Prossimamente sul piccolo schermo nel film di Graziano Diana girato a Trapani, Emmanuele Aita è tornato in Sicilia ospite del Trapani Film Festival per premiare Ninni Bruschetta. “Trapani ormai è una mia seconda città del cuore”, ci ha raccontato prima di consegnare il riconoscimento. “Mi sono innamorato di questa città. Pur essendo palermitano non l’avevo mai vissuta così da vicino, invece lo scorso maggio ho avuto l’opportunità di conoscerla davvero. Da lì sono nate tante cose e Trapani mi accoglie sempre benissimo. Essere al Festival, con Francesco Torre e Lele Vannoli è come stare in una grande famiglia”.
Il film a cui l’attore fa riferimento è Un futuro aprile, “la ricostruzione di una storia vera accaduta nel 1986, ovvero l’attentato al giudice Palermo in cui persero la vita i due gemellini Asta insieme alla madre. Nel cast ci siamo io, Francesco Montanari, Peppino Mazzotta e Federica de Cola, che abbiamo girato in questa zona, da Pizzolungo al centro di Trapani. È una storia che era importante raccontare”.
Parlando, invece, della rappresentazione cinematografica e televisiva della Sicilia, l’attore riflette:
“Spesso l’isola è stata raccontata solo attraverso la malavita e la mafia. Per fortuna oggi le cose stanno cambiando: si sta cercando di mostrare una Sicilia che non è solo questo. Non possiamo negare che sia un problema che ancora esistema è bello raccontare anche i lati positivi di quest’isola.Penso, per esempio, a I Leoni di Sicilia a cui ho avuto la fortuna di partecipare, dedicata alla storia dei Florio. Credo, quindi, che la tendenza stia cambiando e la regione venga valorizzata anche per le cose belle che offre”.
Sul rapporto tra serialità e cinema, Emmanuele Aita non ha particolari preferenze. Tutto, in fondo, dipende dalla storia e dall’approccio a essa. “Nella serialità hai più tempo per raccontare, mentre il cinema è più compresso. Ma venendo dal teatro, che è un lampo, riesco ad adattarmi a entrambi i linguaggi. Sono due modalità di racconto molto simili ma con tempi diversi”.
Un passaggio affettuoso lo dedica, poi, a L’allieva, serie che lo ha fatto conoscere al grande pubblico. “È il mio cuore. In tv sono praticamente nato con quel lavoro che è stato il mio primo vero progetto televisivo. Sono affezionatissimo al personaggio di Paolone, che porto dentro, e alla famiglia che si era creata sul set con Alessandra (Mastronardi) e Lino (Guanciale). Nonostante siano passati ormai dieci anni dalla prima stagione, ancora oggi tante persone mi fermano per strada grazie alle repliche che fanno ancora ascolti altissimi”.
Uno sguardo al passato e uno al futuro, sui prossimi progetti. “A breve uscirà, appunto, Un futuro aprile, che non vedo l’ora che il pubblico veda perché merita tantissimo. Già mentre giravamo, ci siamo resi conto che stavamo facendo qualcosa di bello. Poi, forse, ci sarà qualcosa in teatro, ma è ancora in fase iniziale. Nel corso del mia carriera sono riuscito a interpretare ruoli molto diversi, da Paolone appunto a Suburra ma ogni personaggio è una sfida in più”.
Ma Aita, che tipo di spettatore è? “Sono criticissimo, soprattutto con me stesso tanto che dagli amici non voglio mai complimenti, ma preferisco che mi vengano dette le cose che non vanno. Bisogna sempre crescere, imparare dagli errori per potersi migliorare. Anche quando guardo film e serie altrui, cerco di imparare da quello che vedo”.