Treno Milano – Venezia. Biglietto fatto all'ultimo, in ritardo, di corsa, come sempre.

Con grande sicumera ho guadagnato il mio posto, iniziando ad osservare i compagni di carrozza che, qualche fermata dopo, hanno iniziato a discutere su dei posti a sedere.
Io resto superiore al rumore, persa nei miei pensieri altissimi, dandomi un'occhiata al viso, mettendo su un po' di cipria. Gli altri, sudaticci e stanchi, continuavano a parlottare.
Improvvisamente, la persona accanto mi rivolge la parola: "Avrei il 16/a."
– Anch'io ho il 16/a. Faccio io.
"Io ho il 16/b, ma mi sono seduto qui Signorina, non si preoccupi." fa il ragazzo occhialuto per il cui posto era, a quanto pare, nata la conversazione che ignoravo.
"Carrozza 6?" Fa la ragazza.
– Certo. Replico io con una punta sarcasmo.
"Oh, probabile sia colpa mia allora, verifico un attimo." Risponde lei, educatissima, tirando fuori l'enorme iPad.
Io la osservo con lo sguardo stanco di chi sa che hai commesso un errore, ma la sentenza arriva chiara come il suo ticket.
– Che bifolchi questi del sito delle ferrovie, sicuramente qualche bug di sistema. Aggiungo io, aprendo solo per scrupolo il mio biglietto elettronico, mentre gli altri mi osservavano curiosi. Alzo un sopracciglio, aspetto un secondo e sollevando la testa per guardare i passeggeri seduti:  – Va bene, devo ammetterlo signori, io vengo dal futuro.

Quindi, osservando nuovamente il biglietto: – E dal 16 settembre prossimo venturo, per l esattezza.

Le loro facce inebetite restano a fissarmi silenziose fino a che la mia vicina di viaggio, pone la cruciale domanda: "Come facciamo?"

– Lei cosa vorrebbe fare, mi scusi? Non vede i segni? Sono ovunque.

Ed indicando la data sul mio cellulare, scandendo bene le parole: – Carrozza 6, posto 16/a, 16 settembre! Dopodiché facendomi più seria:

– Rifiuta forse l'idea che il futuro le viaggi accanto?

"No, io mai." Dice lei agitata.

– Potete stare tranquilli, davvero, vengo in pace. Replico infine io, rifiondandomi silenziosa nella lettura del programma del festival.

Scendendo alla stazione di Venezia, è uno strano futuro quello che scorgo su una città che è patrimonio dell’umanità, ma che l’umanità stessa continua a stuprare ripetutamente in ingorghi di carne e flash, che si spingono fuori dalla stazione riversandosi sul piazzale.

Assecondando la gente, mi spingo tra le pietre corrose dagli eventi che dovrebbero adornarla a festa, ma che la rendono incline al vivere ormai di stenti. Non è manco troppo difficile sentirla urlare Venezia, sotto la cappa turistica e mercenaria che si dichiara suo nuovo padrone.

I bei manifesti del Festival richiamano l’attenzione, lasciando per qualche giorno in secondo piano anche la Biennale, quest’anno dedicata all’architettura.

E sono proprio i Manifesti, i pass legati al collo delle persone che camminano frettolose, il tartassamento su internet ogni volta che apro il cellulare, a ricordarmi che devo lasciare da parte un attimo il disappunto, per godere finalmente della bellezza e del glamour della 73ma edizione della Mostra del Cinema.

Anche se non tutto si è rivelato poi, proprio come lo immaginavo. Ed infatti…

Dalla 73ma Mostra del Cinema di Venezia ho imparato che:

1- Le feste sono tutte uguali. Dall'Excelsior al baretto di Fregene nulla impedirà allo scellerato deejay di mettere su la canzone latina dell'estate con annesso gorgeggio post traumatico di Enrique Iglesias.

2- Che tu sia la stagista dell’ufficio recupero crediti di Mestre, o l’ultima delle account nel settore caseario di un’azienda Milanese, stai pur certa che dal vaporetto in stazione centrale al Lido arriverai in lungo. C’è un reale motivo? No. Chi ha bisogno di un reale motivo per mettersi in lungo? Con o senza il pass per la serata, ti guadagnerai  una camminata (in)sicura sull’asfalto lato transenna del red carpet, inciampando di tanto in tanto nello strascico, ormai adibito a raccolta sassi.

3- Alcuni attori italiani hanno enormi problemi irrisolti con l’affermazione del se: si guardano intorno per vedere se qualcuno li guarda, e mentre tu li guardi, loro girano la faccia compiaciuti di aver notato che li stavi guardando. Meccanica complessa di cui sto studiando le pieghe perverse, e che ti porta dunque a guardarli, per tentare di intercettare il momento in cui loro ti guarderanno compiaciuti di essere guardati.

4- Il red carpet crea confusione. Anche se si parla di un tappeto “rosso” e non delle luci, qualcuno di cui non sai il nome e non capisci il perché della sua presenza in passerella viene preso da un attacco di labirintite e pensa di trovarsi, chessò, al Cocorico’. Ed è subito stile. Si, per Rimini o Riccione.

