra Boys ad agosto e poi delle altre che immagino comunicherò nei prossimi mesi. Quindi state connessi, come si suol dire.

Foto da Ufficio Stampa