5- Italians se la tirano better. Puoi ritrovarti piacevolmente al bar con Fassbender che beve tranquillamente un caffè mentre sfoglia un giornale, ma meglio non con la comparsa del film di Muccino che se ti dice sfiga decide di parlarti e alla fine ti prega di accettare una sua firma, sia pure sullo scontrino della carta di credito appena strisciata al bancone.

6- Ci sono in giro per i campielli e le fondamenta, più web influencer che topi. Non capisci da dove escano, ma li trovi ovunque, appesantiti dai loro k di followers che portano sulle spalle a mo’ di zaino da boy-scout delle nuove generazioni e che desiderano ostentare ad ogni approccio di interazione umana, quasi fosse la prova tangibile della loro esistenza su questo pianeta. Tu gli spieghi che è un problema facilmente risolvibile grazie alla legge n. 38/2009 (da art. 7 ad art. 12) ma loro ti rispondono che. Bugia, loro non ti rispondono, perché non sanno cosa sia un articolo di legge. Però sorridono tra un autoscatto e l’altro, ed è proprio in quel momento che inizi ad amarli davvero, con tutti quei K di followers e la loro innocenza, e riesci finalmente ad inserirli nel punto giusto del grande cerchio della vita, comprendendo con infinita saggezza che se vuoi capire dov’è la festa del momento basta seguirli, risvegliando quel senso di sopravvivenza che salvò anche alcuni dei passeggeri della 3°classe del Titanic. Perché si sa, loro piccole creature, sanno sempre dove andare.

7⁃ Il sogno americano è realtà e consiste nella sua lussuosa accessibilità: Se vuoi puoi. Ed i party con cast internazionale non sono mai stati così a portata di mano. A te sembra incredibile, a loro un pò meno e se la vivono rilassata. It’s Hollywood baby.     

8- Si può anche affittare un’isola per la festa del film evento, mettere i nomi di due grandi reti televisive, ma il risultato sarà sempre da sagra: dove ti aspetti un Cannes incontra il Met Gala ma in salsa italica, ti ritrovi una più vista ma non meno croccante: “Fiera della salsiccia” colma della solita gente, dei soliti ruoli, coi soliti argomenti, e ah si! Quelli del punto 6.

9- E’ il posto giusto per chi ha problemi di autostima. L’uomo in viaggio di lavoro per la kermesse cinematografica, si affaccia sulla Giudecca con la foga di chi decide improvvisamente di affacciarsi anche sulla f…acile rima che ne potrebbe saltar fuori. Quello che solo pochi giorni prima, fuori dalle calli era un composto professionista di qualsivoglia paese, improvvisamente si sveglia molestatore selvaggio, portato a pensare che tutto gli sia concesso. Ti piace l’idea? Potresti trovarti ad essere corteggiata da un plurimiliardario svizzero, da un grande produttore internazionale, da un attore americano o semplicemente perché no, da un maniaco sessuale. Ma che importa? E’ Venezia, e Casanova qui ha fatto proseliti.

10- La gente sgomita. E non intendo per passare sul ponte di Rialto o nell’affollato e meraviglioso mercato antico del pesce. Sgomita nella triste fila in attesa di riuscire ad entrare all’evento in piscina con la showgirl e l’attore di fiction di turno, sgomita per avere la parola mentre tu stai parlando, sgomita per l’opportunità di cose che non risultano essere particolarmente chiare, sgomita per porsi al centro dell’attenzione, ed infine sgomita per assicurarsi il gancio giusto. Che in certi casi vista l’inutilità del gesto, richiederebbe almeno un’iscrizione ad un corso di boxe.

 

Il tutto avvolto in una corale regola: More is Less. Metri di taffeta’, Kg di taffettà e di strass per alcuni non sono mai e dico mai, abbastanza.

Dopo tutto questo show, mi chiedo se a qualcuno importi ancora davvero del Cinema. Perché in pochi sembrano davvero essere lì per il cinema. E se non sei li per il Cinema e non sei lì per Venezia, la domanda nasce spontanea.

Perché a discapito di quel che chiunque possa affermare, ciò che sembra realmente importare è il creare l’idea di aver vissuto l’esperienza.

Dal Lido in giù, dove mi affaccendo tra i campi e le calli alla ricerca di un vero interesse negli occhi di guarda, vedo persone osservare non più la città con i propri occhi, ma attraverso lo schermo di un cellulare. Vedo gente non leggere più le note storiche sotto le opere d’arte ed i vecchi palazzi, ma scrivere sui social, camminando come zombie sotto il vessillo leonino dallo sguardo ormai depresso.

 

Osservando dalla terrazza della stazione la fine della regata storica, che ha monopolizzato il Canal Grande e che per qualche ora è riuscita a tenere lontano i grassi turisti dall’assalto alle gondole, che a mo’ di bara li conducono in svogliate marce funebri lungo la Serenissima, mi scorgo placida nel constatare che dal futuro da cui provengo io, hanno già ucciso questo chiaro di luna, lasciando i fasti di una città un tempo regina che dominava, ed ora è in rovina. O almeno fino al prossimo anno.

 

Ps. C’è ancora un biglietto aperto, Milano-Venezia, 16 Settembre posto 16/a carrozza 6. Per chi vuole vivere la Città, che anche senza Cinema, resta comunque un gran bel Film da vivere.